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Bene, a questo punto dovrei iniziare la fase delle argomentazioni dei vari punti che costituiscono l'ideologia verde che io propongo. Come dicevo nel post precedente, questa impresa l'ho affrontata nel libro che ho scritto, e non posso fare altro che raccomandarne la lettura a chi fosse interessato (notizie per l'ordinazione sul mio profilo). Alla base, ci sta un'ipotesi antropologica, cioè io parto da un mio modo di vedere la natura dell'uomo. Io credo che il terreno decisivo per sconfiggere quella che io riconosco come l'ideologia dominante nel mondo occidentale, stia proprio nel disvelare prima, e nel superare poi una visione dell'uomo che ci portiamo dietro dall'Illuminismo in poi. Poichè non posso qui riscrivere il libro citato, mi limiterò qui ad affrontare quello che mi pare il punto decisivo, quello della libertà. Naturalmente, già questo solo argomento è enorme (chissà se avrò la perseveranza di scrivere un libro dedicato a questo spedifico punto !). Che la questione fondamentale sia la libertà, lo testimonia tra l'altro il fatto che le più quotate teorie in filosofia politica, pongono proprio la libertà come il bene fondamentale da salvaguardare, anche a costo di altri beni da proteggere. Se prendiamo ad esempio Rowls, egli afferma che le politiche da attuare devono essere finalizzate a raggiungere un sistema che abbia il massimo contenuto di giustizia. Tuttavia, egli afferma che non si può perseguire la giustizia a scapito della libertà. Insomma, Rowls vuole uno stato che, garantendo come bene supremo la libertà, consegua il massimo possibile grado di giustizia. Il punto di contestazione sta tutto in cosa si intenda per libertà. Si tratta, se ci riflettiamo, di un termine estremamanete vago. In realtà, la parola libertà si usa quasi sempre accompagnato da una specificazione: solo allora, assume un significato davvero specifico. Parliamo adesso di libertà di scelta. Ora, è chiaro a tutti, persino a me, che nessuno di noi voglia essere coartato a comportarsi in un certo modo, magari addirittura con la violenza. Io però penso che dobbiamo andare oltre, che sarebbe errato far coincidere la libertà di scelta come la negazione della coercizione. Io penso cioè che la libertà di scelta, o viene effettivamente esercitata, oppure quella stessa libertà di scelta viene negata. Se noi constatiamo, anzi concordiamo che nella massima parte dei casi una libertà di scelta che è stata formalmente concessa non è stata esercitata, possiamo ancora affermare che siamo in uno stato che ci rende liberi? Il dubbio successivo è: vogliamo effettivamente essere liberi? Non siamo cioè liberi perchè non abbiamo eliminato tutte le condizioni che ostano alla nostra libertà, e/o della libertà tanta conclamata non sappiamo che farcene? Io credo che esistano entrambe queste condizioni. Se guardiamo alla libertà di informazione, non basta garantire che tutti posssano divulgare le loro opinioni, se poi io ho a disposizione un blog letto da tre persone, e il proprietario di mediaset ha a disposizione tre TV che coprono quasi il 50% dello sterminato pubblico televisivo. Se i mezzi economici differenti danno accesso a possibilità comunicative così profondamente diverse tra loro, siamo certi che una formalmente consacrata libertà di stampa si traduca in effetti in una generalizzata libertà di informazione? Dall'altro punto di vista, se si guarda al settore della moda, si vede come per quanto attiene l'abbigliamento, i comportamenti siano omologati. Da quando un tizio ha lanciato i jeans a vita bassa alcuni anni fa, nel giro di pochissimi mesi avevamo frotte di ragazze vestite con tali "orribili" (opinione strettamente personale) pantaloni. Quello che colpisce è la rapidità nell'accettazione e nel rifiuto di determinati tipi di abbigliamento, cioè di comportamenti sociali classificabili come strettamente personali. Naturalmente, il settore della moda è soltanto la classica punta emergente di un iceberg che coivolge un po' tutti i nostri comportamenti sociali. A questo punto nel libro, introduco la tematica dell'autorità, del principio di autorità che, lungi dal come vorrebbe farci credere l'ideologia dominante, come qualcosa che si interpone tra me e e la mia libertà, costituisce a mioo parere un'esigenza ineliminabile della persona umana. Mi fermo qui. vorrei solo farvi riflettere su quanto sia davvero straordinariamente difficile suntare le mie teorie, a partire da un testo che difatti è anch'esso sintetico, e quindi mi scuso per la insufficiente chiarezza delle mie argomentazioni. Non proverò ad affrontare altri punti dell'ideologia verde che perseguo. Dal prossimo post, inizierò a occuparmi di questioni politiche più specifiche, e magari anche dell'attualità.
Viviamo in tempi in cui lo scarto tra la declaratoria formale dell'esistenza di una libertà è il suo, di fatto, vuoto sostanziale sembra superarsi in modo semplice e diretto con la truffa semantica e l'inganno populista.
RispondiEliminaIn questo la coscienza collettiva, sopita o in stato comatoso, ha più colpe di quanto faccia piacere ricordarsi. Sorge anche il dubbio se non vi sia inconscia una paura collettiva della libertà che spiegherebbe la corsa ha un conformismo in ogni campo della vita sociale. Un comodo adagiarsi su scelte eterodirette che ci libera dalle fatiche del pensiero autonomo.
In questo quadro la necessaria autorità non può che espandersi in modo ipertrofico trasformandosi da elemento fisiologico a dato patologico.
Sussurri obliqui
La libertà è anche questa però, decidere se conformarsi o meno.Ma attenzione a non confondere il concetto di libertà col concetto di 'pensiero e/o azione originale'.E' una idea pericolosa, supponente e snobbistica.
RispondiElimina@progvolution
RispondiEliminaLa mia analisi è però che non ci sia niente di nuovo sotto il sole, che la paura della libertà sia una caratteristica costante nella storia dell'umanità. Quindi, io, al contrario di te, non vedo un'ipertrofia dell'autorità, vedo un'autorità che potremmo definire arbitraria e globale. Arbitraria, perchè non basata su nessun criterio augurabile. Globale perchè i sistemi di comunicazione (internet inclusa) propapagano globalmente le informazioni, e un messaggio, in determinate condizioni, può giungere a miliardi di uomini sparsi per l'intero globo. Ciò che io sviluppo nel libro è un ragionamento che porta alla conclusione che contro un'autorità così globale e arbitraria, non resta che pensare ad un'autorità che possegga criteri di competenza, e che sia impersonale.
@aleph
RispondiEliminaIl punto su cui però ti inviterei a non sfuggire è che io parlo di una libertà effettiva, che non può che essere effettivamente esercitata. Cosa può significare una libertà teoricamente esistente ma non esercitata? Per me, una libertà non esercitata semplicemente non è libertà. Il perchè deriva dal fatto che ognuno di noi vive soggettivamente, e non potrebbe fare diversamente, ogni propria scelta come libera, ma quello che invece io sostengo è che esiste un condizionamento preliminare che, come tale, non può essere soggettivamente percepito dall'interessato. Alla fine, ciò che conta è un dato statistico obiettivo: se il 99% delle donne indossa scarpe a punta, per me questo è significativo, per te non lo è?
Quanto al fatto che sia snobistica etc., trattandosi di affermazione non argomentata, non potrei neanche smentire. L'unica cosa che ti vorrei fare osservare è che a me interessa il dato statistico, non il dato individuale. Quindi, non mi permetterei mai di affermare che la singola donna che indossa scarpe a punta è conformista, affermazione che tra l'altro non mi interesserebbe punto.
Dopo aver letto il tuo post molto attentamente vorrei postare un commento ma mi limito a significàrti il mio apprezzamento per quanto da te scritto.
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