domenica 5 aprile 2009

NOI ITALIANI, MA CHE POPOLO SIAMO? (2)

Quindi, dal 1948, si hanno due separate esperienze di costruzione di uno spirito nazionale, uno con la via italiana al socialismo del PCI, che appunto rivendicava una sua specificità nazionale, e l’altra con la originale esperienza di un partito dichiaratamente cattolico, ma con una sua preziosa capacità di distinguersi dalla chiesa in quanto tale: anche questa esperienza aveva un suo profilo nazionale specifico.
Già dall’inizio dell’esperienza della perestroika, le chiese cominciano a dissolversi. Il nuovo ruolo protagonista del PSI costringe la politica a divenire sempre più vorace, con dirigenti periferici del PSI che non nascondono la necessità della corruzione come modo di finanziare la politica. Viene così l’era di mani pulite, con DC e PSI messi alla gogna da un’opinione pubblica raccolta attorno ai magistrati di Milano e di altre sedi. Il PCI, però, arriva a questo appuntamento nella maniera peggiore possibile, con la famosa svolta della Bolognina, in cui appunto si decide di cambiare nome al partito, trasformandolo da un partito comunista in un niente. La mia opinione è che quando un grande partito, portatore di una storia significativa si mette in crisi, l’unica conclusione accettabile è quella di sciogliersi. Soltanto successivamente, sulla base della costruzione di un differente quadro ideale, è possibile costruire un nuovo partito. Trasformarsi, significa soltanto volere contabilizzare un’organizzazione esistente, utilizzandola per una propria preservazione come quadro politico dirigente, ed è quello che nel caso del PCI mi pare sia successo.
Così, il vuoto di potere dovuto alla caduta del PSI e della DC aumenta, perché anche l’area PCI, seppure formalmente presente, è nei fatti assente nei termini di una propria capacità propositiva. E’ in questo quadro che avanza la proposta politica di Berlusconi: il resto è ormai cronaca dei nostri giorni. Potremmo dire che da 15 anni a questa parte, c’è solo l’evoluzione di premesse tutte poste in quegli anni, inclusa la brusca chiusura dell’esperienza di mani pulite per esplicita iniziativa dell’ex PCI (PDS), e quindi di una fase storica dell’Italia che non esito a definire rivoluzionaria. Si poteva giungere in quegli anni a una Italia come da sinistra si è sempre sognata, ma si è invece usciti da quegli anni con un’altra Italia, ma perfino peggiore di quella precedente. Ci sono responsabilità storiche che non possono essere ignorate.

2 commenti:

  1. Tenuto conto che il concetto di 'nazione' è un concetto per niente spontaneo, ma elaborato nel corso della storia per favorire processi di liberazione contro imperialismi o invasioni territoriali ( nel nostro caso austriaci, francesi, tedeschi...) e che abbiamo tutta una letteratura ottocentesca laica volta alla conquista di uno stato liberale e democratico ( vedi mazzini ecc),é vero che non è un 'sentimento' che ci accomuna in senso generale, in quanto i localismi sono rimasti sempre molto radicati e ben conservati. Ma è un problema comune a tutte le 'Nazioni'. Quello che dici tu sulla spaccatura politica che poteva in quegli anni dare finalmente uno slancio in avanti in senso democratico e civile anche a noi poveri italiani e che è miseramente fallita riportandoci più indietro di dove eravamo è purtroppo un fatto reale ma che , come ho già detto, secondo me è stato oppurtunamente fermato anche e soprattutto con la nostra sinistra che non ha il coraggio laico di svincolarsi dalle solite collusioni .

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  2. Sì, quello che tu dici l'ho sottolineato qunado concludo ricordando le responsabilità storiche. Per quanto invece riguarda la nazione, in Italia, il rpoblema ha degli aspetti più peculiari, dovuti proprio allas toria che questo popolo ha avuto nel corso dei secoli.

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