lunedì 6 luglio 2015

DOPO IL REFERENDUM: PERCHE' LA VITTORIA DEL NO NON BASTA A FAR TORNARE LA POLITICA NEL DIBATTITO PUBBLICO EUROPEO


Vi voglio qui proporre un articolo molto bello ed appassionato scritto da una persona che stimo, Ida Dominijanni, una giornalista che per tanto tempo ha lavorato a "Il Manifesto" ed ora fa parte di quella che io chiamo la diaspora seguita all'insediamento della Rangeri alla direzione del giornale.
Lo riporto integralmente per sottolineare i punti di dissenso perchè mi permette di chiarire quali siano per me gli errori della sinistra dura e pura e delle gravi conseguenze politiche di questo errore di prospettiva...

Malgrado il tentativo militante di gran parte della stampa italiana di accreditare l’idea che, comunque vada il referendum, per i greci sarà una tragedia e per il premier Alexis Tsipras una sconfitta, penso invece che Tsipras abbia già vinto una partita cruciale e che per i greci, e per gli europei tutti, si tratterà di affrontare una situazione difficile ma inedita e, finalmente, aperta. Le due cose sono ovviamente collegate.
Alexis Tsipras e il ministro delle finanze Yannis Varoufakis, comunque si giudichino la tattica con cui hanno gestito la trattativa con la troika e i loro eventuali errori (ma era possibile non commettere errori, dati i rapporti di forza?), hanno il merito storico di avere riaperto una partita politica e culturale sulla natura, i fini e i mezzi dell’Unione europea che pareva ormai chiusa, o relegata in pochi e minoritari circoli di militanti e intellettuali sparsi nel continente.
Non si vince solo ottenendo risultati: si vince anche, anzi in primo luogo, modificando l’ordine del discorso, il regime del dicibile e dell’indicibile, del visibile e dell’invisibile. Nel giro di una settimana, l’ordine del discorso sull’Europa è completamente cambiato: come ha scritto Lucia Annunziata, il “canone” Europa – la finta e indiscutibile “oggettività” di un’Unione retta solo dall’imperativo kantiano dei diktat economici – è morto.
La maschera è caduta: l’economia non è mai neutra, è sempre economia politica; sotto il fanatismo neoliberale cova l’odio per la democrazia, la governance europea si è rivelata incompatibile con la legittimazione democratica di un governo investito da un chiaro mandato popolare anti-rigorista. Totem e tabù sono crollati: l’austerità non è più una religione, è un’iniezione letale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti; e di converso, le alternative neokeynesiane smettono di essere eresie blasfeme sussurrate dai premi Nobel ed entrano a pieno titolo nel dibattito pubblico.
Infine e non ultimo, la geopolitica globale torna in scena a disturbare i deliri di onnipotenza della tanato-politica euro-tedesca: prima di soffocare la Grecia bisognerà fare i conti non solo con la Russia di Vladimir Putin ma anche con gli Stati Uniti di Barack Obama.
Sono tre risultati non da poco per un governo descritto per mesi dai mezzi d’informazione mainstream europei come una banda di estrosi scavezzacollo in cerca di popolarità a buon mercato (grida ancora vendetta il trattamento giornalistico riservato a Varoufakis, “quello che gira con la camicia fuori dai pantaloni”, come è stato definito in un talk della 7 pochi giorni fa).
La verità è un’altra, e non stupisce che sia insopportabile per i mezzi d’informazione di cui sopra, interessati alla questione generazionale solo quando è sinonimo di blairismo ritardato, arroganza e rottamazione.
Finalmente il campo europeo è diviso
Esponente di quella generazione che fu espropriata della politica a suon di cariche della polizia nelle ingloriose giornate di Genova 2001, Alexis Tsipras ha riportato la politica globale – la stessa di cui a Genova quella generazione già sapeva parlare prima di essere zittita – al centro di un’Europa spoliticizzata e fuori dal mondo.
Figlio di una crisi che in Grecia come altrove ha cambiato la psicologia sociale coniugando debito e colpa, il giovane leader greco ha spronato la sua gente a riconvertire il senso di colpa in riscossa politica: e non si capisce niente della sua mossa di convocare il referendum senza tenere presente questo cruciale tassello.
È grazie a questa improvvisa e imprevista impennata politica di Davide contro Golia che adesso, finalmente, il campo europeo è diviso, come sempre avviene quando c’è politica. Non serve a niente continuare a vedere in questa divisione, come fa la sinistra di governo in tutta Europa, una sorta di guerra santa fra (cattivo) populismo e (buon) riformismo.
La sinistra e la destra di governo – come Renzi insegna oggi e Berlusconi ieri – non sono meno populiste delle sinistre e delle destre di opposizione; e quanto al riformismo, la vicenda greca ha chiarito a tutti che il riformismo non è buono per definizione, e che è precisamente contro un cattivo riformismo che bisogna combattere.
Questo combattimento è ormai in corso, e continuerà a contagiare il campo anche dopo il referendum greco quale che sia il suo esito. Per la Grecia molte Cassandre prevedono sfracelli a partire da lunedì: la dissoluzione se vincerà il no, l’asservimento umiliante ai voleri della troika se vincerà il sì.
I giochi, c’è da scommetterlo, saranno molto più complicati: e non solo per la Grecia e per il governo Tsipras. Dopo l’allineamento alle posizioni della cancelliera tedesca Angela Merkel e della direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, quello che resta dei partiti socialisti europei rischia da oggi in poi la sparizione per conclamata inutilità.
A cominciare dal Partito democratico di Matteo Renzi, pronto a rottamare tutto salvo i fantasmi del passato: quando per fronteggiare la ridislocazione delle forze in campo non si trova niente di meglio che l’antico anatema contro gli opposti estremismi (in questo caso, Matteo Salvini e la sinistra che appoggia Tsipras), è segno che gli argomenti del riformismo sono assai usurati. 

Io non ho la leggerezza e la nitidezza della scrittura della Dominijanni, ma mi permetto egualmente di sollevare una contestazione di fondo alla sua tesi, che cioè il referendum appena celebrato in Grecia e stravinto da Syriza riporti la politica nella UE e negli stati che la compongono. 
Mi permetto di ricordare che le elezioni greche si erano tenute soltanto pochi mesi fa, capovolgendo sin da allora le maggioranze parlamentari e portando al governo, Tsipras che sin dall'inizio non ha nascosto la volontà di porre termine ai programmi di austerity con l'ambizione di provocare uno spostamento complessivo delle politiche UE. 
Insomma, la così tanto evocata e celebrata politica, effetto e causa nello steso tempo della divisione, del conflitto, ha già avuto una possibilità di irrompere nelle grigie stanze di Bruxelles, che ciò non sia avvenuto allora non può essere ignorato come se si trattasse di un dettaglio insignificante, pena non capire neanche ciò che è avvenuto ieri e quindi non sapere prevedere cosa avverrà da oggi in poi. 
Qual è in verità la novità tra le elezioni greche di pochi mesi fa e il referendum di ieri che fa entusiasmare tutto un fronte di cittadini europei, pure silenti a seguito delle elezioni? 
E' forse cambiata la linea seguita dal governo Tsipras? Non mi pare. 
Si è creato un clima che vede altri governi europei solidali con quello greco? Non mi pare.
A me pare che sia cambiato solo un certo clima dovuto essenzialmente alla scelta duplice di Tsipras di piazzare sul tavolo della trattativa la mossa tattica del referendum e quella simmetrica ed opposta della Merkel di "vedere" il bluff di Tsipras dando il veto a quell'accordo che Junker aveva già sottoscritto. 
Tali scelte di natura tattica hanno creato una situazione obiettivamente drammatica che ha emotivamente trascinato i cittadini europei più sensibili a schierarsi al fianco del popolo greco. Inoltre, l'eurocrazia è stata suo malgrado trascinata nell'agone politico nel momento in cui si è schierata nettamente dalla parte della Germania senza essere minimamente in grado di svolgere alcun ruolo di mediazione. Perfino il cazzaro che guida purtroppo il nostro governo, non ha perso l'occasione ennesima di perdere la faccia, prostrandosi davanti alla merkel proprio alla vigilia del referendum e sputtanandosi così in maniera clamorosa. 
Di fronte a tali elementi simbolici, la cui importanza tuttavia non sottovaluto, rimangono però dei punti fermi che il referendum non riesce a rimuovere, e cioè la natura stessa dei due avversari che si fronteggiano, da una parte l'inadeguatezza palese della linea politica di Syriza, dall'altra ben più grave, la natura dispotica del potere nella UE. 

La linea di Syriza è inadeguata perchè è priva di una sua coerente strategia, e così si sostanzia in pura tattica. Dire che vogliamo trasformare l'europa, ma continuiamo a credere nel progetto europeo, strategicamente è del tutto insensata. Devi almeno porre delle condizioni. Io sto in europa se tu almeno convieni con me su queste caratteristiche che la UE deve avere. Devi cioè porre delle condizioni ultimative, sennò rimani sul terreno tattico del conseguimento di obiettivi estremamente parziali, divenendo tuo malgrado un complice delle nefandezze compiute dalla UE. 
Tralascio di soffermarmi su quelli che ritengo errori di analisi fondamentali sulla stessa natura istituzionale antidemocratica della UE perchè che Syriza abbia una linea strategica differente dalla mia sarebbe comunque preferibile rispetto al fatto che essi non ne abbiano alcuna. 

Infine, rimane la questione fondamentale che riguarda l'altro polo del contendere. Vedo che in giro si propongono due alternative, che la UE accetti un cambiamento nella politica di austerità e l'altra che prosegua come un carro armato sulla linea finora tenuta. 
La mia opinione in proposito è drastica, la UE non può praticare alcuna altra poltica rispetto a quanto fatto finora, non ha un piano B insomma. Il perchè dipende dalla mia analisi complessiva che vede il capitalismo in una posizione paradossale, massimamente potente e pervasivo, e nello stesso tempo massimamente fragile da un punto di vista tecnico-economico, tale da impedirgli ogni flessibilità. Se cedesse, crollerebbe, e quindi resiste disperatamente fin che può sulla sua linea, indipendentemente da quanto essa sia suicida.

E' questo quindi il reale motivo per cui la politica purtroppo rimarrà fuori dal contesto presente, malgrado il referendum e gli entusiasmi che esso ha generato in tanti cittadini europei. Tutto ciò sarà sotterrato dalla nuova trattativa che va ad iniziare, sia per l'atteggiamento intransigente che la UE terrà (non può diventare più flessibile pena la propria autodistruzione), e dal rifiuto protervamente sostenuto da Syriza di ogni strategia credibile e praticabile. 
Per far rientrare la politica, bisognerebbe infine che un Tsipras2 dicesse finalmente che "il re è nudo", che la UE è un'organizzaizone criminale messa su dai poteri bancari globali, e che l'unica cosa buona che si posa fare è semplicemente distruggerla: allora sì che la politica rientrebbe nel dibattito pubblico europeo!

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