Posto una discussione fatta sulla bacheca di un'amica di fb, perchè mi sembra di un certo interesse generale.
La discussione è stata stimolata da un articolo che potete trovare a questo link:
https://gianluigiagora.wordpress.com/…/inclusivita-partigi…/
Qui di seguito, le mie osservazioni a riguardo...
Confesso che l'autore fa un ragionamento che non condivido. In effetti, se il discorso rimane nell'angusto paragone che egli fa, esso ha una sua ragionevolezza. Il punto è che ci si dimentica di specificare cosa dovrebbe rappresentare un partito, un vero partito, quello che oggi non c'è. Il partito si potrebbe definire come l'organizzazione di coloro che condividono non solo una serie di obiettivi, ma un certo substrato teorico, e un preciso progetto. In assenza di una teoria condivisa, è inevitabile rimanere dentro il pensiero unico in cui siamo immersi, è di fatto impossible costruire una vera alternativa politica, così che gli obiettivi su cui è centrato l'articolo, finiscono inevitabilmente per restare all'interno della mentalità dominante. Teoria ed organizzazione sono le premesse indispensabili per qualunque prospettiva che voglia avere un contenuto minimamente rivoluzionario. Insomma, non mi piace SEL perchè quel poco di organizzazione che rappresenta è costruita non su una teoria ed un progetto, ma sulla gestione dell'esistente seguendo tattiche opportunistiche. Tuttavia, lo stesso giudizio negativo va rivolto a tutte quelle organizzazioni che esaltano lo spontaneismo, che pensano che ciò che è sufficiente a tenere unito un gruppo sia un nome noto (vedi Grillo), ma anche chi crede che una lista di obiettivi sia sufficiente a qualificare una politica.Insisto perchè mi pare una questione assolutamente centrale e non eludibile. Viviamo in una società in cui il liberalismo ha trionfato. Tale trionfo riverbera i suoi effetti sin dentro le nostre menti. Se vogliamo uscire da questo pensiero unico in cui siamo immersi, dobbiamo lottare contro certe tendenze spontanee di noi stessi. Per questo, la tendenza allo spontaneismo va a mio parere combattuta, amenocchè ci troviamo bene in questa società. In caso contrario, che ci disturbi una struttura partitica rigida, non dovrebbe condizionare i nostri comportamenti. L'impegno politico non può costituire l'ennesimo passatempo che questa società ci offre, per questo genere di cose, cioè per progetti collettivi, ci vuole del volontarismo, dobbiamo esaltare certe nostre tendenze interiori e contemporaneamente inibirne altre, non tutte sono egualmente positive (naturalmente se intendiamo essere individui culturali e non solo naturali, sennò la spontaneità va benissimo). La storia dell'umanità non è data da un percorso spontaneo, ma da una serie di scelte, alcune certamente molto dolorose, e questo non fu un errore in sè, era coerente con la scelta di uscire dallo stato selvatico. Naturalmente, quando si opta per la cultura, si rischia di imboccare una cultura anche sbagliata e dannosa, ma questo è un altro discorso, non inficia l'esigenza di autocondizionarci per raggiugnere determinati obiettivi. La fortuna del liberalismo è in effetti strettamente legata a questa sua capacità di interpretare certe nostre tendenze spontanee genetiche, ma lo fa in un contesto culturale e quindi tecnologico, per cui ad esempio un atto aggressivo da un pugno si trasforma in una raffica di mitragliatrice.
Vogliamo la tecnologia? Allora dobbiamo ricordare che essa non ci rende più liberi, ma meno liberi, cosa che apparentemente non viene riconosciuta nella nostra società.
Sì Marzia, scusami, credo di avere involontariamente alimentato un equivoco. Non intendevo dire che qualsiasi partito vada bene, anzi io dico che i partiti che conosciamo non vanno per niente bene. Io credo che dovremmo lottare per un partito diverso, un nuovo partito che oggi manca. In quanto all'esempio specifico che facevi, io credo che non si possa rispondere senza considerare cosa c'è attorno alla decisione di votare contro la propria opinione. Una cosa è se il partito è sul modello leaderistico che oggi abbiamo. Consideriamo un esempio dall'attualità più vicina a noi. Renzi torna da Bruxelles, e vede che il maxiemendamento non va bene, e così si prende tutto il tempo che gli occorre per modificarlo. Nella notte, esso sarà approvato (con la fiducia posta dal governo) disciplinatamente dalla maggioranza parlamentare. Risultato, abbiamo realizzato la dittatura dentro la cornice formale di una costituzione democratica. Un uomo solo (Renzi), presenta la legge, la blinda con la fiducia e la modifica sino all'ultimo istante, obbligando dei partlamentari compiacenti ad ubbidirgli. Immagina ora uno scenario totalmente diverso. Se Renzi fosse non il padrone del suo partito, ma soltanto uno dei dirigenti di un gruppo coeso e solidale, e l'elaborazione della legge di stabilità venisse elaborata nel corso di un lungo processo durato parecchi mesi, o dentro le strutture del partito (di un partito vivo, le cui sedi fossero frequentate da tanta gente), o nel caso si arrivasse a un cambiamento istituzionale, dentro la società nel suo complesso, nei luoghi di lavoro, dove la gente vive ed opera, allora io credo che anche un dirigente non convinto di una certa scelta avrebbe motivazioni sufficienti (il complesso del progetto politico) che lo potrebbero convincere anche a votare contro la propria personale opinione.
La discussione è stata stimolata da un articolo che potete trovare a questo link:
https://gianluigiagora.wordpress.com/…/inclusivita-partigi…/
Qui di seguito, le mie osservazioni a riguardo...
Confesso che l'autore fa un ragionamento che non condivido. In effetti, se il discorso rimane nell'angusto paragone che egli fa, esso ha una sua ragionevolezza. Il punto è che ci si dimentica di specificare cosa dovrebbe rappresentare un partito, un vero partito, quello che oggi non c'è. Il partito si potrebbe definire come l'organizzazione di coloro che condividono non solo una serie di obiettivi, ma un certo substrato teorico, e un preciso progetto. In assenza di una teoria condivisa, è inevitabile rimanere dentro il pensiero unico in cui siamo immersi, è di fatto impossible costruire una vera alternativa politica, così che gli obiettivi su cui è centrato l'articolo, finiscono inevitabilmente per restare all'interno della mentalità dominante. Teoria ed organizzazione sono le premesse indispensabili per qualunque prospettiva che voglia avere un contenuto minimamente rivoluzionario. Insomma, non mi piace SEL perchè quel poco di organizzazione che rappresenta è costruita non su una teoria ed un progetto, ma sulla gestione dell'esistente seguendo tattiche opportunistiche. Tuttavia, lo stesso giudizio negativo va rivolto a tutte quelle organizzazioni che esaltano lo spontaneismo, che pensano che ciò che è sufficiente a tenere unito un gruppo sia un nome noto (vedi Grillo), ma anche chi crede che una lista di obiettivi sia sufficiente a qualificare una politica.Insisto perchè mi pare una questione assolutamente centrale e non eludibile. Viviamo in una società in cui il liberalismo ha trionfato. Tale trionfo riverbera i suoi effetti sin dentro le nostre menti. Se vogliamo uscire da questo pensiero unico in cui siamo immersi, dobbiamo lottare contro certe tendenze spontanee di noi stessi. Per questo, la tendenza allo spontaneismo va a mio parere combattuta, amenocchè ci troviamo bene in questa società. In caso contrario, che ci disturbi una struttura partitica rigida, non dovrebbe condizionare i nostri comportamenti. L'impegno politico non può costituire l'ennesimo passatempo che questa società ci offre, per questo genere di cose, cioè per progetti collettivi, ci vuole del volontarismo, dobbiamo esaltare certe nostre tendenze interiori e contemporaneamente inibirne altre, non tutte sono egualmente positive (naturalmente se intendiamo essere individui culturali e non solo naturali, sennò la spontaneità va benissimo). La storia dell'umanità non è data da un percorso spontaneo, ma da una serie di scelte, alcune certamente molto dolorose, e questo non fu un errore in sè, era coerente con la scelta di uscire dallo stato selvatico. Naturalmente, quando si opta per la cultura, si rischia di imboccare una cultura anche sbagliata e dannosa, ma questo è un altro discorso, non inficia l'esigenza di autocondizionarci per raggiugnere determinati obiettivi. La fortuna del liberalismo è in effetti strettamente legata a questa sua capacità di interpretare certe nostre tendenze spontanee genetiche, ma lo fa in un contesto culturale e quindi tecnologico, per cui ad esempio un atto aggressivo da un pugno si trasforma in una raffica di mitragliatrice.
Vogliamo la tecnologia? Allora dobbiamo ricordare che essa non ci rende più liberi, ma meno liberi, cosa che apparentemente non viene riconosciuta nella nostra società.
Sì Marzia, scusami, credo di avere involontariamente alimentato un equivoco. Non intendevo dire che qualsiasi partito vada bene, anzi io dico che i partiti che conosciamo non vanno per niente bene. Io credo che dovremmo lottare per un partito diverso, un nuovo partito che oggi manca. In quanto all'esempio specifico che facevi, io credo che non si possa rispondere senza considerare cosa c'è attorno alla decisione di votare contro la propria opinione. Una cosa è se il partito è sul modello leaderistico che oggi abbiamo. Consideriamo un esempio dall'attualità più vicina a noi. Renzi torna da Bruxelles, e vede che il maxiemendamento non va bene, e così si prende tutto il tempo che gli occorre per modificarlo. Nella notte, esso sarà approvato (con la fiducia posta dal governo) disciplinatamente dalla maggioranza parlamentare. Risultato, abbiamo realizzato la dittatura dentro la cornice formale di una costituzione democratica. Un uomo solo (Renzi), presenta la legge, la blinda con la fiducia e la modifica sino all'ultimo istante, obbligando dei partlamentari compiacenti ad ubbidirgli. Immagina ora uno scenario totalmente diverso. Se Renzi fosse non il padrone del suo partito, ma soltanto uno dei dirigenti di un gruppo coeso e solidale, e l'elaborazione della legge di stabilità venisse elaborata nel corso di un lungo processo durato parecchi mesi, o dentro le strutture del partito (di un partito vivo, le cui sedi fossero frequentate da tanta gente), o nel caso si arrivasse a un cambiamento istituzionale, dentro la società nel suo complesso, nei luoghi di lavoro, dove la gente vive ed opera, allora io credo che anche un dirigente non convinto di una certa scelta avrebbe motivazioni sufficienti (il complesso del progetto politico) che lo potrebbero convincere anche a votare contro la propria personale opinione.
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