La lotta per il potere è senza sosta e non ammette zone franche, incessante e coinvolgente ogni ambito sociale.
Ciò è dovuto alla natura stessa del potere, ma trova motivi per raffozzarsi, per divenire più soffocante nel caso in cui l'ordinamento politico sia di tipo democratico.
Se come si desume già a livello etimologico la democrazia prevede un potere diffuso, appunto il potere del popolo, se quindi non è più una questione limitata a una lotta tra elite opposte, allora è inevitabile che chi aspira al potere o che già lo detiene, debba per raggiungere i suoi obiettivi coinvolgere l'intero corpo sociale...
Forse, sta qui l'errore fondamentale dei sostenitori della democrazia diretta, che partendo dal presupposto assunto fideisticamente che la dimensione pubblica delle decisioni sia di per sè una forma di garanzia della loro congruità, sottovaluta, anzi direi ignora del tutto, la capacità potenziale del potere di condizionare l'intero corpo sociale, o quantomeno la sua maggioranza.
Un'ulteriore e credo definitiva conferma dell'interesse enorme che esiste dell'accesso diretto ed immediato alle singole persone ci viene dalla mole di servizi gratuiti che possiamo ottenere o anonimamente o ancora in misura maggiore fornendo i nostri contatti. Basti citare le TV commerciali che non ci chiedono certo di pagare per assistere ai loro programmi ed allo stesso modo i servizi di informazione e non soltanto, gratuitamente disponibili sul web.
Chi aspira al potere oggi, avendone i mezzi finanziari, può accedere direttamente agli elettori, ed ecco spiegato il prevalere di una politica leaderistica.
Tutti noi siamo ben lieti di potere usufruire di una serie di servizi gratuiti, e non c'è ragione di smettere di usufruirne. Dovremmo però nel contempo renderci conto che il nostro "benefattore" è in realtà più interessato di noi a stabilire questo rapporto.
Come ogni rapporto interpersonale, esso è destinato ad essere spontaneamente sbilanciato, è inevitabile che uno dei due tenda a prevalere, cioè a condizionare più del partner il rapporto. Se poi esistono ragioni strutturali del tipo che uno dei due è un grosso finanziere, dispone di molti strumenti mediatici, ha al suo servizio uno stuolo di consulenti di comunicazione, mentre l'altro è un comune cittadino che come tale dispone di modesti mezzi finanziari e spesso anche culturali, è abbastanza ovvio che il più forte riesca ad imporre il suo messaggio.
Faccio notare come l'ideologia liberale, ad esempio in una versione considerata comunemente progressista come in Rawls, mette la libertà al di sopra della giustizia, nel senso che la giustizia può essere perseguita solo dopo avere soddisfatto tutti i requisiti di libertà. Banalmente, Rawls sembra ignorare che non esiste la libertà ma esistono le libertà, e tali libertà sono così tanto in conflitto tra loro da rendere impossibile occuparsi di giustizia, oltre ovviamente da costringerci a scelte su quale specifica libertà privilegiare, il che sarà sempre discrezionale.
Ad esempio, la libertà d'impresa ed in genere di arricchirsi genera immediatamente e direi inevitabilmente una asimmetria di potere, perchè il soggetto più ricco avrà mezzi infinitamente maggiori di ciascuno di noi, e con tali mezzi influenza i comportamenti collettivi facendo leva sulla nostra natura di esseri sociali.
Per quanto mi riguarda, io ritengo questo il problema principale del capitalismo, in quanto influenza i rapporti di forza, il fatto che un soggetto riesce a determinare il modo prevalente di pensare molto più di intere comunità di persone che dispongono di risorse economiche limitate. Al confronto, le condizioni di vita differenti, il lusso della vita del ricco e gli stenti della vita del povero mi appaiono decisamente meno gravi, convinto, malgrado "il buon senso" alla Maurizio Costanzo, che gli oggetti di cui ci circondiamo non influenzano in maniera significativa la qualità della vita che conduciamo, soprattutto superata una certa soglia che è collocata abbastanza in basso.
Dico questo perchè considero la politica come una disciplina che si deve confrontare sempre col problema del potere, il cui possesso è da sempre connaturato all'uomo. Il fatto che oggi si parli più di economia, è secondo me uno degli aspetti dell'ideologia dominante che, riconoscendo alla ricchezza un valore oggettivo, fa erroneamente coincidere potere e denaro. La conseguenza è che se il denaro riassume in sè le caratteristiche del potere, la politica non ha più udienza, deve cedere il passo all'economia ed ai suoi falsi automatismi.
Ricordo che in altre epoche storiche, il potere si identificava con altri aspetti, ad esempio nel medioevo, un qualsiasi feudatario veniva valutato sulla base dei cavalieri armati che era in grado di mobilitare e non avrebbe mai scambiato i suoi cavalieri per nessuna somma di denaro.
Tornando adesso dopo questa ampia parentesi al tema principale, l'origine del problema di cui qui tratto sta come ho già detto, nello sviluppo tecnologico che permette oggi ad un singolo soggetto di venire a diretto contatto con unan quantità enorme di cittadini, con la potenzialità di condizionarne il modo di pensare.
Prima di oggi, questo problema non poteva neanche porsi, perchè eravamo nell'era che io chiamo della "comunicazione impedita". Per meglio apprezzare la differenza, pensiamo all'ottocento, quando le notizie viaggiavano in groppa ai cavalli, fondamentalmente tramite la diffusione postale dei giornali. Allora, un politico doveva necessariamente affidare a dei giornalisti quanto voleva comunicare ai cittadini, creando un primo filtro tra chi trasmetteva e chi riceveva. Un ulteriore filtro era costituito dal fatto che poche persone leggevano i giornali, o per conclamato analfabetismo o soltanto perchè avrebbero comunque preferito comprare un boccale di birra o un bicchiere di vino piuttosto che un giornale.
E' evidente che ogni filtro modifica in qualche misura il messaggio, e per questo la comunicazione impedita dava luogo ad un processo di mediazione dell'informazione, come se questi due filtri esercitassero una sorta di sua predigestione, in modo che il destinatario finale riceveva qualcosa che meglio egli poteva assimilare in base alla sua cultura storica e personale.
Il fatto che oggi lo stuff di Renzi possa tramite tweet diffondere una frase del premier e che tale frase è potenzialmente ricevibile da un enorme nuemro di soggetti in giro per il mondo intero, cambia completamente le cose, siamo nel periodo che io chiamo dell'immediatezza, in opposizione a mediazione.
La prima cosa che cambia è che il potente di turno deve oggi badare alla forma del messaggio. Esso non andrà in mano a soggetti particolarmente qualificati come i giornalisti che almeno in teoria dovrebbero essere in grado di maneggiare adeguatamente le informazioni, ma andrà in mano direttamente a destinatari indistinti, e in questo caso non è l'informazione ma il suo effetto in termini soprattutto di consenso, il cuore della comunicazione, si tratta in tutto e per tutto di un messaggio pubblicitario. In uno spot pubblicitario non vi è alcuna effettiva finalità informativa, al contrario il messaggio è finalizzato ad oscurare i fatti e a farli apparire tutto il contrario di ciò che in realtà sono.
Ebbene, questo invocare strumenti di democrazia diretta sembra del tutto ignorare questo problema connesso alla dicotomia mediato/immediato che tentavo di illustrare prima. Basterebbe io penso considerare le cose da un pochino di tempo prima del momento in cui si esprime la propria opinione, ha cioè a che fare con il modo in cui viene a costituirsi una determinata opinione, ad esempio la scelta di voto.
Richiamando un esempio già altrove richiamato, se improvvisamente milioni di ragazzine si precipitano a comprare jeans a vita bassa, e per mesi stenti a vederne anche soltanto una che abbia i normali jeans che da decenni eravamo abituati a vedere, penso che il perchè tutto questo sia potuto avvenire, te lo devi chiedere, non penso sia lecito far finta di niente e crdere che ognuna di quei milioni di ragazzine abbia come propria libera scelta acquistato questo nuovo modello di jeans.
La socialità umana è fortissima, e se non ne diventiamo pienamente consapevoli, scambieremo un'opinione espressa liberamente con un'opinione maturata liberamente, due concetti profondamente differenti.
La democrazia diretta del web, predicata dal compianto Casaleggio, ha a che fare con opinioni liberamente espresse, ma non certo con opinioni maturate liberamente, almeno non automaticamente.
Io comunque non mi fiderei mai di un soggetto che fosse scelto per un ruolo di responsabilità da alcune decine di migliaia di persone che non lo conoscono neanche e che lo preferiscono sulla base di parametri che sembrano avere a che fare più con fattori di natura emozionale che razionale.
Allo stesso modo, sostituire un partito di militanti com'era il PCI di un tempo, con il partito delle primarie, riducendo lo spazio di scelta alle poche alternative su un determinato nome, mortifica la democrazia.
Io credo nella strada esattamente opposta, nel costruire un partito di militanti, di gente la cui scelta di vita, la cui idoelogia, sia esattamente nota, che ha sposato un obiettivo collettivo e che di quel progetto si fa strumento in mezzo ai suoi concittadini. Penso ad un partito radicato nel territorio, in grado di conoscere personalmente le persone che poi saranno i suoi potenziali elettori e di essere da loro conosciuto, in modo che tali elettori sappiano perchè lo votano, che votando lui votano per un determinato partito e quindi per un determinato progetto politico.
Parte dell'essere alternativi deve necessariamente includere lo stesso modo di fare politica, non può certo limitarsi ai contenuti della proposta politica.
Un vero partito, per essere davvero egemone, deve confrontarsi uno per uno con i propri elettori, come era scontato facesse solo alcuni decenni fa, anche se allora non vi erano molte alternative. Oggi che la tecnologia permette di saltare tutti questi passaggi e costruire un rapporto tra un unico leader che manda i messaggi e la plebe che li raccoglie, magari credendo di compiere un ruolo fondamentale per la democrazia, si devono rifiutare queste modalità oggi disponibili per affermare nuovamente la democrazia come una procedura non aggirabile, a cui necessariamente sottostare per definirsi davvero democratici.
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