martedì 31 maggio 2016

CONTRO LA SOCIETA' DI MERCATO

Uso spesso nei miei post l'aggettivo "anticapitalistico" che letteralmente significa contro il capitalismo.
Tuttavia, in questo post vorrei essere più chiaro, perchè non vi è concordanza a livello teorico sul significato di capitalismo...


Basta che consultiate wikipedia per vedere quante differenti significati siano stati invocati a proposito di questo per il resto abusato termine. 

Io mi limiterei qui a citare la definizione molto nota data dal marxismo, che lo identifica con la proprietà privata dei mezzi di produzione, e che io ritengo inadeguata perchè nega, in maniera stranamente analoga ai più strenui sostenitori del capitalismo, la specificità del sistema economico in cui l'occidente si trova a vivere dall'ottocento.

A fronte di questa definizione, c'è la scelta di Polanyi, un pensatore molto originale che ha vissuto nella prima metà del novecento, che distingue tra mercantilismo e società di mercato.
 
Il mercantilismo ha una lunga tradizione, ed identifica semplicemente la presenza dell'iniziativa privata. Come tale, data da almeno il basso medioevo, ed ha storicamente costituito l'affiorare e l'emergere della classe produttiva, la borghesia. 
Dalla fine del settecento, iniziò un processo storico che determinò la scomparsa degli ultimi residui del sistema medievale, portando infine prima della metà dell'ottocento al prevalere della società di mercato.
 
La differenza maggiore tra mercanitlismo e società di mercato sta nel fatto che in quest'ultima tutto diventa merce.
In particolare, la moneta, la terra ed il lavoro umano vengono del tutto assimilati a merci e soggette quindi alle regole di mercato. L'espressione "società di mercato" si riferisce appunto al fatto che il mercato e le sue regole non rappresenta una porzione per quanto ampia della società, ma ne rappresenta la regola universale di funzionamento.

La mia adesione alle definizioni di Polanyi mi portano quindi a non considerare decisiva la questione della proprietà dei mezzi di produzione, spostando il centro dell'attenzione verso il funzionamento generale della società, cosa che si collega strettamente alla necessità del capitale di condizionare fin nel profondo il modo di pensare, collocando l'aspetto ideologico come prioritario.
 
Quali sarebbero quindi le differenze che possiamo immaginare in una società come la desideriamo noi, rispetto a quella in cui ci troviamo a vivere?

Il punto fondamentale sta nel fatto che nella società di mercato il capitalista non solo può attirare su di sè risorse finanziarie enormemente maggiori rispetto alla gente comune, ma, ciò che appare come l'aspetto più grave, determina con le sue scelte di investimento, la vita delle persone.
In sostanza, come del resto è facile osservare oggi nelle società occidentali, la democrazia viene conculcata in quanto una singola persona che disponga di mezzi finaziari adeguati, può condizionare le scelte dell'intera comunità in modo determinante, lasciando al resto della società la magra alternativa tra l'adeguarsi alle conseguenze degli investimenti che il capitalista ha scelto, e il rifiutarle essendo così automaticamente collocato ai margini.
 
Insomma, l'aspetto più grave sta a mio modo di vedere non nell'aspetto economico diretto, per cui egli può disporre di molte più merci rispetto a un comune cittadino, ma nella quota di potere molto maggiore che egli possiede per il fatto stesso di essere così ricco.

Se questo è l'aspetto di maggiore gravità, la società che io immagino dovrebbe come prima cosa impedire ad una singola persona di influenzare così profondamente la collettività di cui fa parte.
 
Questa società dovrebbe adottare un tipo di economia pianificata, in cui quindi le scelte economiche come tutte le decisioni politiche, dovrebbero essere elaborate collettivamente. Stabilito il piano, sarebbe consentito a investitori privati di realizzare imprese nei settori che il piano promuove, proibendo nel contempo l'investire in settori che il piano considera svantaggiosi.
 
Le aziende di proprietà pubblica costituirebbero la struttura fondamentale dell'economia, mentre nulla vieterebbe a privati di integrare questo sistema, purchè tale integrazione non contraddica il piano economico generale. 

Realizzare una politica economica in generale, richiede come aspetto preliminare un definire un dentro e un fuori, cioè che lo stato possa delimitare un suo proprio spazio di intervento, prescindendo così dalla situazione al suo esterno. 
Ciò implica la definizione di un territorio statale i cui confini devono necessariamente essere controllati, e attraverso cui quindi sia impedito il libero transito di capitali, merci e persone. Il transito ci deve naturalmente essere, ma non indiscriminato, ma al contrario, accuratamente selezionato.

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