giovedì 21 novembre 2013

UN FRONTE ANTIEURO DA ORGANIZZARE SU SCALA CONTINENTALE

Adesso, hanno davvero paura. Tutti questi governanti cialtroni europei che insistono nel considerare compatibili i vincoli europei e l'uscita dalla crisi, cominciano a fiutare questo nuovo clima che si va diffondendo tra i governati.
La scadenza ormai prossima del rinnovo del parlamento europeo, costituisce un appuntamento della massima rilevanza, e rimango sgomento nel vedere come esse siano sottovalutate anche nel fronte di opposizione a questo ceto politico che domina attualmente in Europa, almeno per quanto attiene il nostro paese...

Nel mio minuscolo, ho tentato di sollecitare un impegno da parte di quegli ambienti politici che si oppongono alle linee dominanti di politica economica che c'hanno portato sin qui, ma devo riscontrare una sostanziale apatia anche nella blogsfera.
Eppure, essi hanno paura, si sentono sempre più assediati da questo moto di opposizione che essi tentano di contrastare definendolo "populista". Ancora ieri sera quel fantoccio del nostro premier diceva che alla prossime elezioni si confronteranno da una parte l'Europa dei popoli e dall'altra quella dei populisti. Questo bisogno di serrare le fila, di cui fa certo parte l'incontro pluriministeriale Italia-Francia, tenutosi ieri a Roma, dimostra la sostanziale debolezza di questo fronte, che non trova di meglio che tentare di sostenersi l'un l'altro, che poi a pensarci su, è un ottimo modo per cadere tutti assieme nello stesso istante.
Ormai, non hanno argomenti, vanno avanti con le loro litanie, come sul ribadire periodicamente l'impegno sulla TAV (merci, per chi non lo ricordasse) Torino - Lione, sulla conferma delle ingentissime spese militari, dell'accettare la politica economica dettata dalla Germania ed attuata in prima persona dalla BCE di Draghi, pretendendo quasi per magia che tutto ciò sia compatibile con una crescita significativa dell'occupazione.
In effetti, se il fronte dell'Europa delle banche, definita in certi ambientacci politici come europa dei popoli, tenta di organizzare la battaglia per mantenere nelle proprie mani il potere, logica vorrebbe che anche il fronte che si oppone si organizzasse. Purtroppo, su questo piano più che invocare un impegno adeguato, non posso fare.
Tuttavia, c'è un aspetto che si può considerare anch'esso organizzativo almeno in senso lato, e che riguarda la definizione di una linea politica efficace e coerente di questo fronte politico potenziale.
C'è, e probabilmente rappresenta la maggioranza di questo fronte, una linea che individua nell'uscita dall'euro la soluzione alla presente situazione.
Questa misura si potrebbe considerare una specie di ciò che in aritmetica si chiama "minimo comune multiplo".
Direi che sia ormai un'evidenza per tutti coloro che non sono preda del furore ideologico del pensiero dominante, che la moneta è un elemento ineliminabile di una politica economica, e che non è possibile perseguire politiche economiche differenti (magari perchè le situazioni economiche nei paesi coinvolti sono differenti) condividendo nel contempo la stessa moneta.
Tuttavia, è a tutti evidente che il rifiuto dell'euro non fa da solo una politica economica, per cui due tesi vengono in evidenza. 
Da una parte, c'è chi dice che il rifiuto dell'euro è un punto di partenza. Costoro sostengono che proprio perchè questo punto costituisce l'unica opinione condivisa, se si vuole vincere, non bisogna approfondire la questione, meglio avere una parola d'ordine comune, e una volta che avremo vinto, chi avrà più benzina prevarrà. 
La posizione alternativa è di quelli come me che al contrario credono che debbano essere messe sul tappeto le tesi esistenti, che non serva nasconderci le differenze. Che poi si possa marciare tutti assieme per alcuni obiettivi comuni mantenendo le differenze su altre tematiche, è una cosa ovvia. La chiarezza è per me un valore in sè, condividere obiettivi comuni con gruppi che magari sono abbastanza distanti come collocazione politica generale è certamente possibile, ed ha anche un nome, si chiama "politica delle alleanze", con il che non si finge di essere d'accordo su tutto, ma appunto che l'accordo è strettamente deimitato ad alcuni punti specifici, ci si allea con chi non è come te, sennò si milita nello stesso partito. 
Le posizioni all'interno del fronte antieuro sembrano nel frattempo radicalizzarsi, il fatto che questa scelta implichi un giudizio molto severo verso la stessa unione europea è ormai un fatto assodato, e non sono pochi coloro che oggi pensano a una coincidenza tra abbandono dell'euro ed abbandono della stessa UE. 
Il punto di maggiore resistenza è oggi costituito dalle scelte sul debito pubblico italiano, così ingente ed ingombrante. 
Taluni pesano che sia addirittura un falso problema, tutto andrà a posto con l'effeto combinato della svalutazione, comunemente valutata di qualcosa come il 30%, e l'aumento del PIL che seguirebbe l'uscita dall'euro. 
Altri, e sono tanti, parlano di una non meglio specificata ristrutturazione del debito, e credo che sarebbe un utile elemento di chiarezza essere più espliciti su cosa si intenda con questa espressione. Se capisco bene, dovrebbe intendersi una transazione con le banche, sia estere che italiane, che dovrebbe portare ad una riduzione dell'importo complessivo di tale parte del debito, mantenendo inalterati gli obblighi nei confronti dei privati, forse ponendo una soglia massima di rimborso verso questi soggetti. 
Infine, c'è chi come me, ma ammetto che siamo pochi a pensarla così, che il debito vada annullato con una procedura di fallimento che stabilisca l'entità della cifra che si intende rimborsare e contestualmente l'ordine di priorità in tale restituzione. 
Così, pur comprendendo quest'esigenza di formulare la proposta in modo che sia chiaro che non stiamo distruggendo i risparmi di una vita della vecchietta che ne ha bisogno per integrare la sua magra pensione, anche la procedura fallimentare non avrebbe un esito differente, un rimborso in varie percentuali può essere predisposto per soggetti differenti.
Sono viceversa in totale disaccordo con la prima ipotesi, proprio perchè l'esistenza del debito diventa un'arma puntata su di noi per imporci la crescita, visto che ad essa sarebbe affidata l'uscita dai problemi di debito. 
Chi mi legge abitualmente, sa che io mi considero ambientalista, ma non decrescista, in quanto ritengo che il miglior modo di superare la mentalità dominante che vuole la crescita ininterrotta dell'attività economica mondiale sia di abbandonare del tutto la logica del PIL. Ciò che io rimprovero ai decrescisti è che nella formulazione delle loro tesi, finiscono anch'essi per riferirsi all'andamento del PIL, restando in modo differente dipendenti ancora dal PIL. 
In ogni caso, è per me evidente che un'ulteriore crescita, soprattutto nelle forme anarchiche del mercato, sia del tutto incompatibile con il rispetto dell'ambiente. 
Il punto non è se crescere o decrescere ma dove crescere e dove decrescere, avendo come obiettivo l'occupazione. 
Per queste ragioni, credo che sia attuale parlare dell'ipotesi di default, nel modo e nelle forme che dicevo e che andrebbero ulteriormente approfondite.

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