Oggi, è apparso su Repubblica, un articolo di Barbara Spinelli, quasi una risposta a Mario Draghi.
Effettivamente, le argomentazioni
della Spinelli sembrano ragionevoli, sono certamente apprezzabili, ma io
rimango dell’opinione di Draghi, che cioè il welfare state all’europea sia
morto e sotterrato.
Non equivocate, per quelli della
mia generazione, cresciuti a latte e welfare, è ben duro dovere prendere atto
della situazione attuale, ma servirebbe a qualcosa nascondersi la realtà?
Il capitalismo dal volto mite,
quello che seguendo Keynes, Beveridge e Roosevelt ha dominato dal dopoguerra
fino agli anni settanta, è finito da un pezzo, distrutto dalle insufficienti
difese che una sinistra presto priva della presenza dell’URSS, una continua
minaccia per il mondo capitalistico, ha apprestato all’ondata liberista.
Certo, ci sarebbe da ironizzare
sul concetto che questi banchieri hanno del nuovo mondo, che in realtà somiglia
tanto all’Inghilterra descritta dai romanzi di Charles Dickens. Alla fine, mi
pare che si stia solo chiudendo una parentesi per quanto lunga, in cui i
capitalisti hanno moderato i loro appetiti perché la miseria lasciata dalla
guerra e i contemporanei sviluppi della tecnologia assicurava un tale tasso di
crescita che ce n’era ad abbondanza per tutti...
Oggi, la natura finanziaria della
crisi, lo strano rapporto tra debito pubblico e debito privato rischia di
nascondere la vera natura della crisi che è sistemica, cioè riguarda l’intero
sistema capitalistico globale. I reali fattori di crisi stanno nella sempre
maggiore diffusione dei mezzi tecnologici che ha consentito a nuove nazioni e
nuove popolazioni l’accesso a quegli stessi mezzi di produzione efficienti che
avevano fino ad allora consentito ai paesi più sviluppati, in primis l’Europa,
di vincere la competizione sulla produttività, mentre dall’altra si cominciano a sentire i limiti allo sviluppo che un mondo
divenuto improvvisamente fin troppo limitato mostra impudicamente.
Se le cose stanno così, la
Spinelli e tutti i sinceri democratici che hanno investito tanto
nell’immaginare e contribuire a questo capitalismo dal volto umano, devono
farsene una ragione, una risposta di tipo socialdemocratico non esiste.
L’Italia è la triste avanguardia di questa nuova situazione politica in cui
l’esistenza dei partiti è un ostacolo, o tuttalpiù è inutile, perché ciò che è
giusto e doveroso fare è accettare l’ordine esistente che vede nella crescita e
nel mercato che la promuove l’unica logica esistente. Questo è quanto c’ha
spiegato Napolitano quando ha deciso di conferire il mandato di formare il nuovo
governo a Monti. Poco importa se ciò che pensano Napolitano e Monti, come pure
quei meschinetti di parlamentari che votano disciplinatamente i provvedimenti,
in Italia, e un’intera classe dirigente in Europa, è sbagliato, rappresenta
soltanto una dose sempre crescente di una medicina che già si è rivelata
tossica, finchè sarà possibile farlo credere alla gente, tutto potrà continuare
ad avvenire secondo i desideri dei banchieri alla Draghi.
Mi chiedo dove stia lo spazio
politico della socialdemocrazia in questo mondo, e d’altra parte, l’appoggio
che il PD da’ a governo Monti in Italia, la standing ovation che gli è stata
tributata proprio dai socialdemocratici nel parlamento europeo durante la sua
recente visita. Sono evidenze ineludibili del fatto che costoro non sono in
grado di rappresentare alcuna alternativa possibile alle politiche liberiste,
sedicenti tecnocratiche.
Ciò che sta avvenendo in Europa è
la caduta verticale del ruolo stesso dei politici di professione (ma per favore
non diciamo la scempiaggine della sospensione della politica), ma ciò che
invece non appare altrettanto chiaramente è la caduta dell’intera classe
dirigente che non include solo i politici, ma è molto più vasta, a partire dal
settore dell’informazione, passando per i grandi capitalisti e banchieri, per
tutti coloro che per ruolo ricoperto esercitano potere sulla società.
Oggi, i nuovi ambiziosi, i nuovi
candidati a gestire il potere ci propongono una minestra già putrefatta come se
si trattasse di un piatto appena preparato e fragrante nella sostanziale
indifferenza del pubblico.
Se dovessi dare un nome alla
caratteristica principale del presente della nostra società, e quando dico
nostra intendo europea, dovrei usare la parola “paura”, perché paura è ciò che
io vedo attorno a me.
Vedo appunto persone incapaci di
affrontare senza riserve un ragionamento sul presente, pieni tuttora di
tantissimi pregiudizi, che pensano ancora di potersi aggrappare al modello
prevalente magari con molti mugugni, ma senza sapersi dare una visione
alternativa. Eppure, le cose nel loro sviluppo oggettivo imporrebbero
cambiamenti radicali, mandare via questi falsi maestri (e salvatori della
patria) a calci nel sedere, promuovere quella rivoluzione culturale necessaria
che da’ il titolo al mio libro.
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