mercoledì 29 febbraio 2012

IL WELFARE CHE FU


Oggi, è apparso su Repubblica, un articolo di Barbara Spinelli, quasi una risposta a Mario Draghi.
Effettivamente, le argomentazioni della Spinelli sembrano ragionevoli, sono certamente apprezzabili, ma io rimango dell’opinione di Draghi, che cioè il welfare state all’europea sia morto e sotterrato.
Non equivocate, per quelli della mia generazione, cresciuti a latte e welfare, è ben duro dovere prendere atto della situazione attuale, ma servirebbe a qualcosa nascondersi la realtà?
Il capitalismo dal volto mite, quello che seguendo Keynes, Beveridge e Roosevelt ha dominato dal dopoguerra fino agli anni settanta, è finito da un pezzo, distrutto dalle insufficienti difese che una sinistra presto priva della presenza dell’URSS, una continua minaccia per il mondo capitalistico, ha apprestato all’ondata liberista.
Certo, ci sarebbe da ironizzare sul concetto che questi banchieri hanno del nuovo mondo, che in realtà somiglia tanto all’Inghilterra descritta dai romanzi di Charles Dickens. Alla fine, mi pare che si stia solo chiudendo una parentesi per quanto lunga, in cui i capitalisti hanno moderato i loro appetiti perché la miseria lasciata dalla guerra e i contemporanei sviluppi della tecnologia assicurava un tale tasso di crescita che ce n’era ad abbondanza per tutti...
Oggi, la natura finanziaria della crisi, lo strano rapporto tra debito pubblico e debito privato rischia di nascondere la vera natura della crisi che è sistemica, cioè riguarda l’intero sistema capitalistico globale. I reali fattori di crisi stanno nella sempre maggiore diffusione dei mezzi tecnologici che ha consentito a nuove nazioni e nuove popolazioni l’accesso a quegli stessi mezzi di produzione efficienti che avevano fino ad allora consentito ai paesi più sviluppati, in primis l’Europa, di vincere la competizione sulla produttività, mentre dall’altra si cominciano a sentire i limiti allo sviluppo che un mondo divenuto improvvisamente fin troppo limitato mostra impudicamente.
Se le cose stanno così, la Spinelli e tutti i sinceri democratici che hanno investito tanto nell’immaginare e contribuire a questo capitalismo dal volto umano, devono farsene una ragione, una risposta di tipo socialdemocratico non esiste. L’Italia è la triste avanguardia di questa nuova situazione politica in cui l’esistenza dei partiti è un ostacolo, o tuttalpiù è inutile, perché ciò che è giusto e doveroso fare è accettare l’ordine esistente che vede nella crescita e nel mercato che la promuove l’unica logica esistente. Questo è quanto c’ha spiegato Napolitano quando ha deciso di conferire il mandato di formare il nuovo governo a Monti. Poco importa se ciò che pensano Napolitano e Monti, come pure quei meschinetti di parlamentari che votano disciplinatamente i provvedimenti, in Italia, e un’intera classe dirigente in Europa, è sbagliato, rappresenta soltanto una dose sempre crescente di una medicina che già si è rivelata tossica, finchè sarà possibile farlo credere alla gente, tutto potrà continuare ad avvenire secondo i desideri dei banchieri alla Draghi.
Mi chiedo dove stia lo spazio politico della socialdemocrazia in questo mondo, e d’altra parte, l’appoggio che il PD da’ a governo Monti in Italia, la standing ovation che gli è stata tributata proprio dai socialdemocratici nel parlamento europeo durante la sua recente visita. Sono evidenze ineludibili del fatto che costoro non sono in grado di rappresentare alcuna alternativa possibile alle politiche liberiste, sedicenti tecnocratiche.
Ciò che sta avvenendo in Europa è la caduta verticale del ruolo stesso dei politici di professione (ma per favore non diciamo la scempiaggine della sospensione della politica), ma ciò che invece non appare altrettanto chiaramente è la caduta dell’intera classe dirigente che non include solo i politici, ma è molto più vasta, a partire dal settore dell’informazione, passando per i grandi capitalisti e banchieri, per tutti coloro che per ruolo ricoperto esercitano potere sulla società.
Oggi, i nuovi ambiziosi, i nuovi candidati a gestire il potere ci propongono una minestra già putrefatta come se si trattasse di un piatto appena preparato e fragrante nella sostanziale indifferenza del pubblico.
Se dovessi dare un nome alla caratteristica principale del presente della nostra società, e quando dico nostra intendo europea, dovrei usare la parola “paura”, perché paura è ciò che io vedo attorno a me.
Vedo appunto persone incapaci di affrontare senza riserve un ragionamento sul presente, pieni tuttora di tantissimi pregiudizi, che pensano ancora di potersi aggrappare al modello prevalente magari con molti mugugni, ma senza sapersi dare una visione alternativa. Eppure, le cose nel loro sviluppo oggettivo imporrebbero cambiamenti radicali, mandare via questi falsi maestri (e salvatori della patria) a calci nel sedere, promuovere quella rivoluzione culturale necessaria che da’ il titolo al mio libro.

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