lunedì 27 febbraio 2012

I FISCHI A NAPOLITANO ED IL MERCATO


Ci volevano proprio il carattere e la determinazione dei sardi perché si uscisse da questo strano clima di unanimità e di falsa concordia nazionale con i fischi recentemente tributati a Napolitano.
Il Presidente può certamente affermare di non essere il rappresentante delle banche, ma gli verrà certamente più complicato spiegare perché faccia e dica le cose che ci si potrebbe aspettare proprio dall’establishment bancario.
Il problema, Presidente, non è cosa Lei sia soggettivamente, ma certi aspetti oggettivi che non possiamo nascondere sotto il tappeto degli interessi nazionali. Presidente, svolgere il ruolo di salvatore della patria è un mestiere ben duro, bisogna quindi che Lei porti pazienza, spieghi ad esempio perché un lavoratore dovrebbe giudicare in maniera differente il rimanere disoccupato se fa parte di un pacchetto di provvedimenti per ridurre il deficit di bilancio, o il rimanerlo in seguito a un default del bilancio statale.
Presidente, certamente mi sbaglierò, ma mi pare che in Grecia sia già andato in onda l’esperimento che voleva risolvere i problemi di quel paese con misure di grande rigore finanziario: quelle misure stanno portando quel paese sul ciglio del baratro ed ormai nessuno lo nega, neanche quei politici che hanno spinto verso questa situazione. Tutto ciò che si riesce a fare è soltanto ritardare il momento del default per l’ovvio motivo che il rapporto tra un debito che non può essere ridotto, ma al massimo si può mantenere costante, ed un PIL in picchiata a causa proprio delle misure di rigore finanziario, tende ad aumentare e non a ridursi, come quando si tenti di sciogliere un nodo ed invece lo si stringa sempre più fino al soffocamento...
Lei e soprattutto il suo senatore a vita ed oggi premier Mario Monti agitate il caso della Grecia come spauracchio, ma in realtà proprio questo esempio è la dimostrazione dimostrata che quella strada non fa uscire dal baratro ma al contrario lì porta diritti diritti.
Dovremmo forse fidarci dei dogmi liberisti che Monti nomina sempre come un mantra, secondo cui per creare occupazione è una cosa da principianti assumere persone e farle lavorare, che invece bisogna creare le condizioni, togliere lacci e laccioli, e le forze del libero mercato, libere di agire indisturbate, si potranno dispiegare in piena libertà?
Le forze del mercato, che tendono a favorire la competizione, lo fanno riducendo i costi, il che significa aumentando l’automazione degli impianti, o pagando sempre meno i propri lavoratori. Alla fine, visto che di competizione si tratta, ci sarà un vincitore ed uno sconfitto. Lo sconfitto sarà costretto a chiudere e licenziare i suoi lavoratori, ed il vincente avrà sì vinto, ma avrà anch’egli ridotto l’occupazione e pagato di meno i propri lavoratori, perché questo è il fattore determinate per vincere la concorrenza. Insomma, un lavoratore ha solo la scelta tra due differenti meccanismi di impoverimento, e questo sarebbe il fascino inebriante del mercato?
Si capisce, il premier ha dalla sua il fascino del potere, i mezzi di comunicazione di massa proni ad acclamarlo, ma Presidente, apprenda dai fischi subiti in Sardegna, prima o poi la gente si sveglia e si accorge che gli stanno raccontando cose impossibili, questi potenti così prigionieri essi stessi dei meccanismi ideologici liberisti.
Mi pare che non è lontano il tempo in cui l’espressione “salvatore della patria” diventerà quello che merita di essere, un insulto rivolto a chi più o meno consapevolmente ha finito con lo sposare gli interessi del sistema bancario globale.

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