Questo post si
articola in tre parti che corrispondono a quelli che mi sembrano essere tre punti critici del sovranismo, e cioè l’uso del termine “costituzionale”,
e in genere il rapporto con la costituzione del ’48, un secondo corrisponde a
una questione divenuta di particolare attualità oggi, e cioè il rapporto con
l’antifascismo, ed infine la questione della tempistica nell’azione sovranista...
Per quanto
riguarda il primo punto, ho da sempre considerata l’espressione “sovranismo
costituzionale” riferito al requisito generale che la sovranità venisse
esercitata da uno stato dotato di una costituzione democratica, salvo scoprire
che coloro che mi avevano preceduto lungo la strada del sovranismo intendevano
tutt’altro, e cioè che il movimento sovranista si dichiarava costituzionale nel
senso di assumere la costituzione nella sua versione originale, la costituzione
del ’48, come suo riferimento politico, da cui quindi derivare obiettivi e
programmi della propria parte o partito.
Io sono
decisamente contrario a questa accezione dell’espressione, per una serie di
motivi.
Innanzitutto, le
costituzioni si scrivono per definire la struttura istituzionale ed i limiti
del potere legislativo del parlamento, e quindi certamente non come carta che
possa mostrare una via politica da percorrere. La costituzione serve insomma a
fornire il quadro all’interno del quale si può e si deve esercitare l’azione
politica.
Nel merito poi,
ed andiamo ad una seconda motivazione, la nostra costituzione è il frutto di un
felice compromesso tra differenti ispirazioni. Ricordo che già prima che
l’assemblea costituente completasse i suoi lavori, i comunisti erano già stati
espulsi dal governo, cioè avveniva in parallelo la fine del clima da CLN con
cui si era affrontata la fase di uscita dal fascismo di cui i lavori
dell’assemblea costituente costituivano la parte terminale, e nel contempo già
ci si era divisi in una maggioranza ed in una opposizione. Ciò da l’immagine
evidente del fatto che l’essere d’accordo sul testo costituzionale non
implicasse per ciò stesso l’avere una concorde proposta politica.
Infine, mi preme
sottolineare come una organizzazione che usasse una carta costituzionale quale
modo di propria definizione, non potrebbe proprio considerarsi una forza
politica, perché si vincolerebbe ad un testo che così inevitabilmente
assumerebbe il ruolo di una specie di testo sacro, l’equivalente della Bibbia
per il cristianesimo. Riprenderò più avanti questa questione.
Si potrebbe
allora avanzare l’ipotesi che la costituzione serva a definire più che una
politica, i suoi limiti, ma neanche ciò sarebbe appropriato perché al contrario
le costituzioni se democratiche devono prevedere anche il proprio superamento,
la propria revisione, e quindi il fatto che sia consentito a una forza politica
di essere contro un testo costituzionale, l’unico vincolo essendo quello di
farlo nei limiti e nei modi previsti dalla costituzione vigente.
Passiamo quindi
al secondo punto, cioè cosa si intenda col definirsi antifascista.
A me pare un
appellativo di comodo e mi riferisco per conferma alla storia della repubblica.
Quando DC e PCI usavano il termine antifascista, ciò serviva a condividere una
certa iniziativa politica, ed era funzionale a condurla assieme senza dovere
smettere di mostrarsi come avversari politici. Nella fase successiva, quella
caratterizzata dalla proposta da parte del PCI del compromesso storico, la cosa
divenne ancora più sporca, si voleva spacciare una proposta di abbandono di
ogni ipotesi rivoluzionaria, con la ripresa di un’iniziativa antifascista.
Per queste
ragioni anche storiche, io rimango sempre molto perplesso di fronte
all’evocazione di questo termine.
Oggi, il fascismo
non è all’ordine del giorno in Italia, mentre lì dove invece è ancora di
attualità, magari sotto forma di nazismo vero e proprio, come tipicamente in
Ucraina, viene attivamente considerato un alleato prezioso. Sicuramente sarà
una mia dimenticanza, ma aiutatemi voi a suggerirmi una singola occasione in
cui l’evocazione dell’antifascismo abbia avuto sbocchi concreti che possiamo
considerare positivi. Per quanto riguarda i miei ricordi, l’antifascismo è
stata sempre una pietosa coperta messa sulle più sporche operazioni che si sono
volute eseguite, spesso per mascherare il proprio comportamento fascista.
D’altra parte,
non possiamo neanche pretendere di essere contemporaneamente antifascisti, ma non
essere parte di un fronte antifascista da altri evocato, perché in tutta
evidenza il definirsi in negativo dell’antifascismo esclude radicalmente l’esistenza
di più tipi di antifascismo. Non possiamo dire che ci dichiariamo antifascisti,
ma a nostro modo, pretendendo di distinguerci da altri antifascisti.
L’antifascismo ha avuto un significato chiaro, univoco
e appropriato solo quando è servito per portarci fuori dal fascismo. Capisco
che ancora per alcuni anni fosse inevitabile una certa inerzia lessicale, ma
siamo ormai a una distanza temporale che rende quel termine del tutto obsoleto
e funzionale ormai a giustificare i nuovi inciuci dell’oggi.
Andiamo ora
all’ultimo punto che mi pare il più importante.
Non so quale sia
l’immagine che avete voi della campagna elettorale in corso. Io ho la distinta
sensazione che essa rappresenti perfettamente lo squagliarsi di un certo
sistema di potere che non tenta neanche di proporsi nelle sue varie
articolazioni come una via d’uscita dal baratro in cui ci stiamo incamminando,
ma si limita soltanto a distruggere gli avversari mostrandone le vergogne,
senza apparentemente capire che così è un intero quadro politico che va
crollando, che la distruzione dell’avversario finisce per tradursi nella
propria distruzione.
Mi pare che
nessuno consideri la fase post-elezioni quale superamento dei problemi del
presente, quindi in realtà l’intero universo politico finisce per mandare il
messaggio su come gestire un processo inarrestabile di declino.
C’è pertanto nel
messaggio sovranista un elemento di attualità, di un punto di vista politico
che rivoluziona il modo di considerare le problematiche politiche, e quindi ha
in nuce la possibilità di avvicinare la gente alla politica, ridando loro la
speranza che se lo vogliamo, possiamo risvegliarci da un lungo sonno.
Io dico, anche se
a qualcuno potrà apparire retorico, che è la storia che ci pone anche
eventualmente nostro malgrado, al centro dello scenario politico, che ci impone
di fornire una nuova luce, una nuova visione, in grado di rischiarare le menti.
Se una lista
autenticamente sovranista si fosse costituita, riuscendo a raccogliere le firme
necessarie alla presentazione, lo stesso segno della campagna elettorale
sarebbe cambiata. Da uno stanco rito mandato in onda da vari schieramenti di
schiavi all’ordine globale, che si confrontano all’ultimo sangue per stabilire
chi lo sia nella maniera più fedele, avrebbe potuto costituire un’occasione
storica di porre al popolo italiano il problema delle sue sorti e dei destini
della nazione.
D’altra parte,
ogni giorno che passa lascia sul terreno nuove vittime tra i nostri cittadini,
producendo effetti irreversibili sulla nostra società. Ancora più gravemente,
esistono purtroppo concrete prospettive ben più catastrofiche, legate nel caso
più lieve a una crisi economica che assumerebbe per dimensione e modalità le
caratteristiche forse finale dello stesso sistema capitalistico, nel caso
peggiore, quello di una guerra anche nucleare generalizzata. Qui sarebbe fuori
luogo e troppo lungo motivare adeguatamente queste tesi catastrofistiche,
prendetele come una possibile prospettiva.
Ritardare in
simili eventualità l’azione politica può significare l’impossibilità anche
futura di incidere sulla realtà, sugli esiti della nostra società e forse dell’umanità
intera.
Pensare di potere
stabilire un proprio autonomo processo di maturazione, pensando che sia questo
il criterio per stabilire il genere di iniziative da attuare, è per un partito
politico assurdo, perché l’azione politica che dipende da condizioni in genere
del tutto sottratte allo stesso soggetto, è per definizione il suo fine
prioritario.
Se tuttavia ci si
concepisce come setta, allora la cosa diventa del tutto plausibile. Una setta
si distingue appunto da un partito perché il processo di crescita dell’organizzazione
è la vera priorità, perché incidere sulla realtà non è l’obiettivo
fondamentale. Si può dire che non è la crescita del movimento ad essere
funzionale a ottenere trasformazioni politico-sociali, ma al contrario la
capacità di incidere serve al proselitismo e alla crescita della setta in
quanto tale.
Perfino i partiti
leninisti, così strutturati e con una funzione centrale per l’avanzamento del
socialismo, sono stati comunque sempre concepiti come uno strumento prezioso per
quanto vuoi, ma sempre strumento dell’agire politico. Una setta invece si
concepisce come scopo ultimo, tutto diventa mezzo della crescita dell’organizzazione.
Coerentemente con
questo approccio, si capisce il senso di prendere come riferimento non una
serie di principii ideologici da adattare alla realtà, ma un testo scritto da
altri e quindi concepito come una Bibbia preso come riferimento immutabile,
anche questo appare nei fatti come coerente al concepirsi come setta.
Tutto il
contrario di ciò di cui io penso avremmo un disperato bisogno, la formazione di
un fronte ampio e quindi che include forze anche molto eterogenee tra loro,
basato su un accordo esplicito e temporaneo, sul modello insomma del Comitato
di Liberazione Nazionale. Ciò è possibile solo se si riconosce un’emergenza
gravissima, quella che io credo ci sia anche oggi, ed è per questo che una tale
prospettiva non siamo in grado di realizzare oggi, a causa cioè dell’incapacità
di riconoscere la gravità della situazione storica in cui ci troviamo ad agire.
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