giovedì 15 febbraio 2018

PUNTI CALDI NEL DIBATTITO SOVRANISTA

Questo post si articola in tre parti che corrispondono a quelli che mi sembrano essere tre punti critici del sovranismo, e cioè l’uso del termine “costituzionale”, e in genere il rapporto con la costituzione del ’48, un secondo corrisponde a una questione divenuta di particolare attualità oggi, e cioè il rapporto con l’antifascismo, ed infine la questione della tempistica nell’azione sovranista...

Per quanto riguarda il primo punto, ho da sempre considerata l’espressione “sovranismo costituzionale” riferito al requisito generale che la sovranità venisse esercitata da uno stato dotato di una costituzione democratica, salvo scoprire che coloro che mi avevano preceduto lungo la strada del sovranismo intendevano tutt’altro, e cioè che il movimento sovranista si dichiarava costituzionale nel senso di assumere la costituzione nella sua versione originale, la costituzione del ’48, come suo riferimento politico, da cui quindi derivare obiettivi e programmi della propria parte o partito.

Io sono decisamente contrario a questa accezione dell’espressione, per una serie di motivi.

Innanzitutto, le costituzioni si scrivono per definire la struttura istituzionale ed i limiti del potere legislativo del parlamento, e quindi certamente non come carta che possa mostrare una via politica da percorrere. La costituzione serve insomma a fornire il quadro all’interno del quale si può e si deve esercitare l’azione politica.

Nel merito poi, ed andiamo ad una seconda motivazione, la nostra costituzione è il frutto di un felice compromesso tra differenti ispirazioni. Ricordo che già prima che l’assemblea costituente completasse i suoi lavori, i comunisti erano già stati espulsi dal governo, cioè avveniva in parallelo la fine del clima da CLN con cui si era affrontata la fase di uscita dal fascismo di cui i lavori dell’assemblea costituente costituivano la parte terminale, e nel contempo già ci si era divisi in una maggioranza ed in una opposizione. Ciò da l’immagine evidente del fatto che l’essere d’accordo sul testo costituzionale non implicasse per ciò stesso l’avere una concorde proposta politica. 
Infine, mi preme sottolineare come una organizzazione che usasse una carta costituzionale quale modo di propria definizione, non potrebbe proprio considerarsi una forza politica, perché si vincolerebbe ad un testo che così inevitabilmente assumerebbe il ruolo di una specie di testo sacro, l’equivalente della Bibbia per il cristianesimo. Riprenderò più avanti questa questione.

Si potrebbe allora avanzare l’ipotesi che la costituzione serva a definire più che una politica, i suoi limiti, ma neanche ciò sarebbe appropriato perché al contrario le costituzioni se democratiche devono prevedere anche il proprio superamento, la propria revisione, e quindi il fatto che sia consentito a una forza politica di essere contro un testo costituzionale, l’unico vincolo essendo quello di farlo nei limiti e nei modi previsti dalla costituzione vigente.

Passiamo quindi al secondo punto, cioè cosa si intenda col definirsi antifascista.

A me pare un appellativo di comodo e mi riferisco per conferma alla storia della repubblica. Quando DC e PCI usavano il termine antifascista, ciò serviva a condividere una certa iniziativa politica, ed era funzionale a condurla assieme senza dovere smettere di mostrarsi come avversari politici. Nella fase successiva, quella caratterizzata dalla proposta da parte del PCI del compromesso storico, la cosa divenne ancora più sporca, si voleva spacciare una proposta di abbandono di ogni ipotesi rivoluzionaria, con la ripresa di un’iniziativa antifascista. 

Per queste ragioni anche storiche, io rimango sempre molto perplesso di fronte all’evocazione di questo termine.
Oggi, il fascismo non è all’ordine del giorno in Italia, mentre lì dove invece è ancora di attualità, magari sotto forma di nazismo vero e proprio, come tipicamente in Ucraina, viene attivamente considerato un alleato prezioso. Sicuramente sarà una mia dimenticanza, ma aiutatemi voi a suggerirmi una singola occasione in cui l’evocazione dell’antifascismo abbia avuto sbocchi concreti che possiamo considerare positivi. Per quanto riguarda i miei ricordi, l’antifascismo è stata sempre una pietosa coperta messa sulle più sporche operazioni che si sono volute eseguite, spesso per mascherare il proprio comportamento fascista. 

D’altra parte, non possiamo neanche pretendere di essere contemporaneamente antifascisti, ma non essere parte di un fronte antifascista da altri evocato, perché in tutta evidenza il definirsi in negativo dell’antifascismo esclude radicalmente l’esistenza di più tipi di antifascismo. Non possiamo dire che ci dichiariamo antifascisti, ma a nostro modo, pretendendo di distinguerci da altri antifascisti.
L’antifascismo ha avuto un significato chiaro, univoco e appropriato solo quando è servito per portarci fuori dal fascismo. Capisco che ancora per alcuni anni fosse inevitabile una certa inerzia lessicale, ma siamo ormai a una distanza temporale che rende quel termine del tutto obsoleto e funzionale ormai a giustificare i nuovi inciuci dell’oggi.

Andiamo ora all’ultimo punto che mi pare il più importante.

Non so quale sia l’immagine che avete voi della campagna elettorale in corso. Io ho la distinta sensazione che essa rappresenti perfettamente lo squagliarsi di un certo sistema di potere che non tenta neanche di proporsi nelle sue varie articolazioni come una via d’uscita dal baratro in cui ci stiamo incamminando, ma si limita soltanto a distruggere gli avversari mostrandone le vergogne, senza apparentemente capire che così è un intero quadro politico che va crollando, che la distruzione dell’avversario finisce per tradursi nella propria distruzione.
Mi pare che nessuno consideri la fase post-elezioni quale superamento dei problemi del presente, quindi in realtà l’intero universo politico finisce per mandare il messaggio su come gestire un processo inarrestabile di declino.

C’è pertanto nel messaggio sovranista un elemento di attualità, di un punto di vista politico che rivoluziona il modo di considerare le problematiche politiche, e quindi ha in nuce la possibilità di avvicinare la gente alla politica, ridando loro la speranza che se lo vogliamo, possiamo risvegliarci da un lungo sonno.
Io dico, anche se a qualcuno potrà apparire retorico, che è la storia che ci pone anche eventualmente nostro malgrado, al centro dello scenario politico, che ci impone di fornire una nuova luce, una nuova visione, in grado di rischiarare le menti.

Se una lista autenticamente sovranista si fosse costituita, riuscendo a raccogliere le firme necessarie alla presentazione, lo stesso segno della campagna elettorale sarebbe cambiata. Da uno stanco rito mandato in onda da vari schieramenti di schiavi all’ordine globale, che si confrontano all’ultimo sangue per stabilire chi lo sia nella maniera più fedele, avrebbe potuto costituire un’occasione storica di porre al popolo italiano il problema delle sue sorti e dei destini della nazione.
D’altra parte, ogni giorno che passa lascia sul terreno nuove vittime tra i nostri cittadini, producendo effetti irreversibili sulla nostra società. Ancora più gravemente, esistono purtroppo concrete prospettive ben più catastrofiche, legate nel caso più lieve a una crisi economica che assumerebbe per dimensione e modalità le caratteristiche forse finale dello stesso sistema capitalistico, nel caso peggiore, quello di una guerra anche nucleare generalizzata. Qui sarebbe fuori luogo e troppo lungo motivare adeguatamente queste tesi catastrofistiche, prendetele come una possibile prospettiva.

Ritardare in simili eventualità l’azione politica può significare l’impossibilità anche futura di incidere sulla realtà, sugli esiti della nostra società e forse dell’umanità intera. 

Pensare di potere stabilire un proprio autonomo processo di maturazione, pensando che sia questo il criterio per stabilire il genere di iniziative da attuare, è per un partito politico assurdo, perché l’azione politica che dipende da condizioni in genere del tutto sottratte allo stesso soggetto, è per definizione il suo fine prioritario.
Se tuttavia ci si concepisce come setta, allora la cosa diventa del tutto plausibile. Una setta si distingue appunto da un partito perché il processo di crescita dell’organizzazione è la vera priorità, perché incidere sulla realtà non è l’obiettivo fondamentale. Si può dire che non è la crescita del movimento ad essere funzionale a ottenere trasformazioni politico-sociali, ma al contrario la capacità di incidere serve al proselitismo e alla crescita della setta in quanto tale.

Perfino i partiti leninisti, così strutturati e con una funzione centrale per l’avanzamento del socialismo, sono stati comunque sempre concepiti come uno strumento prezioso per quanto vuoi, ma sempre strumento dell’agire politico. Una setta invece si concepisce come scopo ultimo, tutto diventa mezzo della crescita dell’organizzazione. 

Coerentemente con questo approccio, si capisce il senso di prendere come riferimento non una serie di principii ideologici da adattare alla realtà, ma un testo scritto da altri e quindi concepito come una Bibbia preso come riferimento immutabile, anche questo appare nei fatti come coerente al concepirsi come setta.


Tutto il contrario di ciò di cui io penso avremmo un disperato bisogno, la formazione di un fronte ampio e quindi che include forze anche molto eterogenee tra loro, basato su un accordo esplicito e temporaneo, sul modello insomma del Comitato di Liberazione Nazionale. Ciò è possibile solo se si riconosce un’emergenza gravissima, quella che io credo ci sia anche oggi, ed è per questo che una tale prospettiva non siamo in grado di realizzare oggi, a causa cioè dell’incapacità di riconoscere la gravità della situazione storica in cui ci troviamo ad agire.

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