mercoledì 18 febbraio 2015

LA CRISI DEI PAESI EUROPEI COME CRISI COMPLESSIVA. PARTE I.

Senza alcun dubbio, stiamo vivendo una fase storica particolarmente turbolenta.
Se consideriamo la situazione dal punto di vista specifico di noi europei, dobbiamo registrare fatti quali la crisi economica più profonda e prolungata del moderno capitalismo, già molto peggiore della crisi storica del '29, una guerra in corso nello stesso territorio europeo, che vede un risorgere dell'antico conflitto est-ovest, un fenomeno di migrazione impetuosa di popoli provenienti da luoghi divenuti inospitali, ed infine il sorgere di un'iniziativa di radice islamica che nutre obiettivi di riscossa complessiva e che a tale fine non rinuncia all'uso dei metodi più crudeli.
L'elencare tutti i fattori principali di crisi, è l'unico approccio che può davvero  fornire un quadro realistico complessivo, l'unico che in realtà ci possa dire con adeguata perentorietà il fallimento del modello occidentale ed in particolare del modello europeo.

Siamo insomma di fronte alla fine della fase imperiale USA e della risposta particolarmente inefficace dell'europa ad affrontare questa fase...
La fine della fase imperiale concide con la incapacità di trovare stimoli e possibilità a continuare la crescita economica, un'incapacità che acquista caratteri apparentemente definitivi, a seguito dell'infausto tentativo di perpetuarla mediante spericolate manovre finanziarie, ed ad una concomitante incapacità ad ottenere risultati in qualche misura definitivi nelle aree in cui sono state condotte operazioni armate definite nella forma più fantasiosa ma nei fatti vere e proprie invasioni. Si potrebbe riflettere sul fatto che nel passato le guerre venivano condotte per annettere dei territori e non per colpire ed imporre che quella area adotti certi tipi di comportamento, e che quindi sia questa pretesa ad essere assurda e quindi irrealizzabile.
Che ci sia quindi una fase terminale nel ruolo imperiale degli USA credo non sia contestabile, come del resto il fatto che colpi di coda da parte degli USA siano possibili e che essi risultino particolarmente pericolosi, e di tutto questo ho già parlato su questo blog.

Qui invece mi vorrei soffermare sull'europa, su questa entità territoriale in cui si dibattono ormai da svariati decenni tentativi di maggiore integrazione tra le unità nazionali tradizionali.
Mi pare che un'analisi minimamente obiettiva non può evitare di constatare che in nessun luogo del globo la reazione agli eventi geopolitici a cui assistiamo sia peggiore rispetto a quella data dall'europa. La mia tesi è che la crisi europea non derivi da certe circostanze esogene più o meno contingenti che ci impongono nuove sfide, e che quindi la crisi derivi dall'eccesso nel numero e nella gravità delle crisi presenti. A mio parere, la crisi è invece endogena, sia il risultato cioè della incapacità del sistema sociopolitico europeo a far fronte al "normale" sviluppo storico a livello geopolitico. Uso il termine normale in modo anomalo, ma del resto quando mai ha senso usare questo termine in riferimento allo sviluppo degli eventi storici? 

Ciò che io vedo in Europa e ritengo la causa di questa incapacità direi intrinseca a manifestare una reazione adeguata agli avvenimenti mondiali, è la micidiale convivenza da una parte di un sistema sostanzialmente mafioso di gestione del potere, e dall'altra da una futilità di fondo da parte della gente comune.
Per gestione mafiosa del potere intendo quelle catene di conoscenze che sono divenute le uniche vie di accesso alle supreme stanze dove le decisioni si determinano. Siamo abituati a considerare tale il sistema di potere italiano, ma sarebbe necessario riflettere sui meccanismi operanti nell'eurozona, capire come mai soltanto ieri il presidente dell'eurogruppo abbia accantonato in modo contrario alla prassi la mozione proposta dal commissario europeo, mettendo in discussione la mozione del ministro dell'economia tedesco. Attraverso la capacità di far pesare in modo determinante la propria preponderanza numerica di nazione più popolosa, la germania riesce a legare a sè i membri più piccoli, soprattutto quelli recenti provenienti dall'est, e legare a sè i presidenti che, indicati dalla germania, si sentono poi vincolati a questa designazione iniziale. Lo stesso presidente della BCE sembra assecondare senza ostacoli la Germania nella sua battaglia contro la grecia, concedendo col lumicino l'accesso alla procedura di emergenza ELA per il conferimento di liquidità.
Non è un caso che questo potere ademocratico, un potere che tende sempre a rinchiudersi su sè stesso e diventare quindi casta, da una parte non riesca a dare risposte adeguate nè nei tempi nè nella sostanza alle situazioni che si vengono a produrre, e dall'altra convive con una sostanziale futilità dell'elettorato, incapace, pur avendone le facoltà almeno su un piano formale, di esercitare un controllo democratico.
Se entriamo nel merito delle problematiche drammatiche con cui ci confrontiamo, possiamo solo così come ho detto, trovare la spiegazione di queste gravissime deficienze della politica europea.
Se partiamo dall'economia, sembra di trovarsi in un consesso di minorati mentali, la cui unica preoccupazione è quella di garantire che si onorino i debiti. 

Come sarà possibile convincere la gente comune ma anche i politicanti che il denaro è solo un mezzo di politica economica in mano a chi ha il potere economico, e che la quantità di moneta circolante determina soltanto il tasso inflattivo, cioè il tasso di aumento dei prezzi della merce? Oggi, che ci troviamo in piena deflazione, cioè in cui i prezzi invece di aumentare tendono a diminuire, è così difficile capire che dobbiamo avere più denaro in circolazione? L'aspetto peculiare di oggi è che la carenza di denaro circolante convive con una enorme quantità di denaro bloccato nei circuiti bancari internazionali. Tipicamente, ad una nazione con un grosso debito, si richiede contemporaneamente di pagare alti interessi e anche di iniziare a rimborsarlo, e nello stesso tempo non gli si da' la sovranità monetaria che gli consentirebbe di fornire al sistema produttivo la liquidità necessaria per funzionare a pieno ritmo.
Una ristrutturazione del debito, consistente sostanzialmente in una sua drastica riduzione in questa situazione sarebbe un toccasana, distruggerebbe in un sol colpo tanta ricchezza di carta che è quella che ha causato il problema in cui ci dibattiamo (sempre se è rimasto ancora qualcuno che ricorda la genesi della crisi nata negli USA). Ebbene, i comuni cittadini europei non capiscono i vantaggi che deriverebbero da una riduzione della liquidità detenuta dai più ricchi, quanto questo sia determinante per una ripresa di prospettive di crescita, hanno il riflesso condizionato di potere perdere qualche centesimo dei loro miseri risparmi detenuti in titoli di stato, e i politicanti che ci governano non capiscono nulla tranne appunto che devono assecondare questa miopia collettiva che ho riassunto all'inizio col termine futilità, nel senso di incapacità di approfondire le questioni, restandone sempre alla superficie.
Sul problema della futilità, dovrò ancora tornare più avanti, visto che lo considero uno degli elementi di fondo per caratterizzare la situazione.

Analogamente, come si può essere succubi degli isterismi dei paesi baltici e dei polacchi, e delle pretese fuori luogo e fuori tempo degli USA per quanto riguarda lo scenario Ucraina? Quale mai sarebbe l'interesse dei paesi europei nel bloccare ogni scambio economico e perfino finanziario con la Russia? Come si può sacrificare a questi isterismi e a questo tentativo disperato degli USA di trovare un luogo dove ancora esercitare la sua egemonia una volta che in medio oriente non vengono più considerati determinanti, anche la propria tradizione antifascista, messa a suo tempo a fondamento stesso delle varie forme di aggregazione tra nazioni europee?

Il fatto stesso che questioni di tale enorme portata non vengano affrontate con la determinazione necessaria, ci dice che quel modello europeo del welfare di ispirazione socialdemocratica è morto, e non riesce ad essere sostituito da qualcosa che possa funzionare al suo posto. 
Su tutto ciò domina la questione che tutte le riassume, se cioè il modello sociopolitico europeo possa essere considerato ancora attrattivo.
Questa questione diviene centrale quando si viene a parlare del rapporto con le società islamiche, anche quando trattasi di fenomeni migratori.
Leggendo qua e là in rete, sono rimasto davvero sorpreso di come viene considerato il fenomeno del califfato. In sostanza, si vuole credere ad ogni costo che si tratti di una creazione occidentale, non nel senso che anch'io condivido, di un coinvolgimento di USA e di vari stati del golfo pro-occidentali nella creazione e nel finanziamento del nucleo iniziale, con lo scopo noto ed evidente di controbilanciare il potere iraninano e siriano, regimi di tipo sciita, nella regione. Il mio dissenso non sta neanche nel considerare lo scellerato comportamento degli USA che si sono assunti il ruolo di gendarmi del mondo intendendo procedere ad una rapida opera di globalizzazione, che ha invece prodotto il disastro che vediamo, che quindi dobbiamo considerare un loro risultato di cui debbono rispondere. 
No, costoro sostengono contro ogni evidenza che ancora oggi l'ISIS sia una specie di giocattolo in mano alla CIA che ne farebbe ciò che vuole e la cui distruzione si potrebbe ottenere, solo se lo si volesse, in pochi giorni.
Ebbene, io dico a costoro "Svegliatevi, l'impero USA volge al termine". In medio oriente si confrontano ormai delle nazioni forti, capaci di fungere da protagonisti. Parliamo appunto di Israele, dell'Arabia saudita e suoi alleati, dell'Iran, stati che ormai non intendono essere degli esecutori dei voleri USA, ma che al contrario costringono gli USA ad inseguirli sulle loro iniziative per non rimanere completamente fuori dal giro che conta, dimostrando così anche ai più distratti il potere perso, perso appunto dopo la campagna disastrosa in Iraq, una perdita sul campo che è reale, che anzi non può essere occultata, come pure l'amministrazione USA vorrebbe.
Come dicevo in un precedente post, il fenomeno dei foreign fighters è altamente significativo, mostra come persone nate e vissute all'interno della democratica Europa, possano tornare a richiami di tipo islamico. Non solo i musulmani possono finire con lo sposare posizioni di islamismo radicale come quelle predicate dal califfato, ma potremmo dire che anche chi, non proveniendo da famiglie di tradizione musulmana, non ha un'alternativa ben definita al modello occidentale, non si sente pienamente parte di una società che lo condanna alla disoccupazione in nome di non si sa quale principio astratto che poi si sostanzia nella difesa dei patrimoni dei ricchi. 

(continua)

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