martedì 27 gennaio 2009

PROPOSTE PER L'OGGI

Vorrei qui proporre due temi di attualità politica strettamente correlati tra loro, e a mio parre di fondamentale importanza, che tuttavia sembrano non attrarre l'attenzione dei mass media.

Il problema si potrebbe definire sinteticamente nei termini di come dare efficacia decisionale alla politica senza nel contempo conculcare i diritti di fare politica del singolo cittadino.

L'efficacia, a mio parere, si può garantire soltanto con un sistema di tipo britannico, collegi elettorali uninominali a maggioranza senza alcun tipo di recupero dei voti. Bisogna cioè andare a un sistema bipartitico "perfetto".

A questo punto però, sorge il problema di come garantire possibilità di espressione e di esercizio dei diritti politici alla genralità dei cittadini,e ciò a sua volta richiede due distinte condizioni.

La prima riguarda la strutturazione interna dei partiti. Questo argomento non è quasi per niente visitato nei circoli mediatici, e ciò in base alla ragione che, giacché l’adesione a un partito è scelta personale consapevole che implica una comunanza di punti di vista, non c’è ragione che lo stato, inteso come la comunità complessiva, se ne occupi. Per costoro insomma, e non sono pochi, un partito è come una cerchia di amici: chi penserebbe di normare una comunità di amici? Le cose non sono affatto così, l’esistenza stessa delle modalità di elezioni degli organi rappresentativi, della legge elettorale insomma, implica che la legge già si occupa dei partiti. Il fatto insomma che i voti si esprimano su una lista, implica un riconoscimento implicito di queste aggregazioni politiche. Se io, Stato, ti offro il privilegio di sommare i voti espressi a persone diverse, sulla base di un accordo da voi sottoscritto, ciò implica che questa aggregazione non può più essere considerata una comunità di amici, ma è per questo stesso motivo, divenuta una comunità ufficialmente riconosciuta: se tale comunità vuole accedere a tali privilegi, allora deve sottoporsi a una regolamentazione ufficiale, che serva a garantire gli aderenti ad essa, ma anche tutti gli altri, in quanto i privilegi che la legge concede ai partiti, fossero anche solo quelli impliciti nella formazione delle liste, dovrebbero implicare una trasparenza delle procedure decisionali. La situazione attuale è invece tale che perfino un’associazione di tipo mafioso
potrebbe costituirsi e presentare proprie liste per essere rappresentata in Parlamento, senza che esista il benché minimo dispositivo legislativo che possa ostare a ciò. La mia proposta è quindi che i partiti siano regolamentati per legge, che le decisioni che i partiti assumono debbano seguire una metodologia garantista e trasparente, che quindi le decisioni dei partiti siano assunte secondo procedure verificabili da tutti, iscritti e non.
La seconda condizione da garantire è che la presenza di due unici partiti in un Parlamento non si traduca nell’espulsione dalla politica di tutti coloro che non si considerino da questi rappresentati.
Ciò può avvenire solo se sia esplicitamente e collettivamente riconosciuto che il Parlamento non è l’unica sede dove si esercita l’attività politica, che il fatto stesso che io, sia come singolo, sia come aderente a una forza politica non rappresentata in Parlamento, non debba per questo essere considerato trasparente, non venga di fatto privato del diritto di esercitare i miei diritti a fare politica.

E' per questo che la recente polemica sulle iniziative di Beppe Grillo risulta particolarmente pericolosa e da stigmatizzare: se io, parlamentare o giornalista bollo qualunque iniziativa che provenga al di fuori del parlamento come antipolitica, questo serve a ribadire un'esclusività nel campo della politica al parlamento e ai partiti lì rappresentati. Ciò è quindi un modo per sequestrare di fatto i diritti politici alla generalità dei cittadini, per concederli in esclusiva ai politici di professione, e questo per me significa, aldilà del contenuto specifico delle iniziative coinvolte, la fine della democrazia.

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