La vicenda italiana si dipana stancamente in mezzo al fragore fastidioso ed inutile delle risse da cortile della politica.
La situazione sembrerebbe chiara, Berlusconi ha perso e non può non averlo capito. Questo fatto evidente viene quindi dal PDL mascherato prima di tutto ai propri elettori con urla scomposte e vuote. La cosa sembrerebbe chiusa qui, Berlusconi cade, e con lui si liquefa l'intero sistema politico italiano, includendo quindi anche il PD che non si capisce quale cemento possa trovare per restare assieme e che sia alternativo all'antiberlusconismo.
Più dai fondamentali la situazione appare chiara, più confusa invece si manifesta sulla scena mediatica...
Questo apparente paradosso si spiega facilmente se teniamo conto del fatto che il motore di tutto non è costituito come teoricamente dovrebbe essere dall'interesse generale, ma al contrario dalle esigenze di sopravvivenza individuali dei singoli protagonisti. Finora, ha dominato l'interesse di Berlusconi, che tuttavia in presenza di una sentenza definitiva, si rende conto di doversi accontentare di essere trattato favorevolmente da quegli stessi soggetti che l'hanno sconfitto, e quindi non ha più interesse a fare casino. Non è in verità chiaro cosa gli succederà nei processi ancora in corso, ed appare davvero una decisione avventata in un'Italia che ha ormai trovato in Napolitano il suo padrone assoluto, avere deciso di combattere fino all'ultimo giorno, non decidendo saggiamente per l'esilio volontario e dorato ad esempio ad Antigua come pure io pronosticavo da tempo: ho avuto torto perchè non ho fatto i conti con la personalità dell'interessato, patologicamente legato al dominio della scena mediatica.
Oggi, sono i suoi scagnozzi del PDL che urlano in sua vece perchè senza di lui sanno benissimo che sono destinati ad essere drasticamente ridimensionati dal punto di vista della rilevanza politica.
Allo stesso modo, il PD è ormai la sede di una serie praticamente inarrestabile di guerre tra bande, in cui ciò che conta è solo il destino individuale dei singoli dirigenti. Seppure questa non è in assoluto una novità, adesso risalta come non mai prima, a causa della disgregazione che le iniziative di Napolitano hanno creato al loro interno. L'oligarchia del PD si è insomma polverizzata, non sono certo spariti i singoli oligarchi, ma adesso non costituiscono più un gruppo coeso, capace di difendere sè stesso, di garantire la propria autoperpetuazione, adesso ciascuno di loro deve tirarsi su le maniche per garantire sè stesso.
Mai come adesso, è chiara la malattia dell'Italia, è una verità lampante, il fatto di avere una classe dominante costituita da una trama abilmente tessuta per garantire la perpetuazione di sè stessa. Ormai che la trama si è fortemente spezzata, i singoli protagonisti si mostrano ignudi, portatori in modo palese dei loro interessi individuali.
Questa rottura della trama che Napolitano ha causato, credo ben aldilà dei suoi fini, rende l'attuale situazione caotica, e seppure come dicevo logica vorrebbe che il PDL fosse il maggiore difensore del governo Letta e del progetto Napolitano, i comportamenti tendenzialmente anarchici dei singoli protagonisti rischiano di portare a soluzioni che magari sono opposte ai loro stessi interessi razionali. Non so voi, ma io quando vedo uno come Orfini che recita la parte dello stratega politico, percepisco subito la pochezza del quadro politico complessivo.
Riassumendo, fare analisi politica in una situazione come quella attuale, è del tutto inutile. La mia opinione è che PD e PDL presto finiranno di esistere, ci sarà un ampio rimescolamento il cui risultato non è oggi prevedibile.
Ciò che però più mi preme, è la dinamica che questa pratica politica esercita sull'intera popolazione, sul pensiero dominante.
Se ciascun soggetto politico ha come riferimento il proprio personale tornaconto, perde qualunque senso dare all'azione politica un orizzonte generale, non vi può essere spazio alcuno per una riflessione sui fini complessivi. La cosa tuttavia più grave è l'effetto indotto anche al di fuori dello stretto ambito politico, ciò che io vedo con crescente apprensione è l'incapacità nei nostri tempi a pensare in grande, ad iscrivere le piccole scelte quotidiane in un quadro complessivo che discenda da motivazioni forti, e questo in fondo costituisce la maggiore difesa del pensiero dominante, tutti intenti a riflettere all'interno di un quadro di finalità che non abbiamo scelto da noi, e che anzi subiamo passivamente.
Quindi, ciò che osservo è che il pensare per frammenti che nell'ambito della politica professionale trova una sua motivazione nel garantire la propria sopravvivenza politica, diventa nella generalità dei cittadini nella stessa perdita della capacità di rfilettere a tutto tondo, diventati tutti noi portatori di competenze e di visioni frammentarie.
Per quanto riguarda la mia personale esperienza, nel mondo dei blog ciò appare chiaramente, i vari commentatori mostrano fastidio per le rfilessioni complessive, tendono a frammentare le proprie decisioni, e un quadro di riferimento generale viene percepito più come un fastidio che come una condizione essenziale per dare senso a singole decisioni.
100% condivisibile.
RispondiEliminaIl pensare a se stessi è sempre stata purtroppo una necessità italiana, abituata a questo da un potere che nella maggioranza dei casi ha sempre disilluso le aspettative dei cittadini (ricordiamoci che siamo italiani, secoli di dominio straniero, continuato anche nel dopoguerra, ha come logica conseguenza il considerare lo Stato come cosa non propria ma di altri). Ma se fino alla fine degli anni '80 le classi dirigenti del paese, seppure tra furti e interessi personali, perseguivano un disegno più generale, limitandosi a fare il proprio interesse mentre si faceva anche quello degli altri (dei propri referenti stranieri, ma pure degli italiani stessi, in un gioco di equilibrismo in cui i democristiani si sono rivelati maestri), oggi queste fanno esclusivamente il proprio e dei loro referenti stranieri, se non solo del proprio (vedi B. e banda).
RispondiEliminaDovrebbe esserci, per contrastare l'andazzo generale, una coscienza comune a chi è fuori dalle logiche di potere (e in un certo senso il M5S ci sta provando, non fosse pure lui inserito nello stesso gioco: finché a comandare è uno solo, la storia non cambia).
Bisognerebbe che entrasse nella mentalità italiana il concetto che difendendo i diritti altrui si difendono i propri, che se le regole devono valere per tutti a maggior ragione devono valere per se stessi, etc etc. Insomma, una svolta più morale che politica, che porti il singolo a compiere scelte personali nel proprio quotidiano anche quando queste comportano un sacrificio (un esempio forse stupido, ma mi viene in mente il padre di famiglia che accetta, come ha fatto in questi anni, decurtazioni dello stipendio, carichi di lavoro più pesanti, cessioni dei propri diritti "perché deve pensare ai figli": mi chiedo come distruggere quanto costruito e conquistato possa essere considerato tale, e se un giorno questi lo ringrazieranno: io ne dubito). Ma non vedo in giro niente del genere. La maggioranza ragiona in termini doppi, da un lato ciò che si dovrebbe fare, dall'altro ciò che effettivamente si fa. Si vota contro, ma poi non si sostiene l'essere contro. Per dire, un sovvertimento del voto popolare alle ultime elezioni, in cui tre quarti degli elettori era chiaramente per un cambiamento di rotta, avrebbe dovuto tradursi se non in rivolta almeno nel rifiuto di quanto sta avvenendo: vedi segnali tu? Ma per chi cavalca lo scontento pare che i tempi non siano ancora maturi (ma per cosa poi, esattamente? Boh....), e quindi aspettiamo, aspettiamo: qua è tutta una attesa,
e nel frattempo bisogna pensare a se stessi. La scusa è la crisi, e ciò se da un lato assolve, dall'altro condanna (anche quella, la stiamo subendo, o sbaglio?).
Per concludere, la vedo grigia.