Avevo qualche post fa lasciato in sospeso il discorso sulla laicità. Chi mi ha letto, avrà visto come al discorso di carattere generale fatto nel primo post, sia seguito un esempio tratto dalla cronaca che sembrava in qualche modo contraddire quelle che volevano essere le mie conclusioni precedenti.
Il discorso che io intendo fare è in realtà più complesso come risulterà da questa ulteriore e spero ultima puntata dedicata a questo specifico argomento.
Riprenderò quindi un esempio ancora una volta tratto dalla religione musulmana, e che stavolta riguarderà l’uso del chador nelle scuole da parte di studentesse di quella fede.
E’ una questione che ha avuto una rilevanza ben maggiore rispetto al burkini, passata come una meteora nei dibattiti estivi, e che si è invece posta in maniera lacerante in società all’avanguardia del laicismo come quella inglese e francese.
La questione è la stessa che ci siamo posti nelle precedenti puntate. Può un atteggiamento laico, allo scopo di difendere il proprio principio fondante di individuare uno spazio individuale di decisione, contraddirsi consentendo l’esternazione di una scelta confessionale? Già a proposito del burkini, esprimevo l’opinione che certe scelte individuali, quali quelle riguardanti l’abbigliamento, non potessero trovare una limitazione sensata, se non nel violare un sentire comune, come è per esempio per la proibizione della nudità salvo per luoghi a ciò specificamente destinati.
Perché risollevare allora la questione a proposito del chador, c’è insomma qualcosa di differente che giustificherebbe una risposta differente? Ciò che ha caratterizzato di fatto specificamente il caso del chador era connesso all’uso all’interno delle istituzioni scolastiche. Attraverso quindi l’uso del chador, una parte della popolazione scolastica tendeva a distinguersi, e così ad individuarsi come parte separata di una collettività che sembra invece richiedere come ingrediente essenziale per il suo stesso funzionamento il restare come corpo studentesco unito, aldilà, non soltanto delle proprie credenze, ma anche della posizione sociale, della capacità di spesa, oltre, ovviamente, che del colore della pelle, e così via dicendo. Qui, insomma, la regola d’oro della laicità che abbiamo già enunciato, preservazione il più possibile di spazi individuali, sembra scontrarsi con la possibilità stessa di governare un insieme d’individui, a causa di una dichiarazione esplicita di separatezza, di volersi considerare fuori dalla comunità nel suo complesso, in questo caso, come musulmano.
Quando qualche anno fa questa questione venne fuori e la posi alla mia attenzione, improvvisamente mi venne da chiedermi se questa questione del chador fosse davvero unica, se nella scuola non si potessero e nei fatti non si producessero situazioni analoghe. Ebbene sì, ogni giorno sicuramente esisteranno studenti che tenderanno col loro abbigliamento ad etichettarsi, a definirsi in opposizione ad altri. Nella maniera più squallida, può avvenire semplicemente mettendo in mostra un abbigliamento particolarmente costoso, con il che si vuole comunicare il proprio status sociale. Per motivi più significativi, lo si può fare a livello di branco, i verdi contro i viola, gli uni contro gli altri armati. Che fare allora, immaginare una lunga, o forse infinita serie di proibizioni? Questa non sembra una strada percorribile: la strada che mi pare andrebbe proposta sarebbe quella dell’obbligo, in questo caso l’imposizione di uno specifico tipo di abbigliamento. Pensate, per quanto capisco che vi venga difficile accettarlo, ma sarebbe davvero bello vedere nelle aule e lungo i corridoi studentitutti egualmente abbigliati, finalmente liberi di non dovere apparire agghindati.
Aldilà dell’esempio che, non mi faccio illusioni, non credo raccoglierà grandi consensi, rimane il problema di fondo, se cioè il concetto di laicità sia davvero così utile. Perché lo sia, esso dovrebbe fornire un meccanismo diciamo automatico per dirimere una certa tipologia di questioni. A me sembra che lo stesso concetto di laicità dovrebbe fornire risposte opposte in presenza di problemi analoghi ma non coincidenti, come appunto nei casi citati del chador e del burkini. Allo stesso modo, non mi pare che la laicità abbia portato a proibire la circoncisione, mentre ha portato di certo a proibire pratiche odiose come l’infibulazione. Se ammettiamo che nei due casi i problemi da affrontare avessero una loro somiglianza, dovremmo alla fine ammettere che non possiamo mai esimerci dall’entrare nel merito degli specifici problemi. A sua volta ciò dovrebbe portare a concludere che la laicità, malgrado l’apparente successo che sembra riscuotere ai nostri giorni, sia in definitiva un concetto la cui fortuna si basa su una cultura permeata dal cristianesimo rispetto a cui servì a difendere il diritto a non essere credente, mentre nell’oggi, in cui nessuno pretenderebbe di obbligarci a seguire una fede religiosa, esso appare del tutto superato, più dannoso direi che inutile.