Quando una decina di anni fa, riordinando e collegando una serie di scritti, la maggior parte dei quali elaborati a metà degli anni novanta, scrivevo il mio libro "L'ideologia verde. La rivoluzione necessaria", ero speranzoso che esso avrebbe potuto davvero attrarre grande attenzione, quanto meno da parte di un certo ceto intellettuale più abituato a buone letture e più sensibile alle tematiche di cui il libro si occupava.
Sono perfettamente conscio dei limiti della mia impresa, quali in particolare l'eccessiva sinteticità che purtroppo è un difetto che mi porto dietro, a me in qualche modo connaturato, e alla non adeguata conoscenza dell'intero ventaglio delle tematiche che affrontavo, ma in qualche modo inevitabile vista la vastità degli argomenti coinvolti.
Tuttavia, ero e sono tuttora convinto dell'originalità del mio contributo, in quanto sostengo una tesi in qualche modo rivoluzionaria, che l'ecologismo debba basarsi su una propria ideologia da sè elaborata, dopo aver distrutto l'ideologia dominante, quella liberale, senza la cui distruzione non può sorgere una nuova ideologia, che quindi, visto che io ne proponevo una prima bozza, avevo scritto in un certo senso il primo vero libro di ecologismo.
Sembra una cosa ovvia, eppure leggendo cosa pensano alcuni tra coloro che si riconoscono come ecologisti, l'ecologismo sembra limitarsi a questioni che esulano da noi uomini in quanto tali, riguardando piuttosto il nostro rapporto con l'altro da noi, siano essi animali, organismi biologici, risorse ambientali, inquinamento ambientale. Per l'ecologismo, succede qualcosa che non succede per nessun altra teoria politico-filosofica, che l'uomo si riconosce come soggetto ma non come oggetto della teoria.
Tanto per esemplificare, il marxismo sulla base delle sue teorie, promette all'uomo una società migliore e un futuro migliore. Il marxista non è solo il protagonista delle lotte che dovrebbero far trionfare questo nuovo sistema politico, ma è anche oggetto di questa politica, il marxismo gli promette una vita migliore con una più equa ripartizione delle risorse economiche, viste come la premessa a qualsiasi miglioramento nelle modalità complessive di vita.
Ebbene, nell'ecologismo non c'è nulla di tutto questo, si invoca un riconoscimento da parte degli uomini nel loro complesso di una serie di doveri motivati sulla base di una presunta indiscutibile evidenza scientifica, senza occuparsi dei vantaggi che una simile politica porterebbe all'uomo, a ciascun uomo.
La verità è che questo genere di ecologismo non è neanche una vera teoria politica, rappresenta piuttosto una serie di istruzioni e raccomandazioni che una sedicente elite intellettuale comunica alla vasta comunità degli uomini, come un medico potrebbe raccomandare ai propri pazienti di pulirsi i denti almeno due volte al giorno e lavarsi le mani accuratamente prima dei pasti.
Io credo invece, e penso di essere stato il primo a formularlo in maniera univoca, che l'ecologismo può emanciparsi a teoria politica quando convincerà gli uomini dei danni provocati dalla ideologia dominante e dei vantaggi che la nuova ideologia può assicurare alla generalità dell'umanità.
Dietro questo modo asettico con cui tanti ecologisti si pongono nell'ambito politico, ci sta una domanda inevasa: dove si pone l'ecologista? Da quale punto di vista si colloca nell'avanzare le sue proposte?
In verità, si pone da un non luogo e da un non tempo, non ammette di essere anche lui oggetto delle scelte politiche, un puro soggetto che guarda le cose da alieno, come potrebbe forse guardarle un eventuale extra-terrestre che venisse a visitarci. Così, ogni accusa fatta all'uomo, non lo riguarda, riguarda gli altri, con la conseguenza che l'uomo che egli osserva non è l'uomo vero e reale, ma un uomo reso puro oggetto di sua osservazione.