mercoledì 4 luglio 2012

SPENDING REVIEW E DECENTRAMENTO


Il cretinismo continua imperterrito su tanta stampa e TV, con questa storia della spending review. Qui, non starò a parlare del provvedimento in sé, in omaggio alla dichiarazione del governo che sostiene sia in progress e quindi non ancora puntualmente definito, ma di quanto appare sulla stampa, proprio perché i commenti giornalistici riguardano la ricostruzione che essi fanno di quello che questo provvedimento sarà. Vedremo poi, una volta che esso sarà diventato di pubblico dominio, quanto le indiscrezioni giornalistiche siano fondate...

Sul primo tipo di cretinismo, mi soffermerò poco, visto che ne ho parlato in un precedente post, dall’esclusivo punto di vista della liquidità del sistema, tassare e tagliare è assolutamente equivalente, e sostenere il contrario viola i principi logici. Così, se si teme che tassando si produca recessione, lo stesso effetto si ottiene se si tagliano le spese statali, sempre meno denaro finisce nel circuito economico.
Ci sono però altri tipi di cretinismo, e sono di lunga data. Quando ci imbattiamo nei loro effetti nefasti, invece di prenderne atto e magari cantare il mea culpa, facciamo finta di niente, ne annulliamo gli effetti ma senza rimuoverne le cause. Ciò corrisponde a un tipo sui generis di cretinismo, che potrei sintetizzare con l’espressione “incapacità di usare il principio di causalità”.
In questo contesto, mi soffermerò sul cretinismo del decentramento, da taluni assunto simbolicamente come un primo passo verso il secessionismo (sic!).
Ne viviamo immersi praticamente da mezzo secolo, da quando, in attuazione della costituzione, furono istituite le regioni. Non ne siamo mai usciti, sempre bombardati da messaggi che ci dovevano convincere che avvicinare la sede delle decisioni costituiva una grande vittoria di democrazia. Faccio pacatamente notare che la famiglia, il primo mattone dell’ordinamento sociale, è (e deve essere) la meno democratica delle istituzioni sociali.
La dimensione piccola è l’unica che possa permettere l’esercizio della democrazia diretta, ma nel nostro caso, quello della democrazia rappresentativa, andare verso il piccolo toglie un elemento decisivo per questo tipo di ordinamento politico, l’anonimato, la possibilità cioè di sottrarre le decisioni a criteri di conoscenza personale, al particolarismo che deriva dal fatto che i portatori di diritti e doveri hanno un nome e cognome, e che nella gran parte dei casi sarebbe meglio che chi assume le decisioni comuni, tratti invece i cittadini come se fossero anonimi in ossequio al famoso principio “la legge è eguale per tutti”. Ciò è particolarmente importante nella cultura del nostro paese, notoriamente familistica e tendenzialmente mafiosa.
L’unico modo di contrastare la formazione di camarille e cricche varie, sta nel fissare criteri generali, abbastanza dettagliati da essere applicabili in maniera adeguatamente articolata, ma ciò richiede di raggiungere un livello statisticamente significativo, cioè andare verso i grandi numeri.  Così, la centralizzazione statale, lungi dal rappresentare un elemento di rigidità, di immobilismo e magari di formalismo ebete ed inefficiente, costituisce l’unico modo per superare i particolarismi che caratterizzano da sempre la nostra nazione: avercelo il centralismo!
A quanto dicono i giornali, sembra che anche Bondi abbia di fatto gettato la spugna della verifica puntuale delle specifiche situazioni, finendo col seguire il metodo Tremonti dei tagli lineari. Ciò è in qualche modo inevitabile quando lo stato rappresenta non l’unico ed indiscusso attore delle decisioni comuni, ma deve invece fare i conti con strutture decentrate di ogni tipo, dalle regioni, alle province, ai comuni, per finire alle Università e alle ASL e così via. Se le decisioni di merito spettano ad altre strutture, ed io invece devo fare cassa, allora non posso che dettare regole comuni rigide e del tutto contrarie al fine di aumentare l’efficienza delle strutture implicate, perché tali regole si devono applicare a pezzi dello stato sottratte alla potestà del governo ed affidate per appunto le deciisoni di merito ad enti decentrati.
Facendo un esempio, se il suo consiglio di amministrazione avesse mal gestito l’Università di Catania, lo stato non può sostituirsi ad esso per operare scelte più appropriate, per fare ciò bisognerebbe appunto rinunciare all’autonomia degli atenei, confermata dalla recente legge 240/2010 tra l’altro, senza creare questa rivoluzione può soltanto operare tagli quantitativi a casaccio che finiscono per non tenere conto delle specifiche situazioni.
Se mando a casa un docente, potrei fare un’operazione meritoria ove egli operasse dove altri colleghi possano agevolmente supplire alla sua opera, ma potrei distruggere strutture di ricerca e di didattica ove questo docente non possa essere supplito in virtù delle specifiche competenze che altri colleghi non condividono con lui.
In verità, sarebbe stato importante già in fase di assunzione considerare correttamente le esigenze a cui tali assunzioni servivano, ma difficilmente la struttura decentrata può svolgere tale ruolo, invischiata com’è nel fatto che chi sta negli organi collegiali di decisione è anche il destinatario di tali scelte. La soluzione sta nell’eliminare questa autonomia data agli atenei e quindi in definitiva agli stessi suoi dipendenti. Se non si ha la forza o il coraggio di fare ciò, di estirpare il problema alla radice, allora si opereranno i tagli lineari del tipo pensionare un tot percento di docenti, indipendentemente dalle esigenze specifiche di ciascuna struttura, e questo sì costituisce un criterio ottuso, cosa che però non dovrebbe spingere a considerare come ottuso qualsiasi criterio privo di discrezionalità.
In definitiva, è inevitabile, checché se ne dica, che aumentare i centri di decisione di spesa diminuisca l’efficienza, che, come chiunque po’ sperimentare, l’uso della lente d’ingrandimento è limitato a situazioni molto specifiche, nella gran parte dei casi un’osservazione realistica implica uno sguardo di assieme, la possibilità di osservare i contesti complessivi. Così, prendere decisioni lontano dal contesto coinvolto, non costituisce un limite, costituisce anzi l’approccio più corretto per non perdersi in dettagli insignificanti perdendo di vista il tutto.
Naturalmente, oggi forse cominceranno a manifestarsi i detrattori del decentramento, magari quegli stessi che l’hanno fattivamente messo su, ma rigorosamente senza mai dichiarare i propri errori, da noi non si usa, bisogna guardare avanti come mi dicono in tanti anche sul luogo di lavoro, richiamare sempre le responsabilità non ha senso, è un passato da dimenticare per andare verso il futuro.
A questo proposito, ho trovato particolarmente spiacevole l’intervento del prof. Ichino a una recente puntata de “L’infedele” di Lerner, in cui parlava della necessità di eliminare questo moltiplicarsi delle forme di reclutamento, concludendo la positività della legge in questo senso. Bene, io non so dove stesse Ichino nell’ultimo decennio, ma il fenomeno di cui parlava non è stato una specie di calamità naturale che si è abbattuta sulla nostra società, è stato un processo caldamente appoggiato dalle nostre forze politiche, compreso il PD o quello che era precedentemente (sempre le stesse facce però), con fermezza con la parola d’ordine della flessibilità, di permettere alle aziende di farsi il contratto a propria scelta. Non è che il precario è senza diritti perché l’ha stabilito un Dio lontano ed inaccessibile, ma sono stati quegli stessi politici che adesso dicono che bisogna finirla con questa divisione tra protetti e non protetti. Il risultato mi pare è quello di togliere qualche diritto a quelli che l’avevano, attraverso il trucco dell’omogeneizzazione (sempre verso il basso), mentre chi ha sbagliato in passato, non lo ammette, non si dimette, pretende anzi di rimanere dov’è ad omogeneizzare oggi, per magari ripristinare i lavoratori a diritto zero domani, sempre le stesse facce, e sempre prive di qualsiasi senso della propria responsabilità.

2 commenti:

  1. Io, fra l'altro, vorrei sapere in base a quale logica perversa verranno tolti 200 milioni alle università statali per darli alle scuole private! Come mi imbestialisco!

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  2. Proprio ora ho letto che dalla spending review sono saltati via i 200 milioni per le scuole private! Almeno questo schifo per il momento è stato archiviato. Comunque le università private avranno 10 milioni! Ma non bastano le rette salatissime pagate dagli studenti!? Mah!

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