lunedì 4 luglio 2011

RIDURRE O RINVIARE LE PENSIONI?

Ridurre le pensioni è sempre una brutta cosa. E’ brutta, anche se la riduzione non avviene in termini nominali, ma giocando sul fattore inflativo, e cioè riducendo la dinamica di adeguamento al costo della vita.

Eppure, non posso egualmente condividere la marea di critiche che ha sommerso il governo per la proposta avanzata dal governo di intervento sulle pensioni.

Io mi chiedo se in un paese in cui un lavoratore a tempo pieno, a maggior ragione se precario, può ricevere uno stipendio lordo ben inferiore ai mille euro mensili, magari addirittura ottocento, senza sentire sollevare critiche feroci e perentorie, ci si debba ribellare in maniera così massiccia a una riduzione che per una pensione di millecinquecento euro ammonterebbe ad otto euro.

Certamente, si può discutere di come graduare la riduzione nell’adeguamento all’aumento del costo della vita in funzione dell’ammontare della pensione, forse sessanta euro per una pensione di duemila euro (lorde), sono troppi. Il principio però lo condivido.

Ho già scritto in proposito sull’argomento. Hop sempre avuto un netto atteggiamento critico per le politiche che, per ridurre la spesa previdenziale, hanno puntato sullo spostamento in avanti dell’età pensionabile. Checchè se ne dica, con argomenti sostanzialmente statistici, se si mandano in pensione più tardi gli attuali occupati, si ritarda conseguentemente l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani. Ciò di cui parlo non è un’ipotesi teorica, recentemente sono stati diffusi i dati sulla disoccupazione giovanile che mostrano tassi altissimi, davvero preoccupanti, e che dovrebbero costituire la prima preoccupazione di qualsiasi governo, indipendentemente dal suo colore politico. Se una logica esistesse all’interno del mondo della politica, sarebbe ovvio a tutti che non v’è alcun vantaggio a costringere una persona anche superiore ai sessantacinque anni (si parla ora insistentemente di sessantasette anni) a lavorare mentre il proprio figlio o nipote è costretto ad età che si aggirano sui trenta anni ad oziare.

Veniamo quindi da un recente passato (la prima riforma fiscale di questo periodo è quella del 1995) che ha puntato tutto sullo spostamento in avanti dell’età pensionabile, in base al principio non privo di una sua logica del concomitante aumento dell’aspettativa di vita.

Malgrado nessuno voglia ignorare questo dato, è proprio la politica che dovrebbe stabilire la priorità degli obiettivi, e per me come dicevo il primo obiettivo dovrebbe consistere nel garantire una ragionevole probabilità ai giovani di essere assunti ad un’età post-scolare.

In quest’ottica, dicevo già allora che sarebbe meno peggio ridurre l’importo delle pensioni, ma garantire comunque il ricambio nei posti di lavoro. La strada di una rivalutazione sempre meno adeguata al costo della vita potrebbe costituire uno degli elementi portanti di questa riduzione: magari, quando vai in pensione, avrai un importo più vicino a quello di quando lavoravi, e poi man mano la collettività ti garantisce una copertura un po’ più ridotta. Tra l’altro, l’aspettativa di vita rischia di essere come il famoso pollo: una cosa è il pollo mediamente mangiato dall’intero campione, una cosa è quanto il singolo individuo ne mangia. Allo stesso modo, ci sarà magari chi muore l’anno successivo a quando va in pensione e chi vivrà, per sua fortuna, per trent’anni e più, e il costo va certo ripartito su tutti, ma non trovo affatto iniquo che chi più vive, debba pesare sempre meno sulla collettività.

Precedentemente, sono anche intervenuto sui costi della sanità che è un argomento a questo strettamente correlato. Anche qui, bisogna porsi sempre la questione delle priorità, e di come eccessive spese mediche, in gran parte destinate alla fascia più anziana della popolazione, rendano difficile reperire risorse per altre destinazioni, ed in particolare per i giovani.

A mio parere, esiste un problema generazionale enorme, questa società così sbilanciata numericamente verso la fascia più anziana, ha finito per dimenticare i più giovani, sempre meno numerosi e per ciò stesso sempre meno influenti. Questo criterio puramente numerico che si rivela magari decisivo nel momento del consenso elettorale, ci sta portando al suicidio collettivo, perché ignorare i più giovani, non assumersi la responsabilità del passaggio di testimone, è una forma di suicidio collettivo: senza giovani, senza il loro decisivo contributo, non si va da nessuna parte.

Chiarisco infine che dubito che Tremonti, nello scrivere il provvedimento, si sia poste queste problematiche. Ciò, tuttavia, non ci esenta dall’affrontarle almeno noi, nel riconoscere che uno spostamento di reddito dai più anziani, comunque più abbienti, ai più giovani, è un atto necessario. Mi rendo ben conto che ben altri sono i problemi di distribuzione del reddito che dovremmo affrontare, e magari potrei anche convenire anch’io sul bocciare questo provvedimento: peccato però che non abbia visto un simile sollevarsi di scudi per quanto riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile, che riterrei un provvedimento ben più grave di questo.

4 commenti:

  1. Come sai io sono pensionata, ebbene ho notato che di anno in anno aumenta a dismisura la detrazione che mi fanno per l'addizionale regionale, sono passati da poco più di 9 euro di tre anni fa a circa 50 euro nel 2011, per non parlare dell'addizionale comunale che, quando entrerà in vigore il federalismo fiscale, passerà da una decina di euro attuali chissà a quanto! Ti assicuro che l'adeguamento annuale al costo della vita non copre l'aumento delle varie addizionali e che, in questo modo, io mi vedo ridurre la pensione di anno in anno rispetto a quella iniziale! Ma se i soldi che detraggono dalla mia pensione venissero utilizzati per migliorare la condizione giovanile io ne sarei più che felice, anzi se ne avessi la certezza mi autotasserei ancora di più, ma sono sicura che serviranno solo per non ridurre i costi della politica e se permetti questo mi fa incazzare e non poco!

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  2. io ce l'ho fatta ad andare in pensione prima di quest'ultima riforma, a chi mi dice beata te rispondo che lavoravo da quando avevo 18 anni, ho pagato i miei 35 anni di contributi mi sembra di essere a posto con la coscienza, ora poi non sto con le mani in mani ma faccio da nonna sitter, da zia sitter, da amica sitter insomma mi rendo disponibile per aiutare amiche che lavorano e non sanno come fare con i figli piccoli, memore delle mie corse di qua e di là quando i miei erano piccoli, e tra parentesi dove era lo stato allora???? ho dovuto (e fortunatamente me lo sono potuta permettere) pagare scuole private che me li tenessero fino a tardi o colf a tempo pieno quando il mio orario di lavoro era prolungato, mia madre lavoravaanche lei e non avevo nonne a disposizione. Mia figlia non si permette di dire (come invece qualcuno fa a volte) che è lei che mi paga la pensione con i suoi contributi, e non solo perchè vive e lavora all'estero, non le verrebbe in mente di dirmelo lo stesso.

    Diciamo che prima si era dissenati, mandare in pensione un lavoratore dopo soli 15 anni con un'aspettattiva di vita che era il quadruplo...è questo che ci ha rovinati, ora però cambiare per l'ennesima volta le carte in tavola a chi ha iniziato a lavorare con certe aspettative mi sembra crudele, ma non sono un'economista e non ci capisco un'acca

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  3. @Ornella
    Purtroppo le tasse locali non costituiscono un problema specifico delle pensioni, e chiaramente non è previsto in nessun caso adeguamento alcuno a queste trattenute fiscali.
    Contiunuo a pensare che uno spostamento di risorse verso i più giovani sia ssolutamente indispensabile, e d'altra parte anche oggi un travaso c'è, solo che avviene all'interno delle famiglie, che sopperiscono all'aspetto squisitamente economico. Tale soluzione personale non affronta però gli altri aspetti della mancanza di lavoro, quale un senso di frustrazione e una tendenza ad acquisire abitudini di vita sbagliate.
    Come però tu dici, nessuno ci assicura che i soldi creeranno nuovi posti di lavoro.

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  4. @Zefirina
    In breve, e ciò non richiede alcuna preparazione in economia, meglio avere a spasso un sessantenne che un trentenne, su questo credo che dovremmo convenire tutti.

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