giovedì 23 settembre 2010

L'AFFAIRE PROFUMO IL GIORNO DOPO

Ieri è stato il giorno delle notizie-bomba in ambito bancario, oggi il primo affanno della stampa è quello di anestetizzare il tutto. Oggi è il giorno delle dichiarazioni a misura di creduloni. Oggi, vorrebbero farci credere che l’estromissione di Profumo sia, scegliete liberamente voi stessi, o la Lega e le famose dichiarazioni del sindaco di Verona Tosi, o, udite udite, addirittura il mercato. Certo, che la vergogna nel mondo di oggi non si sa cosa sia.

Ma andiamo per ordine. Ieri, l’articolo più propositivo, che cioè esprimeva esplicitamente una specifica tesi sulla faccenda mi è sembrato quello di Massimo Giannini su Repubblica. Il giornalista sosteneva la tesi che i responsabili fossero Berlusconi e Geronzi, e in particolare che oltre ad interessi interni agli equilibri del mondo finanziario che coinvolgerebbero Geronzi, ci sarebbero interessi più propriamente politici da parte di Berlusconi. Malgrado gli sforzi di Giannini, davvero non è possibile capire gli aspetti squisitamente politici, intesi nel senso di equilibri parlamentari. Apparentemente il giornalista dimentica che Berlusconi non è solo il premier, ma è anche uno dei più importanti imprenditori e capitalisti del nostro paese. Non è più semplice e ovvio che Geronzi e Berlusconi, se davvero hanno la responsabilità di tutto ciò che è successo, abbiano interessi economico-finanziari coincidenti? E’ così difficile ricordare che Marina, la primogenita del premier, presiede il CdA di Mediobanca, carica precedentemente ricoperta dallo stesso Geronzi poi passato alle Generali? Che Mediobanca è il principale azionista delle stesse Generali, che Unicredit è a sua volta il principale azionista della stessa Mediobanca? Che insomma tutte queste società sono inestricabilmente collegate, e che qualsiasi modifica di equilibri e di governance di ciascuna di queste società ha riflessi importanti su tutte le altre società?

Altra tesi importante di Giannini è che la sorte di Profumo fosse stata definita nella famosa cena del 18 luglio, che vide tra le altre, la partecipazione di Draghi, e l’esclusione di Tremonti. Ciò confermerebbe che Tremonti sia, oltre ovviamente allo stesso Profumo, il vero perdente in questa operazione. Si potrebbe inoltre ipotizzare un atteggiamento di benevola indifferenza di Draghi su tutta l’operazione.

Ancora interessante sembra la tesi che tutta l’operazione di inserimento nell’azionariato dei libici sia stata un vero e proprio tranello ai danni di Profumo, manovrata da Berlusconi e Gheddafi. In sostanza, Profumo pensava che i libici potessero costituire un sostegno nel CdA, ma in realtà egli stava accogliendo una serpe in seno. Non è senza significato che i libici abbiano votato con gli altri, tranne la Reichlin, per l’estromissione di Profumo.

Oggi, come dicevo all’inizio, molti articoli si affrettano a respingere l’ipotesi che si tratti di una congiura, di un’operazione costruita dietro le quinte tra i potenti. Davvero, questi credono di poterci fare bere quello che vogliono? La congiura è evidente, e chi la nega, mente spudoratamente. Ciò ovviamente non implica che sia possibile ricostruire ciò che dietro le quinte si è verificato, visto che non abbiamo accesso a informazioni riservate. Se un raggio di luce improvvisamente entra in una stanza con le tapparelle abbassate, non saprò l’origine della luce, ma sono comunque certo che la luce fuori è dovuta apparire.

Da ciò che ho sentito nella rassegna stampa di Radiotre, pare che Geronzi abbia negato il proprio coinvolgimento, rilasciando un’intervista allo stesso Giannini. Mi spiace, caro Geronzi, ma è davvero difficile crederlo, e d’altra parte, Lei è davvero interessato a far sapere al mondo intero quanto sia sprovveduto? Non solo Profumo è stato fatto fuori, ma l’altro grande banchiere italiano era all’oscuro di tutto: siamo davvero in mano ad incapaci allora, non c’è che dire!

Dirò la mia, come mi pare di dovere dedurre dalle cose che si leggono, sapendo che si tratta di una pura ipotesi senza possibilità di supporto mediante prove che naturalmente non posso avere.

Pare dunque che Profumo fosse già da tempo al corrente di quanto fosse precario l’equilibrio che lo manteneva alla testa di Unicredit. Certamente, trame erano in atto da tempo, e qualche notizia doveva essere giunta al suo orecchio. Geronzi, malgrado le smentite, resta inevitabilmente il maggiore sospettato: si tratta di una rivalità di lunga data, sia per motivi di interessi materiali, ma direi anche per motivi di mentalità. Ricordiamo che Geronzi nasce e cresce negli ambienti andreottiani, un aggettivo che è un marchio di garanzia. Profumo al contrario,a quanto ne sappia, si è in genere mantenuto abbastanza distante dagli ambienti della politica partitica: solo recentemente si è visto partecipare alle primarie del PD.

Nell’ipotesi che prospetto, Geronzi avrebbe prima di tutto stretto un patto di ferro con banchieri tedeschi, da parte loro frustrati dal protagonismo di Profumo, nonché ovviamente dall’essere stati assorbiti e salvati da una banca italiana. Questo è un passaggio determinante che nel post precedente avevo colpevolmente trascurato, un primo atto che mostra la carenza di senso della propria nazionalità, su cui probabilmente tornerò prossimamente. Secondo la stessa ipotesi, sembrerebbe che l’accordo coi tedeschi non assicurasse l’esito positivo dell’operazione. Qui nasce l’intervento determinante di Berlusconi, concordato nella citata cena del 18 luglio, alla presenza di Draghi e con l’assenza molto significativa di Tremonti. Berlusconi, curando i suoi personali interessi economici e non per fantasiosi e incomprensibili motivi politici, contatta Gheddafi, concordando con questi un tranello ai danni di Profumo. Quest’ultimo credeva di stabilire un patto indipendente col resto del management, ma in realtà si trattava come dissi di una pillola avvelenata. Con il contributo determinante degli investitori libici e forse anche di quelli di Abu Dhabi, la maggioranza è ora assicurata. Manca tuttavia ancora un tassello, il casus belli, bisogna cioè determinare il clima nell’opinione pubblica che giustifichi una scelta così traumatica, l’indiscusso boss da 15 anni che improvvisamente viene messo alla porta. E’ qui che interviene quel genio di Tosi, il pirla della situazione, che in nome del localismo padano, consente a libici e tedeschi di comandarci in casa. E’ tanto sprovveduta la parte giocata da Tosi che devo escludere che sapesse cosa stesse succedendo, ha svolto alla perfezione il ruolo dell’utile idiota. Gridando giù le mani libiche da Unicredit, Tosi da’ il tocco finale all’operazione in seguito alla quale si determina un peso crescente di mani straniere dentro la banca, un risultato niente male direi, per chi pretende di difendere il territorio.

Qui, infine, entrano in gioco gli equilibri interni alla Lega. Molti parlano di una crescente autonomizzazione dei veneti nella Lega. Sostanzialmente estromessi dal vertice, composto da Bossi, Maroni e Calderoli, i veneti provano a gestirsi alcune faccende con la scusa che si tratterebbe di faccende locali. Il punto è che, mentre i lumbard, ma direi specificamente Bossi, sono persone politicamente abili, i veneti sono molto più rozzi, sostanzialmente incapaci di cogliere la complessità insita in operazioni ad alto livello. Adesso Bossi sarà furente con quelli come Tosi, ed anche tanto preoccupato di avere permesso che la Lega, anche se non per mano sua, facesse da una parte uno sgambetto al fidato Tremonti, e dall’altra favorisse stranieri al posto di profumo, che poi è il risultato effettivo dell’operazione.

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