Ieri, i blogs e le pagine dei giornali erano colmi di scritti in memoria della Shoa, dicendo “per non dimenticare”. Come non essere d’accordo? Ma badate però che il problema della memoria è un problema estremamente delicato, in quanto non basta ricordare, ma occorre anche ricordare bene. Ricordare bene è anche non ricordare selettivamente, cioè non concentrarsi su un unico soggetto, ma invece avere il quadro globale di tutto ciò che va ricordato. In questo senso, ho particolarmente apprezzato il post apparso su uno dei blog che seguo, in cui, sorprendentemente, proprio a proposito della Shoa e della sua commemorazione, riporta non l’immagine dei campi di concentramento nazisti, quanto uno sterminio ancora più recente, e perpetuato in tutt'altra zona del mondo. Meglio di qualunque discorso, quel post ci sottolinea come la commemorazione non sia un’azione di analisi e giudizio storico, quanto invece uno strumento per l’oggi, per tenere lontano dal mondo contemporaneo l’ombra della follia sterminatrice collettiva, commemorare insomma perché non accada più. Con questo spirito, la Shoa ha un significato esemplare, è un esempio a noi particolarmente vicino temporalmente ed anche dal punto di vista culturale.
Però, questo aspetto della Shoa come simbolo di tutti i genocidi, di tutte le atrocità commesse dall’umanità in nome delle più diverse ideologie di morte, deve essere fortemente sottolineato. Se si ricorda e basta, se, anche come si è fatto con gli attentati dell’undici settembre 2001, si prende un avvenimento e gli si da’ un ruolo di evento unico, un punto di svolta storico, rendendolo quindi singolare, si fa un’operazione opposta e per me scorretta. Se il ricordo della Shoa lo si isola, lo si considera soltanto in sé, il risultato è quello di trasformare un’operazione di memoria in operazione di oblio: ricorderemo la Shoa, e dimenticheremo contemporaneamente tante altre atrocità, alcune a noi anche prossime (io sono solito ricordare il genocidio di armeni ad opera dei turchi nel 1915, maggiore per numero di persone trucidate, alla stessa Shoa). Ciò è tanto più vero per un aspetto importante, che i trucidati sono i vincitori e i trucidatori sono i vinti. Guai se per conservare ed alimentare la memoria, ci facciamo guidare da chi sia stato il vincitore! Cosa è rimasto in noi Europei della memoria dei nativi delle Americhe, degli stermini dei pellirosse perfino mediante contagio col vaiolo? Dimenticheremo in quel caso perché lo sterminio è stato compiuto dalle popolazioni risultate vincitrici, mentre chi l’ha subito ha perso, anche in virtù della furia sterminatrice dei nostri progenitori? Commemoriamo quindi la Shoa come simbolo ed esempio di tutte le atrocità commesse dall’umanità.
C’è un secondo aspetto su cui mi vorrei soffermare, e che riguarda più specificamente il razzismo. Leggo che ieri a Roma sono apparse scritte antisemite, e dico che davvero queste oggi cose da sfigati. Ma davvero c’è ancora chi ha un’ideologia antisemita? Ci sarà, su questo non c’è dubbio, ma si tratta davvero di episodi marginali di persone marginali, di qualcosa certo da cui guardarsi, ma avendo consapevolezza che esiste un razzismo ben più pericoloso, perché rischia di coinvolgere la maggioranza degli Italiani. Io lo chiamo neorazzismo e lo si può definire facilmente come razzismo verso i poveri. Da questo punto di vista, è la forma più pericolosa di razzismo, perché non si basa su stupide questioni di razza, facilmente smontabili alla prima analisi razionale, ma piuttosto sulla difesa pervicace di privilegi, reali o presunti tali. Come avviene sovente, questa volontà di separarsi dai più poveri, anzi possibilmente di non vederli neanche, si traveste oggi di motivazioni culturali. Così, ce la prendiamo con i Rom perché sono ladri sistematici a causa della loro stessa cultura, ce la prendiamo coi musulmani perché sono terroristi, o quanto meno sono intolleranti, sono contro le donne (cultura maschilista), rifiutano insomma di integrarsi, dove integrarsi significa abbandonare i loro costumi ed assumere i nostri. Fatto sta che Gheddafi, che certo non nasconde la sua fede musulmana, ha facilmente trovato frotte di ragazze pronte a farsi arringare da lui per un piccolo contributo finanziario: ma appunto, Gheddafi è ricco, e allora si passa sopra la sua appartenenza all’Islam.
Riassumendo, questo vuole essere un appello a tenere ben dritta la barra, a non baloccarci col passato, non scorgendo quanto il presente, pur confermando il dato dell’intolleranza portato alle estreme conseguenze del genocidio, possa trasformarsi, occultarsi, rendersi all’apparenza altro, rendendoci inermi rispetto ai pericoli presenti.