I risultati delle elezioni tedesche, a mio parere, meriterebbero una maggiore attenzione perché presentano degli aspetti di interesse per tutta Europa, e quindi anche per la situazione politica italiana. Cosa è successo in Germania? In sostanza, si è avuto un successo elettorale del Partito Liberale, collocato alla destra della CDU della Merkel, e anche del partito collocato più a sinistra e di quello dei verdi. Il successo di queste tre formazioni politiche è avvenuto, tranne che per una quota piccola pagata dalla CDU, a scapito della SPD, lo storico partito socialdemocratico tedesco. Si potrebbe, mi pare, ragionevolmente concludere che l’aspetto più significativo sia quindi costituito dall’insuccesso di dimensioni storiche (mai tanti pochi voti dal 1949) della SPD, in presenza di un quadro politico sostanzialmente stabile nel senso sinistra-destra (i voti in più dei liberali controbilanciati dai voti in più delle due formazioni di sinistra). Ciò che fa ulteriormente risaltare questo aspetto è che il risultato delle elezioni politiche tedesche va a confermare il risultato delle recente elezioni europee, e certo non solo in Germania. Quelle elezioni avevano segnalato una crisi generale della socialdemocrazia europea. Si capisce così, come con un simile precedente, il risultato di domenica appaia come una conferma molto significativa. Questi sono i dati elettorali: quale si può considerarne il significato politico connesso? Il mio parere è che si tratti di una crisi storica, in qualche misura irreversibile. Difatti, tutti noi, guardando alle politiche economiche dei governi di centrodestra e centrosinistra che si sono succeduti negli ultimi decenni, non riusciamo ad individuare un punto di discrimine netto tra le due differenti coalizioni. Diciamo che un po’ tutti i governi ad egemonia socialdemocratica in tutta Europa hanno finito con lo sposare le politiche neoliberiste che sono state in voga, a partire dagli USA di Reagan e Bush, durante tutto questo periodo. Durante un interessante dibattito a cui ho partecipato proprio oggi (qui), si è giustamente detto che la sinistra si è mostrata da una parte incapace di differenziarsi dalle destre nella gestione dell’esistente, dall’altra incapace di elaborare un suo progetto di trasformazione dell’esistente. La sinistra ha basato tutto sulla difesa di alcuni temi libertari tradizionali, considerati come il punto di differenziazione rispetto alla destra. Ebbene, questo giochetto, ora sembra estremamente chiaro, non funziona.
Lascio da parte tutte le questioni riguardanti la sfera delle libertà e dei diritti personali, su cui, come forse alcuni tra i miei lettori più attenti sapranno, ho delle idee “particolari”, e che porterebbero la discussione su tutt’altro versante.
Torniamo quindi alle questioni di politica economica che, se da una parte, come sostengo nel mio libro tendono a soffocare la politica, d’altra parte non possono comunque essere eluse: sembra ovvio che non si da’ governo di una comunità senza affrontare esplicitamente i temi economici. Il lato paradossale dei decenni passati è che la così sbandierata politica economica non è stata fatta da nessun governo, o meglio è stata fatta da qualcuno per tutti. Chi ha stabilito la politica economica mondiale? L’ha stabilito una congrega di grandi capitalisti mondiali e di alcuni selezionati grandi protagonisti politici. Sia chiaro: tali congreghe non rappresentano le fantasie di alcuni comunisti che hanno la mania dei complotti. Sono perfettamente reperibili in rete nomi ed informazioni di base di questi circoli estremamente riservati, non si tratta di associazioni segrete, ma è segreta la loro attività effettiva.
La loro capacità di determinare l’attività economica di quasi tutto il globo non ha richiesto la consapevole complicità dei governi di tutto il mondo. E’ bastato infatti liberalizzare il movimento dei capitali, e poi tutto è stato facile. Difatti, la sovranità stessa dei vari governi è stata annullata attraverso due differenti meccanismi. Da una parte, i grossi capitali mondiali hanno potuto colpire specifici paesi con la forza della loro enorme consistenza, per manifestare il proprio disappunto verso specifici provvedimenti di carattere finanziario e fiscale, dando una specie di ultimatum ai governi coinvolti. Da un’altra parte, sono stati anche i singoli investitori che, spostando i propri fondi sulla base dei trattamenti ad essi riservati, hanno pesantemente condizionato anch’essi le politiche finanziario-fiscali.
L’aspetto più vistoso di questa sostanziale incontrollabilità degli attori finanziari mondiali è quella che si è manifestata sotto forma della presente crisi economica mondiale.
Seppure oggi i governi mondiali sembrano porsi il problema del dominio di simili fattori, in realtà le misure adottate vorrebbero al più evitare queste situazioni estreme, ma mai metterebbero in dubbio o in forse il fattore che sta alla base di tutto questo: il libero spostamento dei capitali.