sabato 13 giugno 2015

COME COMBATTERE IL NEOLIBERISMO

Propongo qui il mio commento su un blog, a cui premetto per ovvii motivi l'articolo commentato...

Ci fu un tempo in cui la sinistra si divise fra rivoluzionari (che volevano conquistare il potere con l’insurrezione armata e fondare, con un solo atto di volontà, un sistema sociale e politico totalmente diverso da quello esistente) e riformisti (quanti volevamo andare al potere con il voto per cambiare il sistema attraverso una politica, appunto, di riforme graduali).
Poi sorsero una serie di correnti che ibridavano in vario modo le due posizioni di partenza; l’antirevisionismo luxemburghiano, il gradualismo malatestiano, le riforme di struttura togliattiane, il riformismo rivoluzionario di Lelio Basso o Andrè Gorz, i movimenti del sessantotto che comprendevano una fitta gamma di posizioni che miscelavano l’antica vocazione insurrezionale con forme di lotta sociale extraistituzionali ma non necessariamente violente.
Qui non entriamo nel merito delle singole posizioni, limitandoci a segnalare uno “slittamento semantico” per il quale, la socialdemocrazia accettò via via il sistema capitalistico e il riformismo non fu più un metodo per giungere ad un mutamento del sistema sociale, ma una politica orientata ad ottenere le migliori condizioni di vita per le classi subalterne, attraverso il welfarestate.
Mentre la sinistra “radicale”, abbandonata la prospettiva insurrezionale, manteneva l’aspirazione ad un diverso sistema sociale e e si dichiarava “riformatrice” per distinguersi dai “riformisti” e pensava che le “riforme di struttura” potessero essere lo strumento idoneo a raggiungere l’obiettivo. Per definizione, la sinistra riformista era “ritenuta interna al sistema”, mentre quella radicale “antisistema”, in riferimento alla sua alterità di sistema, a prescindere dai mezzi utilizzati per il cambiamento. Poi, man mano, anche la sinistra radicale (primo fra tutti il Pci) finì per accettare il sistema capitalistico, e ripiegò sulla difesa e l’espansione dello Stato Sociale. In qualche modo, le politiche welfariste diventavano l’”alternativa interna al sistema”. Il sistema restava capitalistico ma aperto ad una redistribuzione della ricchezza (in particolare attraverso la leva fiscale) ed alla modificazione delle gerarchie di classe attraverso le politiche sociali (in particolare l’istruzione e l’estensione dell’intervento statale in economia). Non si usciva dal sistema, ma lo si poteva modificare restando al suo interno perché il sistema prevedeva alternative interne.
Lasciamo perdere in questa sede differenze, successi ed insuccessi di queste diverse linee politiche e soffermiamoci a ragionare sul presupposto comune a tutte queste posizioni: la possibilità di modificare la struttura economica attraverso l’azione politica (più moderatamente nella prospettiva riformista, più radicalmente in quella rivoluzionaria), entro la cornice della sovranità dello stato nazionale. Anche la prospettiva della rivoluzione mondiale coltivata dall’Internazionale Comunista, scontava che la rivoluzione si affermasse nel contesto nazionale e la presa del potere avvenisse di contesto nazionale in contesto nazionale. Peraltro, la prospettiva della rivoluzione mondiale, intesa come rapido processo di estensione dei regimi rivoluzionari in tutta Europa, fu sconfitta sin dall’ottobre 1923 e mantenuta solo nominalmente nel ventennio successivo, in cui prevalse la politica del “socialismo in un solo paese” che, di fatto, risolveva la prospettiva rivoluzionaria nell’estensione dell’area di influenza dell’Urss.
Dunque, riformisti o rivoluzionari (e di tutte le sfumature intermedie o confinanti) definivano la loro politica all’interno dello schema concettuale statale che prevedeva alternative politiche interne al sistema.
La rivoluzione neo liberista (a suo modo è stata una rivoluzione, per quanto regressiva) ha distrutto questo presupposti:
1. affermando il primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica
2. costruendo un ordine gerarchico mondiale tendenzialmente monopolare (oggi in crisi) che riduce la sovranità degli stati nazionali
3. sottraendo i grandi capitali finanziari al fisco, attraverso la mobilità mondiale dei capitali, che consente al “grande contribuente” di scegliere il fisco cui pagare le sue tasse
4. attraverso la delocalizzazione produttiva e la liberalizzazione degli scambi commerciali che, inevitabilmente premia i paesi a costo del lavoro più basso e, quindi, agendo come attrattore verso il basso dei livelli salariali
5. realizzando un sistema monetario sganciato dalla base aurea o, comunque, da parametri oggettivi e basato solo sull’apprezzamento reciproco delle monete, che fa dipendere la stabilità monetaria di ciascuno dalla dittatura del rating e dalle decisioni dei mercati finanziari (in realtà da Wall Street) di fatto, riducendo ai minimi termini  la sovranità monetaria dei singoli paesi
6. coprendo l’intero ambito rapporti economici ed a livello mondiale, con una fittissima rete di accordi e trattati internazionali (a partire dagli accordi di Marrakesh del 1993) che precludono ogni politica diversa da quella neo liberista e proibiscono esplicitamente l’intervento statale in economia
7. impedendo ogni politica industriale nazionale, privatizzando le imprese pubbliche e promuovendo grandi fusioni internazionali a guida finanziaria
8. liquidando i presupposti stessi dello stato sociale.
Di conseguenza, l’ordine neo liberista ha carattere politicamente monistico e non ha spazio per una sinistra interna. Nel mondo della globalizzazione neo liberista non c’è spazio per politiche keynesiane, per compromessi welfaristi e, di conseguenza, per ogni politica riformista. L’ordine neo liberista non prevede alcuna sinistra interna, è tutto ed organicamente di destra. A fronte dell’assolutismo neo liberista, il riformismo, anche il più moderato, assume valenza antisistema al pari di qualsiasi indirizzo rivoluzionario.
Ne consegue che occorre abbandonare la pratica istituzionale per passare a forme di lotta violente o addirittura armate? Per nulla: sarebbe una risposta incongrua rispetto all’obiettivo. Che si prenda il potere in un paese tanto per via pacifica e legale quanto per via violenta ed illegale, il problema non si sposta di un centimetro, perché il nuovo governo, comunque formatosi, avrebbe di fronte lo stesso problema di fare i conti con un ordine mondiale ostile, dove l’unica variabile decisiva sarebbe quella dei rapporti di forza. La Cina ha realizzato un sistema di capitalismo di Stato che si discosta per più versi dall’ordinamento neo liberista, ma può permetterselo perché i rapporti di forza economici, finanziari e, non ultimo, militari, glielo consentono e rappresenta una torsione del sistema internazionale nella misura in cui i rapporti di forza glielo consentono. Il passaggio a diverse politiche non liberiste è antisistema nella misura in cui presuppone la rottura dell’ordine mondiale e della sua rete di trattati ed accordi.
Dunque, il problema, al di là della praticabilità ed auspicabilità di un ricorso a forme di lotta interna violente, si pone in termini diversi: come maturare i rapporti di forza internazionali che consentano di aprire spazi a politiche sociali ed economiche non liberiste. Il che significa che l’asse dell’azione politica si sposta dall’arena nazionale a quella internazionale.
Le sinistre riformiste (Spd, Socialisti francesi e spagnoli, Labour party ecc) perdono terreno e sono destinate all’estinzione o all’assorbimento organico nelle formazioni di destra, perché all’interno di questa cornice di sistema non possono avere altra sorte.
Le sinistre “radicali” (Linke, Front de Ganche, Izquierda Unida, Rifondazione Comunista e Sel ecc.) stanno subendo lo stesso declino perché non hanno iniziativa politica e non possono averla, perché, incapaci di iniziativa internazionale (neppure a livello europeo), mancano di una proposta politica che non sia pura propaganda senza contenuto.
Syriza è destinata al fallimento perché non trova supporto internazionale e perché non ha il coraggio di utilizzare l’unica arma (a doppio taglio) in suo possesso: il ricatto del debitore.
Podemos (che, tutto sommato, è una variante intermedia fra Sel ed il M5s) è destinata ad analogo insuccesso, perché non pensa neppure di mettere in discussione la cornice europeista.
Il M5s temo sia destinato a schiantarsi contro le resistenze del sistema perché, pur avendo intuito che il nodo è quello dell’ordine internazionale (come dimostra la posizione sull’Euro), non riesce ad articolare questa intuizione in un progetto politico adeguatamente articolato, perché non svolge alcuna azione internazionale e, quando tenta qualcosa, sbaglia (leggi Ukip), perché non ha costruito uno strumento organizzativamente adeguato allo scontro.
Come si vede siamo in un cul de sac, dal quale non usciremo né con improbabili referendum e colpi di testa, né con le solite alchimie di orrendi cartelli elettorali costruiti sul nulla. Ma sarebbe già un passo avanti una convenzione europea, nella quale Podemos, Syriza, M5s, la “sinistra radicale”, i restanti partiti comunisti e le sinistre socialdemocratiche concordino una o più campagne europee sulla ristrutturazione del debito, sull’uscita concertata dall’Euro, la  revisione dei principali accordi internazionali. Non sarebbe la soluzione dei nostri problemi, ma un possibile inizio. Il resto è già votato al fallimento.

Qui di seguito il mio commento:

Mi trovo in profondo dissenso un po' su tutto l'articolo.
Sulla prima parte, non riesco a capire il punto 5 cosa c'entri con il neoliberismo. La teoria dello standard aureo fa parte integrante della teoria monetarista che a sua volta è neoliberista, anzi ne ha costituito la premessa, il fondamento.
Ogni teoria economica che consideri la moneta come valore, finisce inevitabilmente per confermare l'ideologia neoliberista. Finchè non si capisce che il denaro è soltanto uno strumento di politica economica, non si esce da una logica neoliberista. La sottomissione ai mercati non è in alcun modo conseguenza dell'assenza dello standard aureo, è l'espressione stessa del neoliberismo, più che uno strumento che lo favorisce.
Anche la ricostruzione storica dell'evoluzione di ciò che comunemente si indica come sinistra appare sommaria e discutibile, ma nella sintesi richiesta dal mezzo ci potrebbe anche stare.
Il dissenso totale sta nella conclusione a cui l'articolo giunge ed anche al modo ingiustificato, perchè non argomentato, con cui vi giunge.
In sostanza, si esclude la possibilità di iniziative nazionali, affermando la necessità di iniziative internazionali. 
Partiamo da qui. L'articolo non dice nulla su quali debbano essere queste iniziative, elenca alcuni temi, ma nello stesso tempo non entra nel merito di come affrontarli ed inoltre ammette candidamente che esse non potranno risultare risolutive.
Ditemi voi se esagero dicendo che questa conclusione equivale a dire che non c'è nulla da fare, conclusione inevitabile se a quanto dice l'articolo, si aggiunge che non vi è alcuna premessa perchè le forze politiche elencate dovrebbero entrare in questa logica. In particolare, mi pare che ci sia un equivoco enorme sui partiti socialdemocratici che vengono trattati come entità che ingenuamente hanno consentito un'evoluzione politica che li mette fuori da ogni ruolo significativo. 

Ciò è falso, i partiti socialdemocratici hanno scientemente scelto di adeguarsi alla nuova realtà geopolitica del neoliberismo globalista, determinando un loro appiattimento sulle posizioni dei popolari, ed ormai questo processo è irreversibile, chi li vota, a meno di considerare gli elettori dei poveri mentecatti, sa bene cosa vota e sicuramente lo sa tutto quel ceto politico subalterno che costituisce l'ossatura portante di questi partiti: non si può cavare alcun succo da una rapa. 

Torniamo quindi alle brevi e apodittiche affermazioni che portano Giannuli ad escludere ogni possibilità di agire nazionalmente.
Egli afferma che nessuna nazione può resistere al clima ostile internazionale.
Io non lo credo per una serie di ragioni.
La prima è che neanche negli anni novanta, nel pieno del trionfo dell'impero USA. sarebbe stato così facile per la superpotenza unica intervenire con la forza contro una nazione sovrana, meno che mai se essa è uno dei paesi più svilòuppati del mondo intero.
C'è però un'altra argomentazione che forse è anche più rilevante, che negli ultimi venti anni il ruolo imperiale degli USA si è molto ridimensionato, ed apparentemente solo l'Europa, i suoi alleati più tradizionali, non se ne sono accorti. A paete la Cina, già citata dall'articolo, serve ricordare che la Russia di Putin non è la Russia di Eltsin, che Turchia ed Israele non solo assumono comportamenti palesemente difformi dagli USA, ma addirittura arrivano a deridere quel paese, certi di poterlo fare impunemente. Difatti, non solo la Turchia arma l'ISIS come è stato documentato, ma addirittura Israele costringe gli USA a capovolgere alcune mosse decisive nel teatro mediorientale per non risultare smarcata rispetto alle sue scelte. Lo stesso potrebbe dirsi per i sauditi e loro alleati nella zona, significativamente rispetto all'atteggiamento verso l'Iran.
Analogamente, la maggior parte dei paesi dell'America latina, considerata da sempre dagli USA il loro cortile di casa, hanno clamorosamente sbattuto fuori gli USA che in quell'area non contano più nulla.
 
Insomma, mi pare chiaro che il quadro dipinto da Giannuli di un impero potente è del tutto irrealistico, l'impero è in vistoso declino e presto imploderà, qualunque cosa facciano gli europei, perchè la stessa esistenza di sacche di resistenza ai voleri imperiali ne determina il loro indebolimento. 

Come dicevo, solo in sede UE si pensa di dovere assecondare pedissequamente ogni volere imperiale come se questa scelta fosse ineluttabile, e proprio da questo punto di vista trovo che quest'articolo sia perfettamente in linea con la visione politica egemone nella UE, per cui le scelte possono essere assunte solo in ambiti molto ampi e che quindi travalicano i singoli paesi. Dopodichè,l'articolo compie anch'esso l'errore ormai sistematico di credere che la UE possa essere utilizzata per operazioni totalmente differenti da quelle che pratica. La UE non può che essere neoliberista perchè lo è prima ancora che politicamente, sul piano istituzionale, e quindi è una sua caratteristica intrinseca. 

Infine, l'aritcolo sembra del tutto ignorare la fragilità seppure abilmente occultata della situazione internazionale, innazitutto dal punto di vista economico. Prima o poi, quei settecentomila miliardi di dollari di cartaccia stampata dal ssitema bancario privato globale si riverseranno sul mercato, ed allora ci sarà un big bang mai prima visto nella storia dell'umanità.
Io ho una posizione esattamente opposta, le uniche iniziative che possono funzionare, sono quelle assunte a livello nazionale in stati che abbiano una costituzione democratica. Essi costituiscono strutture politicamente influenzabili e che posseggono risorse in grado di dare gambe ai progetti.
Quando peraltro dico che le iniziative vanno assunte nazionalmente, non intendo dire che vadano assunte solitariamente, dico che se alleanze sono possibili, esse possono procedere parallelamente, cioè più paesi che assumono decisioni analoghe anche se tramite iniziative separate purche concordate. La direzione sarebbe antiglobalista, per la piena riappropriazione delle sovranità nazionali
Voglio ricordare allo stesso Giannuli che solo pochi giorni addietro, egli sosteneva che Tsipras avrebbe dovuto rompere con la UE e procedere alla solitaria uscita dall'eurozona della Grecia, cioè l'esatto contrario di quanto afferma oggi. Mi chiedo cosa gli abbia fatto cambiare opinione così rapidamente.
 
Infine, riassumendo, dirò che mettere assieme tante paure dell'impero del male che può soffocarci non fa un coraggio, mentre più coraggi fanno un progetto internazionale.

6 commenti:

  1. Lorenzo, innazitutto, sei lo stesso Lorenzo che frequenta alcuni blog che frequento anch'io?
    Così mi sembrerebbe, tuttavia non riesco a capire perchè quando vieni qui a commentare usi un linguaggio ed uno stile rozzo, direi primitivo, un argomentare francamente retrivo al contrario di quanto fai altrove dove sembri avere un'ottima capacità di argomentazione.
    Stavolta, ti ho pubblicato, malgrado le espressioni formalmente crude e sostanzialmente reazionarie. Spero che tu sioa in grado di fare meglio, sennò sarò costretto a riprendere l'embargo.
    Nelk merito, la Grecia sarà povera, avrà un'indiustria arretrata, ma essa non è stata fondata dalla UE, preesisteva ed anche da un bel po', ed aveva trovato un suo equilibrio. Sono certo che sarà in grado di ritrovarlo in autonomia, anche se ciò dovesse richiedere una riduzione delle merci disponibili. Del resto, questo è il destino che attende tutta l'umanità, o consumiamo di meno e meglio, osoccomberemo e la specie umana sparirà.
    Non so che cosa vuoi indicare con potenze massoniche della buonanima, io facevo un discorso che rifiuto di assimilare ad altri discorsi fatti da altri soggetti.

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  2. Uno stato che abbia la sovranità monetaria, non ha la necessità di accedere a fonti di finanziamento estero. Se uscissimo da questa follia collettiva che ci fa credere che la moneta sia un valore, quando è soltanto uno strumento di politica economica, vedremmo che proprio la creazione di moneta è la cosa più semplice da realizzare, lo fanno anche le banche commerciali quando concedono un prestito, non è che prendano i soldi da un cassetto, vanno dalla banca centrale e si fanno aprire un credito sul conto che lì detengono, quindi quella moneta è creata dal nulla.
    Il vero problema della Grecia è la bilancia dei pagamenti e la bilancia commerciale, ma non è che avere l'euro glielo risolva, anzi peggiora le cose perchè, non consentendo di accedere allo strumento della svalutazione, ne sacrifica la competitività. Tornando alla moneta nazionale, la Grecia potrà riprendere a stamparla, fino a raggiungere la giusta dose di liquiditàe la necessaria svalutazione per valorizzare quel poco di industtria che hanno e la loro produzione agricola. Sarà certo dura, ma non riesco a capire perchè mai dovrebbe essere peggio di adesso, sarà invece un po' meno pesante.

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  3. Oddio, ora anche l'Italia, siamo tutti falliti. Secondo me, l'economia non è materia tua, giocando sul cambio, si può ad esempio favoreire gli investimenti esteri, ci sono tante strade, e davvero non capisco quale sia la tua proposta. Apparentemente, sembrerebbe che per te non ci sia salvezza possibile. Fossi in te, sarei meno catastrofico, oppure di più, ammettendo che proprio gli USA sono il paese più inguaiato di tutti, cosa che imlica un default generalizzato. Il veor problema è la montagna di cartaccia che il sistema bancario ha creato, e proprio quel problema ha solo una soluzione che non vogliono adottare, sarà un big bang finsanziario senza precedenti e non ci vorrà neanche troppo tempo.

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  4. Lorenzo, non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire.
    Fai troppa confusione quando parli di economia, ad esempio confondi la bilancia dei pagamenti col bilancio statale, o affermi che l'economia è un gioco a risultato nullo QWuesto è semp,licemente falso perchè l'economia funzione su un piano dinamico, così che 2 + 2 in econiomia può vben fare 5, perchè tra il momento dei due 2 e il momento del 5 interviene qualche altra cosa.
    Si tratta di concetti basilari senza cui non si può proprio discutere di economia, ma la lezione qui non la posso tenere.
    E comunque, non hai risposto alla mia domanda, se tu sei lo stesso lorenzo che scrive su altri blog che io frequento.

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  5. Ribadisco, in economia esiste una variabile fondamentale che si chiama tempo. A cosa serve il credito secondo te, anzi la stesa esistenza del denaro? Serve a immettere in circolazione più valore di quello realmente essitente se misurato in merce.
    Forse ti può aiutare la visione dell'economia capitalista come una gigantesca catena di S. Antonio, per cui se essa si prolungasse all'infinito, in effetti produrrebbe un arricchimento per tutti i partecipanti. La fregatura sta nel fatto che tale catena prima o poi si interrompe, ed allora gli ultimi pagano per tutti. E' ciò che avviene anche in economia, ogni tanto questo moltiplicatore di ricchezza stenta ad avanzare, ed è questo che si intende per crisi economica.
    Se non ci credi, allora avrai una spiegazione alternativa della genesi delle crisi nel capitalismo, e potresti illuminarci (che poi, la cosa più misteriosa non sta nella crisi, ma nella crescita).

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  6. Bene, fattene una ragione, l'economia non è assimilabile in alcun modo a un sistema idraulico, per l'ovvio motivo che il sistema idraulico è un sistema fisico, e quindi soggetto alle leggi fisiche, mentre l'economia è un sistema a troppe variabili, e quindi fatalmente indeterminato, ed influenzabile da scelte umane consapevoli, visto che si basa su scelte culturali. In natura, non esiste l'economia, ma esiste la fisica, capisci la differenza?
    Ora però mi sono proprio stufato, sei un pessimo allievo purtroppo anche presuntuoso, e quindi non ho tempo da perdere con chi è incapace di dialogare. La corrispondenza si ferma qui, non ho motivi per alimentare le tue personali ossessioni.

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