martedì 29 novembre 2011

QUESTI ANTICAPITALISTI DEI TEDESCHI

Sembrerebbe quindi che i tempi della crisi siano molto veloci, più di quanto si pensasse ancora qualche settimana fa. Da un certo punto di vista, è anche meglio. E’ disperante ascoltare l’insipienza dei politici europei. Ieri, a”L’infedele” ho dovuto vedere un deputato tedesco, tale Kolbe, fare discorsi da bar, difendendo senza pudori la Merkel.

Qua, siamo ancora alla virtuosità di chi tiene i conti in ordine di chi invece si comporta da spendaccione, la politica economica trattata come se si trattasse di un ambito familiare, la completa ignoranza dei meccanismi reali dell’economia capitalistica.

Capire che lo scambio è il fine del capitalismo è una cosa così complicata? Capire che il denaro è un titolo di credito è così complicato? Capire che il tanto osannato PIL registra gli scambi che avvengono, e che le finalità comunemente accettate dagli economisti, anche se non accettate da tutti e men che mai da me stesso, di crescita del PIL implicano una corrispondente positività dell’aumento degli scambi è così difficile? Se quindi, accanto ai laboriosi e virtuosi tedeschi che riempiono le loro banche di denaro, ci sono i fannulloni greci che sono pronti ad utilizzare quel denaro, per la Germania dovrebbe essere considerata una benedizione, perché solo così la Germania ha accresciuto il PIL riuscendo a riassorbire i danni della riunificazione e riuscendo a far crescere il PIL negli anni passati anche durante quindi una crisi economica mondiale devastante.

Qualcuno lo dica ai tedeschi che esiste solo un modo di funzionare dell’economia capitalista, che a me non piace, e che voglio certo superare, perché porterà l’umanità dentro il baratro dei disastri ambientali. Quindi, benvenuti nel club degli anticapitalisti, purchè essi sappiano le reali implicazioni delle loro posizioni in tema di economia.

Se invece vogliono continuare a stare dentro il sistema capitalista, allora che ci stiano nell’unico modo in cui è dato starci, e cioè come ci stanno gli USA. Tutto possiamo dire agli USA, ma certo non possiamo rimproverare loro per scarsa coerenza nel perseguire ad ogni e qualsiasi costo la crescita del PIL. Alla fine, il punto dirimente è proprio questo, se credere al mito della crescita ininterrotta, di questo vano moltiplicarsi degli oggetti di cui ci circondiamo, o se questo modello è finito, e non come preconizzava Marx per lo stesso sviluppo delle forze produttive, ma per limiti fisici invalicabili nella capacità del pianeta di sopportare la crescita della produzione tecnologica.

Ciò che però non si può fare è, nel momento stesso in cui si rampognano i partners della zona euro per quanto sono spendaccioni, per i loro eccessivi disavanzi di bilancio, ignorare che altrove, come negli USA e nel Regno Unito, dopo pratiche decennali ben più spendaccione di quelle dei paesi PIGS, ora pretendono di salvare il loro sistema bancario dai loro fallimenti di fatto già in atto, attaccando le nostre economie.

Bisogna scegliere, e bisogna farlo molto celermente, c’è un’emergenza in atto sui mercati finanziari che non capisco come una persona mediamente ragionevole possa ignorare.

Le alternative che vedo, mi sembrano tre.

La prima è accettare il meccanismo infernale dell’economia capitalista, che impone di sostenere la crescita ininterrotta accrescendo la liquidità senza porsi alcun limite teorico, si stampa moneta nella misura che serve, qualunque sarà l’importo corrispondente. Alla BCE viene data piena facoltà di garantire il corso dei titoli emessi dai paesi dell’area euro, magari contestualmente prevedendo in determinate condizioni meccanismi di commissariamento delle nazioni da parte delle istituzioni europee. E’ una scelta che permette certo di riprendere respiro, ma che lascia del tutto inalterati i problemi della crisi che comunque scoppierà egualmente a livello mondiale tra alcuni anni.

La seconda sarebbe quella di definire delle misure di rigore dei conti pubblici che convincano gli investitori della solidità granitica dei titoli pubblici, scoraggiandoli dall’attaccarli. E’ in sostanza la via che la Germania vorrebbe imporci. E’ una posizione che definirei avventurista, perché sottovaluta il ruolo delle grandi corporations. Dire che i grandi investitori internazionali basano le loro operazioni sull’affidabilità dei titoli coinvolti è una conclusione superficiale, e quindi nei fatti una falsità. Gli investitori pretendono di guadagnarci, soprattutto perché hanno portafogli gonfi di titoli tossici, come tali inesigibili.

A questo fine, il gioco che praticano è quello del gatto col topo: vendono per abbassare i corsi, facendo così lievitare i tassi. La maggiore spesa viene contrastata dal governo coinvolto con nuovi provvedimenti. Una volta approvati, questi provvedimenti trasferiscono risorse private dei cittadini al bilancio pubblico, da cui i grossi investitori li prelevano facendosi pagare interessi più consistenti. E’ come un pozzo di San Patrizio, un pozzo senza fondo che porterà comunque al fallimento di quella nazione, ma solo dopo avere distrutto la ricchezza privata in mano ai semplici cittadini, ed è quindi da rifiutare recisamente.

La terza soluzione è quella di separare le due distinte questioni, l’una quella degli attacchi speculativi all’Europa da parte dei mercati finanziari, e l’altra quella del risanamento dei conti pubblici in area euro. Se riconoscessimo, ma mi pare che purtroppo i politici europei stentino a farlo, che i mercati sono il nostro problema e non il nostro giudice, allora dovremmo trovare dei meccanismi tecnici che ci consentano di sospendere il funzionamento dei mercati senza strangolare il sistema bancario europeo. E’ chiaro che non può essere uno come me a possedere le competenze necessarie per definire i dettagli del meccanismo. L’unica cosa che mi sento di proporre è quella di sospendere il funzionamento del mercato secondario dei titoli (chi ce li ha, se li deve tenere, e chi non li ha non li può acquistare), lasciando funzionare solo il mercato primario. Anche qui, si potrebbe prevedere la sottoscrizione forzosa di titoli da parte dei cittadini e l’elaborazione di un piano di rientro dal debito, che non può che basarsi su una preliminare e certa definizione degli interessi da pagare. Si va in tal caso alla progettazione di un’area geopolitica che si tenga fuori dai meccanismi finanziari internazionali, che abiuri la famigerata teoria della crescita ininterrotta, prevedendo nel contempo forme di protezionismo doganale delle merci che permetta il raggiungimento della piena occupazione.

Se vediamo la situazione odierna a livello europeo, sembra che sia la seconda ipotesi a tenere banco. Poiché però è da escludere che ci sia una classe politica europea così idiota, si deve credere che le cose che oggi si dicono sia una pretattica tra gli stati coinvolti per tirare la corda dal proprio lato, allora non posso credere che il CDM di lunedì prossimo possa uscirsene con un provvedimento dell’importo di 15 miliardi, come si è scritto in questi giorni. E’ chiaro che questi miniprovvedimenti costituiscono oggi un inutile stillicidio, e che sarebbe un atteggiamento suicida per l’Italia prelevare questi 15 miliardi dalle nostre tasche per versarle in quelle delle corporations e dei loro ricchi amministratori. La Germania piuttosto, prima di concedere tutti questi poteri a una struttura comunitaria come la BCE, vuole dare in pasto alla propria opinione pubblica un provvedimento clamoroso da parte del governo italiano, che non può che essere una patrimoniale straordinaria da centinaia di miliardi di euro.

Io l’ho già detto, una patrimoniale così ci può stare. L’importante è però di attuarla in condizioni in cui la finanza internazionale non ne può approfittare,e quindi si deve contestualmente permettere alla BCE di stampare moneta a volontà. Mi aspetto pertanto che dopo l'ipotizzata patrimoniale deliberata dal CDM del 5 dicembre, segua nella riunione comunitaria del 9 dicembre, il venerdì successivo, la decisione, si spera unanime, di darre alla BCE le munizioni necessarie alla difesa dei titoli pubblici dei paesi dell'area euro.

Come dicevo, è solo un modo per rinviare il big bang finanziario, ma potrebbe costituire un tempo prezioso per chi vuole uscire dal lugubre treno della crescita ininterrotta, facendone l’obiettivo principale della propria azione politica.

domenica 27 novembre 2011

L'EUROPA E LA POLITICA ITALIANA

Purtroppo, non resta che ammetterlo, l'Europa, almeno nell'attuale configurazione, è già morta.
L'impressione sempre più distinta è che si sia già avviatoa una fase in cui gli obiettivi comuni, qualunque essi siano, sono scomparsi dall'orizzonte delle cose prese in considerazione dai governanti europei, e il gioco in corso sia come utilizzare al meglio la situazione data nel senso più lato, includendo quindi anche le attuali norme istituzionali europee, per fregare i partners a proprio vantaggio.
Se viene a prevalere questa visione esclusivamente dal punto di vista nazionale, l'Europa come dicevo non esiste più e il simulacro che rimane può solo rendere i rapporti tra stati che hanno già deciso di riprendersi tutte le loro prerogative, più difficili, una specie di cadavere che serve solo ad appestare l'aria.
E' troppo allora chiedere a questi stessi governanti una separazione consensuale? Ancora fino a qualche giorno fa, speravo nel miracolo di un rifiorire di un sentimento europeo, ora, vedendo i tatticismi esasperati in corso, con vertici inconcludenti, e contemporaneamente le indiscrezioni che ci dicono che già ognuno ha già definito da sè come uscirne, sono sempre più preoccupato di questa convivenza forzata che non potrà che lasciare rancori difficilmente smaltibili nel corso dei decenni successivi.
Il meglio che vedo, anche se non credo sia veramente possibile, sarebbe una comune dichiarazione di riaffermazione della volontà di approdare a una federazione europea e contemporaneamente di presa d'atto dell'impossibilità di farlo con le strutture istituzionali e le modalità fin qui sperimentate. Così, ci si lascia da amici, in attesa di tempi migliori, e sarebbe oggi davvero il massimo che possiamo ottenere.
Per quanto invece riguarda specificamente l'Italia, si vede sempre più la portata epocale dell'iniziativa di Napolitano, che ha messo in moto un processo del cui esito nessuno può prevedere il corso, un meccanismo pericolosissimo che ci porterà verso lidi inesplorati, magari distanti dagli obiettivi consapevoli che egli si prefiggeva.
Oggi, l'effetto più evidente sembra consistere in un maggiore accondiscendenza in ambito europeo. D'altra parte, considerato cosa sia Napolitano che Monti rappresentano in base al loro percorso politico personale, ciò è in qualche misura inevitabile.
Tuttavia, uno stesso atteggiamento provoca conseguenze differenti in base al contesto in cui si verifica. Così, se oggi avesse ancora un senso parlare di una reale area comune europea dell'euro, o anche di una reale Unione Europea, tale accondiscendenza potrebbe risultare propizia a far crescere il progetto federale. Se però come dicevo all'inizio, gli egoismi nazionali prevalgono in modo palese, allora andare indifesi a perorare un progetto che non interessa a nessun altro, si tradurrà inevitabilmente nell''assecondare i progetti nazionali degli altri partners a danno della nostra nazione: purtroppo, quando una certa cultura del sospetto si instaura, è molto complicato eliminarla. Napolitano e Monti dovrebbero considerare con la massima attenzione tali rischi e delle possibili conseguenze storiche che ne possono derivare per non essere ricordati come dei traditori della loro patria.
Nel frattempo, nella politichetta nostrana si è scatenato un balletto scomposto da parte dei partiti a potere limitato che deriva dal loro piegarsi alla volontà di Napolitano. Insomma, ai necessari equilibrismi consueti nel rapporto tra i differenti partiti, si aggiunge un nuovo equilibrismo tra il mostrare di sostenere lealmente Monti e mostrare comunque di svolgere ancora un ruolo significativo.
Ciò che appare con una certa evidenza è che malgrado certe sue battute, Berlusconi non ha più alcuna chance di rimanere al centro della scena politica nazionale, fa ormai irrimediabilmente parte del passato. Di conseguenza, il bipolarismo tutto centrato sulla sua persona, la famosa divisione tra berlusconiani ed antiberlusconiani, viene a cadere, e con il bipolarismo entrano in crisi non solo come sembrerebbe ovvio il PDL che lo vedeva come fondatore e proprietario, ma parallelamente entra in crisi anche il PD che mai ha saputo definire una propria polarità davvero autonoma, che insomma si definisse da sè. Veltroni aveva a parole ragione nel volere affermare il PD come polo di centrosinistra senza partitini di contorno: peccato che nei fatti non l'ha praticato permettendo a Di Pietro di accomunarsi, violando così platealmente i propri stessi intendimenti ufficiali, e che in ogni caso non sia stato in grado di definire una propria fisionomia politica credibile, tutta al contrario modellata su modelli esteri quale il Partito democratico USA più che la socialdemocrazia europea. Quest'area politica ha dimostrato di non saper reggere l'urto neoliberista, giacchè ha praticato una politica dell'arretramento progressivo, credendo erroneamente che una posizione più arretrata coincida automaticamente con una posizione più difendibile. Al contrario, questi continui arretramenti hanno finito con il corroborare a livello di opinione pubblica le mosse degli avversari.
La direzione verso cui sembra quindi dirigersi il sistema dei partiti è verso una ricollocazione che veda la formazione di un grande centro per aggregazioni da destra e sinistra sul terzo polo.
Si direbbe che il PD sia destinato a sparire più che a spaccarsi. Il rimescolamento interno dall'iniziale convergenza tra DS e Margherita ha gonfiato enormemente l'ala destra che ormai vede l'adesione di figure storiche dei DS come D'Alema, Fassino e Veltroni. Il PD è ormai come un tennista che si trova con il braccio destro con cui batte molto più muscoloso dell'altro. Se guarda alla sua sinistra, Bersani non vede granchè, e finirà per dovere anch'egli confluire, naturalmente in chiave subalterna, in quest'ala che ha già da tempo un progetto organico di confluenza sul terzo polo. Oggi, Enrico Letta può a ragione figurare come il segretario in pectore, il vero leader del PD, soprattutto dopo l'asse che egli ha praticato con Napolitano per la formazione del governo Monti, e davvero Napolitano appare come il vero killer del PD.
In sostanza sembrerebbe che solo delle sparute frange rimarranno fuori da questo grande centro che magari sarà articolato al proprio interno, ed esse oggi appaiono come le vere vittime dei nuovi equilibri, dovendo verosimilmente approdare aa SEL di Vendola.
Ciò che invece avverrà al PDL è più difficle da pronosticare. Probabilmente esso sì che si spaccherà, ma la parte preponderante dovrebbe confluire anch'essa nel grande centro, lasciando gli ex-AN e qualcunaltro in un partito di destra a sè stante.
Sentivo stamane degli inteventi ad "Omnibus" su La7, e notavo l'errore di prospettiva di alcuni giornalisti che continuano a considerare gli elettori come se fossero vincolati ad una certa appartenenza, con osservazioni del tipo "se sparirà il PDL, non spariranno certo gli elettori PDL". E' un errore gravissimo, perchè in realtà come e meglio del PDL possono ben sparire gli elettori PDL, in genere ben più moderati di Berlusconi e finiti con lui per un'adesione alla sua personale figura. Almeno io non voglio cadere in questo errore, e perciò ci tengo a distinguere tra le dinamiche dei partiti e dei loro dirigenti che sono verosimilmente quelli che ho qui descritto, e ciò che invece avverrà a livello di semplici cittadini. Io non credo all'inamovibilità degli italiani, al sostanzialmente immutato dimensionamento delle loro posizoni politiche, e credo che anche nell'analisi del passato tale tesi sia smentita dalle cifre. Più che mai oggi, in cui la politica finirà per incidere più profondamente nella vita delle persone per i morsi della crisi sulle loro condizioni di vita, credo che gli Italiani usciranno profondamente trasformati da questi eventi in un modo oggi non prevedibile precludendo ogni possibile previsione, e alla fine i partiti saranno costretti ad inseguirli, magari capovolgendo le loro mosse sullo scacchiere partitico.

giovedì 24 novembre 2011

GLI IRRESPONSABILI CHE DANNO FUOCO ALL'EUROPA

Noto con crescente preoccupazione che le gravi questioni di ordine finanziario, che assillano il mondo intero, trovano sempre più sui mass media una descrizione molto imprecisa fino ad apparire apertamente falsa.

Purtroppo, da una visione della crisi lontana dalla realtà, derivano inevitabilmente conclusioni errate sulle iniziative da intraprendere. Il punto è che tali iniziative non riguardano soltanto misure di ordine fiscale e monetario, che, se errate, ci potranno al massimo impoverire, ma comportano come è ovvio aspetti squisitamente politici che coinvolgono quindi i rapporti tra stati: non solo, perché la risonanza che la stessa grande informazione esercita sulle persone, rischia di creare fratture pericolosissime perfino tra le popolazioni degli stati coinvolti con conseguenze imprevedibili e certamente non positive verso un clima di maggiore tolleranza e fraternità tra nazioni magari perfino confinanti.

Voglio qui ribadire che la causa della crisi finanziaria in cui ci troviamo sta nella diffusione forsennata di titoli tossici da parte del sistema bancario, prevalentemente di area anglosassone: se lo dimentichiamo anche soltanto un momento, non facciamo che bendare i nostri stessi occhi di fronte alla realtà.

A quella crisi, cosa che parimenti dovremmo ricordare, Bush, negli ultimi mesi della sua presidenza, e tutti gli altri governanti non fecero altro che accodarsi, rispose stampando banconote da concedere alle banche perché tornassero ad essere solvibili.

Ancora, sarebbe saggio non dimenticare che i titoli tossici rimasero in circolazione, e quelli ancora non scaduti stanno ancora sul mercato globale, con il loro potenziale di deflagrazione sull’intero sistema bancario. La concessione di liquidità da parte della FED alle banche per salvare le grandi corporations tecnicamente corrisponde perciò a ritardare il momento della resa dei conti.

Molti economisti si sono affannati a raccomandare misure di regolamentazione di banche e mercati, ma davvero bisogna ammettere che c’è ben poco da regolamentare data la situazione di fatto già esistente. E’ come pretendere di spegnere un incendio in corso stabilendo nuove norme anti-incendio: chiunque, al momento dell’emergenza, non si affida al legislatore ma ai pompieri che sono i più titolati ad agire nel modo più efficiente. Se i pompieri falliscono, è perché l’incendio è indomabile, ed allora non resta che circoscriverlo e lasciarlo al suo destino.

Fuori di metafora, se le banche hanno continuato in questi ultimi anni ad emettere titoli, è solo perché ne hanno un disperato bisogno per crearsi liquidità, nella sostanza ricomprano i propri titoli emettendone di nuovi. E’ ridicolo rimproverarli per quello che fanno, visto che sembra ovvio che non vogliano fallire, e gli stati hanno dimostrato di essere i primi a temere questo fallimento che sarebbe contagioso per tutto il sistema finanziario globale. Stati e banche da più di un decennio fanno la stessa cosa, spostano in avanti il problema senza risolverlo, nascondendo la polvere sotto il tappeto della costruzione costante di nuova liquidità. Il rinvio del problema non è solo un palliativo, una soluzione fittizia, ma costituisce un aggravante perché impone la creazione di sempre nuova liquidità, ma la liquidità eccessiva è proprio la sostanza stessa del problema. Nel monticello di polvere che si va creando sotto il tappeto, si annidano popolazioni batteriche che prima o poi ci infetteranno tutti quanti.

Ho voluto così puntigliosamente ricordato l’origine e la natura della crisi perché mi pare che i giornalisti l’abbiano dimenticato, potrei dire rimosso, determinando un dibattito sull’argomento che rimane confinato nel cortiletto della nostra Europa.

Vedo sorgere un sentimento anti-tedesco che trovo estremamente preoccupante, oltre che miope. Già leggiamo oggi le più o meno ironiche titolazioni di giubilo per le difficoltà che la stessa Germania soffre nel collocare i propri titoli messi all’asta, mentre lì in Germania ci classificano già come porci (l’infelice acronimo PIGS), come spendaccioni e fannulloni.

Allora, ricordiamolo ancora una volta che la crisi è nata fuori dal nostro cortile dell’eurozona, non concediamo ai piromani dell’area anglosassone l’additarci come se noi fossimo i carnefici quando invece siamo le vittime della loro politica bancaria insensata e del tutto irresponsabile, non permettiamo di nascondere le loro specifiche e conclamate responsabilità creando rivalità e reciproci rancori tra di noi.

Il problema dell’Europa non sta quindi dell’attribuire le responsabilità a suoi specifici membri, ma, stabilito il nostro comune interesse a difenderci dall’avidità altrui, nel predisporre difese efficaci comuni, e solo in direzione di questo obiettivo abbiamo il diritto/dovere di rivolgere critiche.

Predisporre difese comuni conferisce senz’altro maggiore efficacia all’azione dei singoli stati europei, e permette forse di salvare la moneta comune, e quindi andrebbe comunque considerata una politica positiva.

La scelta più coraggiosa sarebbe quella di spezzare il circuito internazionale dei mercati finanziari. Non mi illudo certo che sia un’operazione semplice, e non ho neanche le competenze per capire come agire, ma se permettiamo a soggetti incontrollabili come le grosse corporations di area anglosassone di inondarci impunemente di titoli come gesto disperato di chi sta perennemente sull’orlo del fallimento, a nulla varranno le migliori misure di austerity che potremmo mettere in atto, esporteranno in Europa la loro crisi.

In via subordinata, potrei perfino accettare di attribuire alla BCE la facoltà di stampare a proprio piacimento banconote, che almeno avrebbe l’effetto di scoraggiare le incursioni a cui stiamo assistendo, purchè siamo d’accordo nel predisporre mezzi adeguati per proteggerci dalla ondata di titoli che invadono il mercato globale.

Se però si giunge alla conclusione che non si possono identificare iniziative comuni che siano da tutti condivise, divorziamo subito definendo un percorso di ritorno alle valute nazionali, e senza rancori tentiamo di salvare ciò che possiamo del progetto federalista europeo.

Ciò che proprio non si deve fare da parte dei governi è palleggiarsi le responsabilità in un dibattito tanto defaticante quanto inconcludente, con in più il tifo da stadio dei mass media divisi per nazione, perché si mette così in moto un meccanismo che presto potrebbe diventare incontrollabile e che potrebbe quindi portare a eventi tragici come, cosa che oggi appare del tutto improbabile, conflitti tra stati europei.

Sottovalutare le possibili conseguenze di un fallimento complessivo dell’Europa a cui si giunge dopo che i governi non trovino alcun accordo, perché nel frattempo la speculazione internazionale c’ha portato via tutto, è irresponsabile, perché un simile infausto percorso lascerebbe rancori robustissimi e molto rischiosi anche per una pacifica convivenza: vi prego, non giochiamo con aggeggi così pericolosi!

mercoledì 23 novembre 2011

L'INVETERATO OSSEQUIO AL POTERE DEGLI ITALIANI

Spero proprio che ai sondaggi di opinione non corrisponda la realtà, sennò ditemi voi cosa dovrei pensare dei miei concittadini.

Almeno fino all’autunno 2010, Berlusconi godeva di una popolarità pari al 60% degli italiani. I sondaggi di oggi ci dicono che Monti gode del consenso dell’80% degli italiani.

Facciamo quindi due conti, queste due popolazioni di opinioni devono condividere, sempre se la matematica non è un’opinione, almeno il 40% degli italiani. In altre parole, se solo il 20% degli italiani non gradisce Monti, anche attribuendo interamente questa percentuale a persone che gradivano Berlusconi (ma è una tesi del tutto irrealistica, visto che ci sono persone come me che non sopportano entrambi), rimane un 40% necessariamente in comune.

Avete letto bene, quasi la metà degli italiani nel breve volgere di pochi mesi sono passati dal gradire il giullare di Arcore che si presenta raccontando barzellette volgarette a gradire Monti, che parla in maniera irregolare, palesando chiaramente il suo ricercare con assiduità le parole che gli consentano di dire e non dire, risultando nel complesso abbastanza ermetico a me, ma ritengo sia probabile che risulti più ermetico allla maggior parte del pubblico.

Io, questo 40% di italiani non li capisco proprio, mi chiedo che tipo di cervello abbiano nella scatola cranica, come possano così disinvoltamente passare dal bianco al nero senza battere ciglio. La spiegazione, l’unica che riesco a darmi, è il fascino del potere, si sta con chi comanda proprio e soltanto perché comanda: poco importa che si esprima puntando a compiacere, pretendendo di esternare i tratti più istintuali della propria umanità, o che la contrario si esprima con un linguaggio che serve a mantenere le distanze, a mimetizzare probabilmente anche a sé stesso le proprie umane debolezze.

E quindi, gli italiani brava gente confermano il loro inveterato ossequio al potente di turno: alleluia!

lunedì 21 novembre 2011

LE ELEZIONI SPAGNOLE E L'IMPOSSIBILITA' DELLA DEMOCRAZIA

L’esito delle elezioni spagnole costituisce l’ennesima puntata della soap-opera intitolata “L’Europa e la democrazia impossibile”.

Perché questo trionfo della destra in Europa cos’altro rappresenta se non il fatto che la socialdemocrazia non può più esistere, non ha proprio alcuna possibile collocazione, nell’ormai trionfante dilemma “populismo-tecnocrazia”? E’ ciò che c’hanno servito dalle cucine del PD, il partito che possiamo considerare più prossimo alle socialdemocrazie continentali, in questi ultimi mesi, il loro essere un partito non di parte, ma piuttosto il solo ed autentico partito (DOC) dell’interesse generale. A costo di ripetermi, il punto è proprio questo, se l’interesse generale è un dato di fatto e non più oggetto di dibattito politico, allora la democrazia è finita. L’unica alternativa a governi che possano bellamente prescindere dal consenso popolare potrà essere costituito soltanto da chi concorda nel mettere in crisi il meccanismo di rappresentanza parlamentare, ma lo fa da un punto di vista populista, richiamando sempre la sovranità del popolo ed ignorando così i meccanismi dei nostri sistemi istituzionali, che prevedono un meccanismo di delega a propri rappresentanti.

Di fronte quindi a una tecnocrazia basata sull’economicismo, sulla priorità delle esigenze dell’economia a cui la politica deve necessariamente inchinarsi, ed ad un populismo che pretende di coincidere con la volontà popolare più che di rappresentarla, il parlamento come istituzione rischia di perdere ogni ruolo: una vera rivoluzione in un continente che del parlamentarismo ha fatto la sua religione politica almeno da mezzo secolo.

Di fronte a questa crisi, si può quindi assumere due distinti atteggiamenti, quello di far finta di nulla, di minimizzare i colpi dati al sistema istituzionale, o quello invece di considerarlo un’opportunità di cambiamento.

Nel primo caso, avremo fatto il funerale alle democrazie continentali, nel secondo potremmo fare il funerale al liberalismo tentando di salvare la democrazia, separare i loro destini finora così intrecciati, e scegliere la democrazia a danno del liberalismo.

sabato 19 novembre 2011

MONTI. OPERAZIONE COMPIUTA

Vorrei oggi analizzare gli aspetti fondamentali che la formazione del governo Monti comporterà per la prassi dei sistemi istituzionali di tipo liberaldemocratico.
Il primo aspetto che vedo è l'ennesima conferma, oggi forse definitiva, di ciò che chiamo l'economicismo. Con tale termine, intendo lo spodestamento della politica dal suo trono da parte dell'economia che non diventa più oggetto di scelte discrezionali e quindi non costituisce oggetto di dibattito, ma al contrario assume il ruolo di un dispositivo tecnico valido di per sè, con un suo meccanismo automatico di funzionamento su cui non si può intervenire. Il governo di una nazione diventa dunque l'esercizio di una competenza tecnica atta a raggiungere l'obiettivo dato per scontato di un continuo aumento del PIL.
Inoltre, nel caso di Monti, tale divinizzato aumento del PIL deve essere perseguito all'interno di un sistema economico globalizzato assunto tale e quale com'è oggi.
Questa è una dei punti più importanti che vengono fuori dalle sue dichiarazioni programmatiche, colpevolmente ignorate dalla grande stampa. Nel suo discorso, Monti ha delineato la situazione presente come se ci fosse un malato, l'Italia, che per uscire da casa deve guarire, mettere a posto l'infezione di cui soffre, riacquistare la capacità di camminare.
Questa è appunto una visione deformata della realtà, perchè ignora la natura globale della crisi e più di tutto la sua reale origine, oltre ad ignorare ovviamente le deficienze istituzionali dell'Europa così come è stata costruita, un'Europa che è la peggior nemica di sè stessa, il reale ostacolo a qualsiasi progetto di reale federalismo europeo.
A cosa serve che io mi metta nel migliore stato di salute se fuori c'è un'epidemia di peste bubbonica, o peggio se fuori è in corso un fall-out radioattivo?
Al di fuori della metafora, non serve a nulla rimettere a posto i propri conti, cosa comunque da fare ma soltanto all'interno di una logica completamente diversa, se poi gli USA continuano imperterriti a invadere i mercati globali con una quamtità spropositata di liquidità.
Qualunque esecutivo che ignori la vera natura dei mercati finanziari, del fatto che chi lì opera si trova in uno stato di enorme difficoltà e per tentare di districarsene mena frendenti a destra e manca senza badare ai danni che arreca, finisce col diventare oggettivamente, e quindi lasciamo perdere le polemiche sul complottismo, di quegli stessi mercati da cui il nostro governo dovrebbe difenderci: abbiamo affidato lo spegnimento dell'incendio al piromane, come efficacemente si dice.
L'unica reale cosa che Monti avrebbe dovuto dire, e non l'ha fatto, non è respingere la tesi che egli rappresenti i poteri forti (cos'altro mai avrebbe potuto dire a proposito?), era assicurarci sul fatto che egli individui i mercati come il problema e non come il nostro supremo giudice. Non facendo una affermazione di questo tipo, egli conferma di credere che la politica economica deve individuare nel gradimento del mercato l'unico criterio di giudizio, e da questo punto di vista risulta ininfluente che egli faccia parte di un gruppo organico di potenti che detta l'agenda ai governi di tutto il mondo: basta in verità che egli la pensi come ho detto, la complicità sta nei fatti.

Passiamo ora al secondo aspetto, che rende da questo punto di vista questo governo come quello più politico degli ultimi decenni. Badate, dico politico e non democratico, e lo specifico perchè stranamente si è diffusa la moda di parlare di sospensione della politica, ma non della democrazia, come se potesse esistere una democrazia senza politica. Invece, è certamente possibile il contrario, una politica non democratica, e difatti politica è inevitabilmente una categoria più vasta di democrazia.
Ciò che io osservo è la continuazione di un processo che ha visto Berlusconi e il suo gruppo come protagonista, e consiste nella svalutazione del parlamento e del suo ruolo come definito nella nostra costituzione.
Così, mentre tale governo rappresenta una discontinuità netta passando da una logica bipolare ad una monopolare, rimane il fatto che il parlamento continuerà a limitare il suo ruolo alla ratifica pura e semplice delle iniziative governative: ancora una volta, abbiamo una coincidenza tra potere esecutivo e potere legislativo.
Che l'attuale parlamento abbia da tempo dimostrato senza alcun ombra di dubbio il suo basso livello qualitativo, non sposta comunque più di tanto la sostanza della questione. Ci troviamo cioè da una parte nell'impossibilità del sistema istituzionale a dare risposte adeguate alle presunte emergenze internazionali, dall'altra le forze politiche si affidano senza riserve al salvatore della patria, pronte anche, di colpo e senza nessuna apparente motivazione ideale, a convivere nella stessa maggioranza con quelli che fino al giorno prima più che avversari, apparivano come nemici.
Non solo quindi il parlamento decide anche in questa fase di abdicare alle proprie prerogative legislative, ma dimostra inoltre di non possedere alcuna capacità di autoriforma.
Se la questione riguardasse esclusivamente gli attusali parlamentari, la cosa sarebbe di interesse limitato: purtroppo, è l'istituzione stessa che ne riceve un grave danno apparentemente permanente.
Ciò è dovuto alla infelice scelta di Napolitano di sponsorizzare platealmente un governo interamente costituito al di fuori del parlamento. Se al contrario egli avesse manovrato verso lo scioglimento del parlamento e l'indizione di nuove elezioni, allora sì che sarebbe stato svalutato soltanto l'attuale parlamento, e si sarebbe potuti andare davanti al corpo elettorale ponendo in grande evidenza proprio la questione critica del ruolo del parlamento.
Per inciso, oggi non vi è alcuna certezza sulla possibilità di riforma elettorale, mentre nulla vietava al Presidente di varare comunque un suo governo, con il mandato limitato di gestire le elezioni, magari affrontando il problema della riforma elettorale, un governo insomma per tenere aperto il parlamento magari soltanto per il mese necessario per votarla.
Vorrei ancora aggiungere qualcosa sulla oscena campoagna lanciata da taluni settori del centrodestra che arrivano a gridare al golpe: peccato che il golpe si era già consumato da tempo, da quando Berlusconi accettò che Verdini procedesse allo shopping di deputati per ottenere la fiducia il 14 dicembre 2010: da allora, il parlamento ha perso qualsiasi forma di legittimazione. Ed ancora oggi, senza il voto determinante del PDL, mai si sarebbe potuto insediare il governo Monti: di sospensione di democrazia possono parlare tutti con ottimi argomenti, tranne coloro che, attraverso la concessione del loro determinante voto, hanno consentito questa operazione, che risultano a tutti gli effetti complici. Non sappiamo forse che Berlusconi ha accettato di rinunciare a quelle due settimane di governo che gli rimanevano perchè Mediaset aveva perso il 12% del suo valore? Il conflitto d'interessi colpisce ancora!
La mia impressione è che tutta questa cagnara di fatto di stampo elettorale inscenata da talune forze politiche, non avrà successo. Lo dico perchè sento l'odore dei miei polli, cioè dei miei colleghi docenti universitari. La politica universitaria agisce in un modo ben più raffinato della politica partitica, e non mi meraviglio perciò per niente dell'abilità già dimostrata da Monti nel fronteggiare le piccole polemiche che gli sono state lanciate contro: presto, vedremo che anche i suoi ministri hanno ca
pacità acrobatiche di fronteggiare questi giochetti di palazzo a cui la politica si è ridotta.

mercoledì 16 novembre 2011

L'IPER-POLITICO GOVERNO MONTI

E' stata comunicata la lista dei ministri, e certi nomi che compaiono fanno davvero rabbrividire.
Prima però, vorrei dire qualcosa su questo tormentone del governo tecnico, composto da tecnici, termine usato in opposizione a politico.
Mi chiedo quale persona minimamente ragionevole potrebbe considerare un ministro, per il fatto stesso di essere ministro, come un non politico. L'essere ministro non può che qualificare tale personaggio se non come politico, e ciò che si dovrebbe correttamente dire è che in questo governo non ci stanno parlamentari: qualsiasi altra affermazione è prima di ogni altra cosa falsa.
Inizierei da uno che ministro non sarà, ma di fatto sarà più potente di qualsiasi ministro, il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà.
Com'è ovvio, il rapporto di fiducia tra il Presidente e il suo sottosegretario deve essere totale, così che sembra ovvio pensare che tra loro ci sia già una lunga frequentazione. Ma Catricalà non è un nome nuovo, è attualmente alla guida dell'authority per la concorrenza (anti-trust): mi chiedo come sia possibile che un ruolo che dovrebbe richiedere il massimo di autonomia, sia compatiible con la circostanza che egli era evidentemente già da tempo nella squadra di Monti, e trovo la questione alquanto opaca.
Altro nome molto noto è quello di Corrado Passera, un membro a pieno titolo dell'establishment italiano e probabilmente europeo. Apparentemente, un governo che dovrebbe contrastare l'influenza nefasta del sistema bancario, si porta dentro la propria stessa pancia un loro membro autorevole. Tra l'altro, tale personaggio somma nella sua persona due differenti deleghe, e tutte e due pesanti, sarà insomma il vero superministro: un banchiere superministro, non c'è da rabbrividire?
Abbiamo poi un militare, l'ammiraglio Gianpaolo Di Paola minitro della difesa. Ora, che un militare sia ministro della difesa, è una cosa di pessimo gusto per la ovvia distinzione che si dovrebbe non solo garantire ma anche evidenziare sempre tra militari e politici, onde sia sempre chiaro che le forze armate sono soggette al potere politico. Se il potere politico vede alla guida un militare, mi pare che tale distinzione da' l'impresisone di scomparire. Bisogna ancora aggiungere che non sistratta di un militare qualsiasi, egli è il presidente del comitato militare della Nato: insomma, abbiamo anche la Nato rappresentata nel nuovo esecutivo.
Altri nomi che appaiono ben etichettati sembrano quelli di Ornaghi (beni culturali), fedelissimo dell'attuale segretario della CEI Bagnasco, della Severino (giustizia), molto ben introdotta negli ambienti confindustriali, di Terzi (esteri) con forti legami con gli USA: un vero comitato d'affari.
Prescindendo ora dagli specifici nomi, rimane la questione di fondo: qui, abbiamo presenti alcune tra le persone più influenti in Italia ed anche fuori da essa. Essi sono cioè membri a pieno titolo di quella classe dirigente che ha completamente fallito, che ha portato questo paese al punto in cui si trova.
Possiamo e dobbiamo dire tutto il male possibile della classe politica, ma non possiamo ignorare che essa ha operato in stretto collegamento col mondo finanziario, industriale, mediale, e così via, e che sarebbe ingenuo oggi credere che nel condannare un certo ceto politico, si possa nel contempo assolvere ed anzi affidarci a coloro che hanno consentito ai politici di compiere i danni al sistema Italia che tutti riconosciamo.
Infine, sembra evidenziarsi un aspetto iper-politico di questo governo, o meglio dell'intera operazione che ha portato al suo varo, ed è quella della distruzione di qualsiasi anche blanda forma di bipolarismo per andare a un sistema proporzionale che dovrebbe vedere la ricostituzione di un grande centro, che includerebbe al suo interno il PD, o quantomeno una sua consistente parte. Il grande protagonismo di Enrico Letta, assieme all'evidente sofferenza di Bersani e del suo gruppo, sembrano proprio indicare un netto spostamento ancora più a destra del PD, e in fondo il pieno fallimento di quel progetto, come ormai era chiaro a tanti.
Altro ch esecutivo tecnico, questa appare come la più grande operazione politica degli ultimi decenni!

martedì 15 novembre 2011

E' MESSO PROPRIO MALE IL CENTRODESTRA...

A me pare che nel centrodestra stiano messi proprio male.

Da una parte, la Lega non sa fare di meglio che rimuovere la sua intera e lunghissima esperienza di governo. Tentano disperatamente di far finta di non avere diretto alcuni tra i ministeri più importanti, ma soprattutto fanno finta di non sapere di avere difeso a spada tratta il ministro dell’economia Tremonti, senza dubbio uno dei peggiori ministri dell’economia della storia italiana. Tremonti, per molti aspetti, era un loro ministro, ed il baratro economico in cui ci troviamo è dovuto a lui, alla sua pervicace sottovalutazione della crisi economica, alla sua micidiale politica dei tagli lineari, evidentemente per l’incapacità di entrare nel merito delle singole voci di spesa, decidendo quindi di fare il ragioniere (ma sarebbe bastato un semplice foglio di calcolo…).

E’ colpa di Tremonti, e quindi della Lega, se il federalismo fiscale si è tramutato in un’ignobile farsa, costituendo paradossalmente l’esempio più rigido di centralismo fiscale.

A questa disastrosa esperienza di governo, rispondono riconvocando dopo tanto tempo il parlamento padano: davvero troveranno tanti pirla disposti a scommettere ancora una volta su di loro, dopo un così palese tradimento dei loro stessi programmi?

In area PDL, stanno ancora peggio, tanto peggio che la stessa espressione “area PDL” rischia di apparire troppo vaga, come se bisognasse specificare quale PDL.

Per uscire da ogni equivoco, parlerò dei duri e puri di Ferrara, quelli che mai avrebbero accettato l’ipotesi Monti.

Oggi, i vari giornali dell’area, parlando dell’andamento delle borse di ieri, appaiono perfino patetici. Secondo loro cioè, se Monti fosse un plenipotenziario di Goldman Sachs, cosa tuttavia da dimostrare, ieri le borse sarebbero volate? Ma li fate così pirla i grandi investitori internazionali? Per il PDL, andrebbe bene che Monti faccia il lavoro sporco, lo faccia presto, rimetta tutto a posto, e poi si tolga di mezzo per permettergli di tornare a fare i loro comodacci tra pochi mesi. Eppure, Monti lo ha detto chiaramente, rimane per tutta la legislatura, e non è escluso che voglia proseguire anche successivamente.

Chi conquista un terreno, non lo lascia dopo averlo lavorato, quando è pronto per essere seminato e diventare produttivo. Davvero qui in Italia c’è qualcuno che pensa che se Goldman Sachs prende il governo del nostro paese, poi lo molla così facilmente? Qui, temo fortemente, che non hanno capito, e più di tutti non ha capito la dirigenza del PD, che questa vicenda ha aspetti irreversibili. Nulla sarà più come prima, facciamocene una ragione.

Senza andare tanto lontano nel tempo, visto che non v’è più alcun dubbio che Monti voglia governare per tutto il resto della legislatura ed andare alle elezioni solo alla loro scadenza naturale, e visto che in parlamento i voti glieli devono dare i partiti che lo compongono, sarà un continuo Vietnam. I boys del mercato finanziario sono dei duri, pensavate a Monti come a un fragile professorino? Scordatevelo, egli è pronto alla guerriglia quotidiana nelle aule parlamentari, usando qualsiasi arma, ed una delle principali sono gli indici borsistici, il famoso spread, che può piegare qualsiasi resistenza parlamentare, e in questa prospettiva dovrebbe allora essere ovvio che tali indici non si aggiusteranno, devono stare perennemente in bilico, senza sprofondare ma senza risollevarsi mai più di tanto, in modo che i diktat rimangano efficaci sino alla fine del mandato.

Chissà cosa penseranno allora coloro che hanno tanto gioito nelle piazze romane, nei blog trasformati in curve da stadio. Abbiamo importato un Vietnam dentro casa, come succede sempre quando si chiede l’intervento di un salvatore esterno: come mai sarà ricordato Presidente Napolitano, grande regista dell’operazione, pensa che il popolo italiano, che pure ancora oggi, non si sa perché, manifesta una grande fiducia nei suoi confronti, non si saprà fare i conti? Vorrà quindi essere ricordato per avere consegnato le chiavi del paese alle grandi istituzioni finanziarie perché facciano di noi ciò che vogliono?

domenica 13 novembre 2011

CHE VERGOGNA FESTEGGIARE OGGI!

Ieri sarebbe dovuta essere una giornata felice, finalmente Berlusconi a casa.
E' stata invece una giornata triste, se non addirittura infausta, per le modalità con cui si è verificata.
Si potrebbe riassumere quanto è avvenuto come la certificazione dell'impotenza non come si usa dire della politica (il termine politica include tutto, anche i colpi di stato), ma della democrazia italiana a risolvere i propri problemi.
Su iniziativa di un circolo riservato europeo e mondiale, che evidentemente include lo stesso Napolitano, si è deciso di obbedire ai mercati, di fare commissionare la politica italiana.
Su questo aspetto, conviene essere chiari: non è che sia l'Europa a commissionarci, non è che la nostra partecipazione all'Europa prevedesse tale limitazione nelle prerogative dei nostri organi democratici. sono i mercati che ci commissariano, e se glielo permettiamo oggi, non potremo mai più rivendicare i privilegi della nostra sovranità nazionale. In questo quadro, le stesse istituzioni europee non figurano come il commissario, ma al contrario risultano anch'esse commissariate.
Già da oggi, i partiti politici abdicano al loro specifico ruolo, quello cioè di dire la loro su cosa sia opportuno fare, lasciando tutto il potere all'uomo della provvidenza, colui che, unico, sa quale sia l'interesse generale.
Basta, titolano i giornali, con le liti tra partiti, ora è il momento dell'interesse generale e dell'uomo che lo rappresenta.
Scusate, ma non è questo il modo in cui si qualificano le dittature? La democrazia prevede che sia il difficile equilibrio tra le differenti opinioni portate dai vari partiti a determinare le scelte. Oggi, questa stampa che mai ha abiurato dalla democrazia discredita la dinamica parlamentare, il modo stesso di funzionamento delle democrazie, chiede la sospensione di tali riti democratici.
La democrazia però non è un vestito da indossare solo nelle giornate festive, non è che possa essere dismessa con tale disinvoltura senza cioè che si creino lacerazioni che rimarranno forse per sempre.
Capisco la strumentalità delle posizioni espresse da Giuliano Ferrara, ma possiamo dire che siano destituite di fondamento? Dovremmo forse ricordargli che il massimo responsabile di questa fase così drammatica è il suo amato Berlusconi, ma nella sostanza non ha certo torto.
Così, è per me mortificante vedere la gente che a Roma festeggiava nelle piazze: mi chiedo cosa abbiano da festeggiare.
Mi sembra il caso di una città presa prigioniera da un despota, in cui uno che conta, che ha le chiavi della città, apre all'esercito avversario e lo fa entrare.
Quel popolo gioisce all'idea di essersi liberato del despota, senza evidentemente rendersi conto di essere diventato ostaggio di ben più pericoloso nemico.
Questo PD che da' un assenso incondizionato a Monti, questi cittadini che festeggiano la propria stessa incapacità a liberarsi da sè del despota, è uno spettacolo che trovo francamente avvilente: sembrano replicare la nota tendenza italiana a cercare liberatori dall'esterno, a quando un nuovo risorgimento?

venerdì 11 novembre 2011

LA POLITICA COME ANTAGONISTA DELL'INTERESSE GENERALE

Interessante la concezione della politica in democrazia sostenuta esplicitamente da Battista sul suo odierno editoriale su “Il Corriere della Sera”. Secondo tale teoria, chi decida di agire come partito politico, fa interessi di bottega, chiunque assuma insomma posizioni di parte (partito è un termine che deriva proprio da parte, un partito è per definizione di parte), sposa i propri personali interessi e tralascia gli interessi generali.

E’ una tesi che Battista solleva a proposito dell’attualità politica, in particolare per gettare fango su IDV e Lega a favore del PD, dell’UDC e di quella parte di consistenza ancora incerta del PDL disposta a sostenere Monti. Non si tratta tuttavia di una tesi del tutto originale, anche se colpisce in Battista il fatto che tutta la filosofia dell’articolo è proprio incardinata su questo specifico punto, che cioè l’interesse generale non prevede posizioni di parte.

L’obiezione è ovvia: se le posizioni di parte, in quanto tali, configgono con l’interesse generale, si deve necessariamente dedurre che la democrazia come sistema configge con l’interesse generale. Insomma, la democrazia va superata, e tutto il potere deve essere affidato a qualcuno che affermi di operare per l’interesse generale, proprio ciò che fanno tutti i bravi dittatori.

A Battista evidentemente sfugge che si possano avere opinioni differenti su quale sia l’interesse generale, il bello della democrazia sta proprio lì, nel sostenere punti di vista differenti su quale sia l’interesse generale. Se poi invece il dibattito dovesse riguardare se deve prevalere l’interesse personale di Caio, del partito A, o quello di Sempronio, del partito B, e questo costituisse il discrimine per votare A o B, allora dovremmo concludere che c’è qualcosa che non va in quello specifico contesto storico-geografico e non ascriverlo alla democrazia ed ai suoi metodi dichiaratamente di parte.

Dicevo che tuttavia questa tesi non è così originale, ed è invece molto frequentata forse addirittura dalla sua nascita, dal PD che argomenta spesso ponendosi in un non luogo del dibattito, quello obiettivamente a favore dell’interesse generale, disdegnando di apparire di parte. Non è raro sentire dirigenti come la Bindi affermare che il PD porta avanti iniziative che non favoriscano il loro partito ma l’interesse generale. Peccato che anche a costoro sfugga che invece aderire ad un partito comporta l’opinione di ritenere che questo partito rappresenti al meglio l’interesse generale. Tale contrapposizione tra il proprio partito e l’interesse generale è pertanto incomprensibile, un concetto che definirei strampalato: il proprio partito è il mezzo per ottenere un fine che pertanto non ha senso logico opporre come alternativa al primo: sarebbe come opporre mezzo e conseguente fine, non ha senso alcuno.

La cosa però senz’altro più grave è che anche il nostro Presidente Napolitano sembra frequentare questa stessa tesi, facendo di cosa sia l’interesse generale non l’oggetto di una doverosa contesa politica, ma al contrario il dato di partenza, acquisito e certo, a cui tutti devono conformarsi, e se non lo fanno sono i veri nemici dell’interesse generale.

Ebbene. Presidente, guardi un po’, io sono fermamente convinto che ciò che lei e i suoi amici così ben visti nei circoli esclusivi economici mondiali, gente, tanto per non fare nomi, come Draghi, Monti, Scalfari, De Benedetti, ma anche Tremonti (che fine farà adesso il povero Giulio così simpatico?), considerano interesse generale è al contrario un male per il famoso 99% della popolazione evocato dagli indignados di tutto il mondo: come la mettiamo, Presidente? Se Lei contrappone il suo interesse generale a qualsiasi tesi alternativa, allora Lei uccide la democrazia, se Lei invia agli Italiani messaggi che vogliono far credere che esiste un circolo esclusivo di illuminati che sanno cosa sia il nostro bene, e che debbano decidere al posto nostro e dei nostri più o meno indegni rappresentanti, mi pare che lei si collochi al di fuori delle sue funzioni costituzionali, non crede anche Lei, Presidente?

giovedì 10 novembre 2011

IL POTERE IN ITALIA OGGI

Il famoso filosofo del diritto Karl Schmitt sostiene che per capire chi detenga il potere reale, sia necessario considerare cosa accade nelle situazioni eccezionali, quelle in cui, a causa di gravissimi problemi che assillano una nazione, magari fino a metterne in discussione la stessa sopravvivenza, poco importa se per cause interne o esterne, le regole istituzionali vengono forzate, magari fino alla loro aperta violazione.

Le argomentazioni in proposito di Schmitt sono suggestive ed abbastanza convincenti, ma certamente non intendo addentrarmi in una discussione in proposito. Citavo invece questa affermazione teorica perché mi pare che la situazione politica a cui assistiamo oggi in Italia possa costituire un caso da manuale di forzatura delle regole istituzionali con motivazioni emergenziali.

Ieri sono successe alcune cose molto significative che sembrano proprio indicare chi in Italia detenga il potere secondo la tesi di Schmitt.

La cosa sicuramente più rilevante è la decisione di Napolitano di nominare Monti senatore a vita. La cosa è importante in sé ma anche perché mostra chiaramente come il Presidente intenda proseguire senza tentennamenti nell’attribuirsi in questa fase, fase di cui ancora non si intravede la fine, un ruolo di politica attiva che a molti appare del tutto improprio, se non apertamente in contrasto con le regole costituzionali. Ciò è bene che sia rimarcato, ed è in effetti gravissimo che la grande stampa in proposito taccia, mostrando piuttosto di apprezzare questo ruolo così discutibile.

La stampa mette apertamente in relazione questa nomina con l’ipotesi che lo stesso Monti assuma la guida del prossimo governo. Insomma, sembrerebbe che Napolitano punti a non sciogliere il parlamento, ma a tentare di dare un mandato a Monti perché costituisca un governo che riceva la fiducia dall’attuale parlamento.

Se questo è stato il fatto più rilevante, non è stato tuttavia l’unico nella giornata di ieri. Considererei con grande attenzione anche l’intervista concessa alla Gruber da Eugenio Scalfari, né trascurerei nel contempo il dibattito che si è avuto nella puntata di ieri di “Porta a Porta”.

La cosa che più mi ha colpito è il tono degli interventi, la perentorietà con cui sia Scalfari che Giavazzi hanno elencato le misure economiche da adottare. Si sa che è nello stile di Giavazzi una sorta di spocchiosità, la famosa sindrome del primo della classe. Mi ha pertanto colpito di più l’atteggiamento di Scalfari, comunemente misurato nelle parole e nei toni: ieri invece appariva autoritario, dettava i suoi ordini in un modo da farlo apparire addirittura isterico. La frase più frequentata in entrambi questi interventi era “si deve fare”, la scelta deliberata di non argomentare, ma di imporre ad ogni costo.

La cosa è grave in sé, perché tutte le argomentazioni in proposito partono dall’assunto appunto non argomentato che bisogna riguadagnare la fiducia dei mercati, attribuendo così a questo il ruolo di giudice supremo, e che all’obiezione che i mercati, in quanto facilmente manovrabili dalle grandi corporations, sono parte in causa, ed anche paradossalmente una parte abbastanza fragile a causa del lievitare senza fine della massa di titoli in circolazione, io non ho ancora ricevuto alcuna risposta.

Ancora peggio, non ho visto mai formulata la domanda su come dobbiamo considerare il ruolo dei mercati, negando in tal modo di entrare nel merito della stessa natura dei problemi finanziari.

Oggi tuttavia, la cosa più importante è osservare questo improvviso cambiamento dei toni: questi sono scatenati, tolto di mezzo Berlusconi, non hanno più alcuna remora a mostrare il loro volto antidemocratico.

Sembrano insomma dire che la democrazia è roba da utilizzare quando ci si occupa di minuzie, ma nel momento opportuno le cose da fare sono determinate ed imposte dall’alto e chi vuole anche soltanto metterle in discussione va travolto o nel caso più favorevole isolato ed ignorato.

Ciò ci fa tornare all’affermazione di Schmitt che citavo all’inizio, e cioè come il funzionamento ordinario di un certo sistema istituzionale c’entri ben poco con il potere reale. Rimane da chiarire chi detenga questo potere reale.

Certamente, se Napolitano fosse alla testa di questo gruppo che ha deciso di assecondare il mercato fino al più bieco masochismo, si potrebbe ancora dire che sia la lettera della Costituzione ad attribuire al Capo dello Stato il vero potere supremo, comunemente attribuito al premier.

Per come la vedo io, le cose stanno ben diversamente. Chi detiene il potere reale è un certo establishment finanziario internazionale che non conosce alcuna sovranità nazionale, e i vari attori che ho citato svolgono solo un ruolo ancillare, costituiscono il braccio esecutore di ordini partiti da ben più lontano.

Nell’era del capitalismo globale, sono proprio, guarda un po’, i capitalisti globali ad avere il potere effettivo, e servi e servetti che li assecondino se ne trovano ovunque.

Per finire, dicevo dei politici che stavano ieri sera da Vespa: era visibile la loro perdita di ogni spocchia, il loro unico desiderio di compiacere, la loro aperta disponibilità direi senza eccezioni di assecondare i piani politici che c’hanno espropriato forse per sempre da ogni barlume residuo di democrazia.

mercoledì 9 novembre 2011

PREFERITE I NEOLIBERISTI TARGATI PD O QUELLI TARGATI PDL?

Nel segno della continuità, Napolitano ha ieri forzato le procedure inaugurando le dimissioni del governo a tempo, una specie di bomba ad orologeria che scoppia solo dopo che i provvedimenti richiesti dall'establishment finanziario internazionale sono già iniziati a scoppiare nelle mani degli Italiani.
E dunque, dal PD all'UDC vogliono un governo prima ancora di andare alle elezioni. A me, ciò non scandalizza, mi pare che formalmente nulla si possa eccepire in proposito. Rimane invece da capire cosa questi partiti vogliono fare, quali provvedimenti intendono adottare una volta che questo nuovo esecutivo si sia insediato.
In un commento al precedente post, notavo come proprio dall'area PD provenghano le posizioni più coerentemente neoliberiste, tanto da costringere il povero Berlusconi ad apparire addirittura come un campione della difesa dei più poveri: meraviglie della politica!
Apparentemente, i dirigenti del PD sembrano intepretare il loro ruolo politico come quello dell'accettazione pedissequa di quanto ci detta l'agenda europea. Peccato però che anche la commissione europea simuova come in una stanza buia, senza sapere essa stessa cosa fare e perchè farlo.
E' notizia di ieri che ci viene richiesto un nuovo provvedimento, in altre parole un'ulteriore stretta sui conti pubblici, mentre fino al giorno prima ci avevcano assicurato che quanto fatto e quanto promesso nella famosa (famigerata?) lettera di Berlusconi era già sufficiente.
Eccerto, diranno i soliti pierini, il mercato adesso non si contenta di incassare minteressi dell'ordine del 5,5%, pretende almeno un punto in più, e non è detto che si contenti.
Io direi di più: perchè contentarsi? Perchè avere il 6,5% se si può avere magari il doppio?
Voglio dire che i pinocchi che dicono che il mercato è il giudice non potranno poi che accettare qualunque tasso di interesse, oivvero la nota logica per cui chi accetta inizialmente un ricatto, rimane poi in balia del ricattatore.
Insomma, le cose stanno così, prima o poi andremo a votare secondo una legge elettorale che impedisce di scegliere il proprio rappresentante, che permette quindi soltanto di intervenire sulla ripartizione dei seggi parlamentari tra le varie formazioni. Se poi, guatrda caso, sulle questiuoni fondamenbtali gli opposti schieramenti la pensano alla stessa maniera, si capisce come la frustrazione degli elettori tenda a crescere, e l'unica cosa di decente che si può fare è astenersi dal voto nbelle varie forme consentite.
Purtroppo, bisogna prendere atto che siamo in una post-democrazia, che un popolo rimbecillito da TV varie ha ceduto senza combattere le proprie prerogative di cittadino per accettare di ritornare ad essere suddito, tra l'altro di un sovrano anonimo, che si nasconde nell'ombra, determinando così la sparizione di ogni froma di responsabilità individuale: ciò che chiamavo il delitto perfetto della democrazia.

martedì 8 novembre 2011

L'EUROPA IMBELLE

Siamo in pieno imbambolamento, c’hanno rubato ogni cosa, e certo i beni materiali non sono i più preziosi, c’hanno soprattutto rubato la nostra stessa capacità di giudizio, quell’atteggiamento critico che è l’unico a consentire una nostra visione realmente indipendente della realtà.

Oggi, di fronte ad avvenimenti gravissimi sul piano dell’esercizio della stessa democrazia, devo registrare qualcosa che è perfino più grave del sequestro del potere fuori d’Italia, a vantaggio di un’oligarchia di ricconi globali e dei loro maggiordomi, ed è la sostanziale indifferenza in cui tutto questo avviene.

Trovo davvero che costituisca un vero e proprio processo di istupidimento collettivo questa incapacità di vedere la costruzione europea per quello che effettivamente è, questa tendenza a considerare acriticamente tutto ciò che ci viene raccomandato o addirittura imposto dall’estero come la verità assoluta, il bene che un governo pessimo non accoglie.

Che il governo attuale del nostro paese sia pessimo non ho difficoltà a constatarlo anch’io. Il punto da chiarire però è se queste sua caratteristiche negative stiano nel resistere alle imposizioni della BCE, del FMI e di Germania e Francia, o al contrario proprio nel fatto di accoglierle.

Una discussione sulle politiche economiche non può svolgersi a partire da una messa da parte degli aspetti fondamentali e globali della crisi. Ragionamenti del tipo “questo si sa, ma in questo momento dobbiamo soddisfare il mercato” non possono essere accettati perché in verità non sono neanche dei veri ragionamenti. Dicevo in qualche post che è da cialtroni avanzare proposte specifiche se prima queste proposte non vengono iscritte nel quadro più complessivo, se cioè non si risponde alla domanda se esse siano coerenti con un piano minimamente credibile di risoluzione della crisi globale.

Non si tratta solo di un problema teorico, anche se gli aspetti teorici non vanno di certo sottovalutati, ma del fatto che la stessa cronaca finanziaria degli ultimi mesi c’ha fatto vedere come qualsiasi provvedimento nazionale con caratteri di accondiscendenza sembra più che soddisfare il mercato, stimolarlo a chiedere di più in una corsa che sembra non potere trovare un suo traguardo che non sia alla fine comunque il tracollo di quel paese.

Le incertezze, le timidezze che un’intera classe dirigente europea ha mostrato verso la crisi nei suoi aspetti più squisitamente finanziari, è stato per gli operatori dei mercati un esplicito invito a moltiplicare ed a intensificare gli attacchi ai titoli di stato dei vari paesi. Come possono questi dirigenti politici non rendersi conto che una vera e propria guerra è in atto tra investitori finanziari internazionali e strutture finanziarie di stati sovrani?

Se questa è a tutti i titoli una guerra, anche se non usa bombe, mine o missili, allora dicono i francesi “a la guerre comme a la guerre”. Gli operatori finanziari possono capire un unico argomento, che essi verranno danneggiati proprio nei loro interessi economici.

Ciò che qualunque persona minimamente ragionevole si sarebbe aspettata dall’Europa era la fissazione di limiti, che i governi europei avessero detto che non avrebbero tollerato certe situazioni e che al fine di contrastare queste situazioni inaccettabili sarebbero stati assunti tutti i provvedimenti necessari, inclusa la chiusura dei mercati finanziari.

Senza prendere in considerazione anche le misure più estreme, l’Europa è indifesa. Apparentemente, è ciò che i tedeschi stentano a comprendere. Io sono sempre più convinto che l’equilibrio nei conti pubblici sia la cosa necessaria da fare, e ciò è tanto più vero nel momento in cui ci si rende conto che la teoria della crescita ininterrotta è insostenibile per motivi ambientali.

Tuttavia, in un mercato globale, poco importa il tuo comportamento individuale. Nella fattispecie, se gli USA e il Regno Unito scaraventano sul mercato dosi di liquidità immani, la presunta virtù dei tedeschi serve a ben poco, ed anzi finisce col tradursi in un danneggiamento proprio dei virtuosi, con i viziosi che esportano i loro problemi ai virtuosi: è un concetto così difficile da comprendere?

L’avventura dell’euro non è detto che debba necessariamente avere fine, sarebbe piuttosto necessario che l’Europa si comporti come una nazione, che mostrasse di volere difendere il proprio interesse specifico, alla stessa stregua di uno stato nazionale.

La bassa qualità dei governanti europei mi fa pensare che non abbiamo grandi speranze di arrivare a un tale traguardo, e ciò obbliga uno specifico stato europeo che intendesse difendersi dagli attacchi delle grandi corporations, a dovere altresì contrastare anche la direzione prevalente della politica europea.

Un risultato grave e non voluto sarà la distruzione di quel poco di comune che è stato costruito a livello europeo, ma rimane da chiedersi di chi sia la reale responsabilità, di chi apre le porte della città assediata all’assediante, o di chi, allo scopo di difendersi dall’assediante, in tutta fretta costruisce delle difese del proprio specifico quartiere.

venerdì 4 novembre 2011

IL DELITTO PERFETTO AI DANNI DELLA DEMOCRAZIA

In questi ultimi giorni, nei piani alti del potere internazionale si è compiuto il delitto perfetto nei confronti delle democrazie. Potremmo forse più appropriatamente parlare di perfezionamento di delitti già da lungo tempo organizzati, preparati ed in molti aspetti anticipato. Non v'è dubbio che però proprio in questi giorni il delitto si è completato.
Iniziamo dalla vicenda greca. Non voglio entrare nel merito delle motivazioni di Papandreu, ma la decisione di indire un referendum per fare pronunciare i greci sull'adozione dei provvedimenti di austerity proposti dall'Europa non può che essere giudicata un esercizio salutare di democrazia.
La domanda che sorge spontanea è cosa mai i suoi partners europei hanno fatto a Papandreu da determinare un cambio di opinione e l'affossamento del referendum.
Ma anche mettendo da parte ipotesi complottiste, che comunque non mi sento di escludere, i dirigenti europei dovrebbero giustificare il loro schierarsi così apertamente contro un momento democratico come ovviamente un referendum dovrebbe apparire.
Significativo è a questo proposito il titolo apparso sul Financial Times, che paragonava l'iniziativa referendaria al chiedere a un tacchino il suo parere sull'essere cotto al forno.
Dunque, per questi giornalisti il popolo greco deve essere cotto a puntino, ma senza che se ne accorga, questa è la nuova etica della classe dirigente europea.
Una situazione analoga, ma direi per certi aspetti perfino più inquietante si sta ora verificando per l'Italia. Il nostro premier ha dichiarato che saremo certificati periodicamente dal FMI, e di questa grnade opportunità dovremo ringraziare Napolitano che ha diviso con lui la decisione, contribuendo in modo determinante al suo ottenimento (e di questo lo ringraziava pubblicamente).
Questa dichiarazione è palesemente priva di senso, soprattutto detta da chi ha almeno teoricamente il massimo potere decisionale. La certificazione del FMI si traduce in controllo. tecnicamente detto monitoraggio, dell'attività del governo italiano, e quindi dlelo stesso Berlusconi. Che egli possa valutare positivamente l'essere messo sotto osservazione e tutela è del tutto insensato, dal che siamo costretti a dedurre che sta mentendo e che nei fatti abbia dovuto subire questo diktat con annessa condizione di mentire a proposito.
Un altro aspetto incomprensibile della faccenda è costituita dal fatto che un controllo FMI si può giustificare solo nel caso che ci sia stata da parte sua la concessione di un prestito, cosa esclusa esplicitamente da Berlusconi che dice di averla rifiutata.
Ora, se il FMI non ci da' nulla, non avrebbe senso che pretendesse qualcosa, e quindi ci deve essere qualche potere italiano che l'abbia immaginato e voluto, costringendo Berlusconi ad accettarlo. I nomi possibili non è che siano tanti, probabilmente Tremonti, forse anche Draghi, e naturalmente viene in tutta evidenza l'pipotesi che il regista dell'operazione il Presidente Napolitano, anche perchè così chiaramente chiamato in causa da Berlusconi, che peraltro non è stato smentito.
Io spero tuttora che non sia così, che almeno il Presidente non abbia violato gli obblighi di autolimitazione a un compito di controllo e di garanzia costituzionale. Nello stesso tempo, sarebbe gravissimo che proprio il Presidente abbia di fatto tradito il proprio paese, sottoponendoci a un potere estraneo e incontrollabile, e che quindi non può che assumere un significato antidemocratico.
Bisogna infine considerare che tale dichiarazione di stare sotto tutela peggiora oggettivamente la nostra situazione di affidabilità e ci espone a maggiori attacchi speculativi, come se nei conti italiani ci fosse un difetto non esplicitato che minasse la nostra affidabilità finanziaria.
Mi chiedo chi se non qualcuno che odia il nostro paese magari da un posto di comando, poteva architettare una situazione per noi così negativa sia sul versante di ciò che apparirà ai mercati che in generale come difesa dell'orgoglio nazionale.
In comune con ciò che sta succedendo al referendum greco questa situazione italiana ha la segretezza e il mistero in cui entrambe le vicende sono immerse.
Ecco perchè questi giorni passeranno alla storia come un caso di delitto perfetto della democrazia, dove si attua con successo il colpo di stato perpetuato dai potenti del mondo con l'evidente complicità di un pezzo della stessa italia, a seguito del quale ogni parvenza di democrazia è stata definitivamente affossata.

giovedì 3 novembre 2011

CHI GIUDICA LE CORPORATIONS?

Come una terza puntata sulla crisi economica, propongo questo ulteriore post.

Nel precedente, ero giunto alla conclusione che il mercato, come del resto dovrebbe essere ovvio, difende sé stesso e solo sé stesso. Questo mercato finanziario ed i suoi grossi operatori fanno i propri specifici interessi come sempre, ma oggi operano in maniera più drastica perché si sono messi in un brutto imbroglio da cui non sanno più come uscire. I loro comportamenti appaiono così incomprensibili. Perché mai l’Italia che ha un debito pubblico quasi inalterato da 15 anni solo ora vede i propri titoli deprezzati dal mercato? L’Italia viene così fortemente attaccata perché i grossi operatori finanziari e lo stesso governo USA devono costringere la Germania ad allargare i cordoni della borsa, mettere da parte il suo tradizionale rigore monetario, e cominciare a creare liquidità nell’area euro; questa liquidità è l’ossigeno indispensabile al mercato finanziario gonfiato da un importo di titoli iperbolico che non si sa come farsi rimborsare.

Ci si potrebbe chiedere perché proprio l’Italia in Europa. Una possibile spiegazione è che l’Italia i soldi li ha davvero, e così è preferibile alla Spagna che non potrebbe resistere a un attacco violento perché i suoi cittadini non avrebbero le risorse per sostenere il proprio bilancio statale. Saprete forse che dal punto di vista della ricchezza detenuta, un italiano è mediamente più ricco di un tedesco, e le grosse finanziarie pretendono appunto di attingere a questa fonte davvero consistente di ricchezza: da molti punti di vista, l’Italia è la vittima ideale, siamo anche così fessi da tenerci uno come Berlusconi e da non capire che ci stanno imbrogliando vergognosamente.

Se questa è la verità, dobbiamo capire allora che gli stessi mercati finanziari globali costituiscono i nostri più feroci nemici. Se smettessimo nei mass media con la favola del mercato come giudice imparziale, se fosse possibile spegnere questo altoparlante atto a prenderci per i fondelli, allora si capirebbe che l’unica urgenza che abbiamo è uscire da questa gabbia di matti rappresentata dai mercati finanziari. Ciò potrebbe tra l’altro contribuire a mettere un po’ d’ordine al loro interno, costringendo gli stati ad uscire da questa passiva sudditanza alle grosse corporations, ad assumere quindi provvedimenti adeguati alla gravità della situazione.

Basterebbe togliere i titoli di stato dalla quotazione, stabilendo quale percentuale del loro ammontare facciale rimborsare alla scadenza. Ciò, voglio che sia chiaro, non implica che non vengano nel contempo assunti i provvedimenti necessari a mettere comunque ordine nei conti. Una patrimoniale straordinaria si impone ugualmente, la lotta all’evasione fiscale va comunque incoraggiata e rilanciata, e il bilancio statale deve presentare un equilibrio tra entrate ed uscite: senza camicie di forza, ma anche senza gonfiare arbitrariamente le spese.

In sostanza, l’uscita dell’Italia dai mercati finanziari va posta come una punizione dei mercati e non dell’Italia: stiamo fuori dai mercati perché siete inaffidabili, mentre noi lo siamo e non vogliamo essere coinvolti nei giochi rischiosissimi, quasi suicidi, delle grosse corporations, ormai divenute delle macchine infernali di distruzione dell’economia.

Se non sono gli stati ad avere l’autorità anche morale per giudicare il comportamento criminale dei grossi operatori dei mercati, chi mai l’avrà? Bisogna capovolgere la pretesa che il mercato ci giudichi: siamo noi che dobbiamo giudicare il mercato, o meglio i suoi principali attori costituiti in fondo da persone fisiche, oggi attente a preservare il più a lungo possibile i privilegi di cui godono: ci sarà un giudice a Berlino?

mercoledì 2 novembre 2011

LA MENZOGNA SISTEMATICA COME ARMA DELLA FINANZA GLOBALE

Fateci caso, tutti i soloni provenienti dal mondo dell’economia, della politica, dell’informazione, e che pretendono di convincerci che dobbiamo espiare le colpe nostre e dei nostri padri di avere gonfiato il debito pubblico, si basano su due assiomi.

L’uno è che il mercato ha ragione, dobbiamo obbedire al mercato che rappresenta il quadro obiettivo della situazione finanziaria dei vari attori, tra cui il nostro paese.

L’altro è che da una crisi come questa si esce con la crescita dell’economia, che poi significa per loro l’aumento del PIL.

In questo articolo, tenterò a mio modo di confutare entrambi questi assiomi, facendo appunto vedere che la la loro accettazione può avvenire solo come articolo di fede, perché se invece si entra nel merito delle argomentazioni, le due premesse non reggono, possono essere smentite anche da un non addetto ai lavori come me.

Cominciamo quindi col primo dei due assiomi, quello che assegna al mercato questa funzione di giudice nello stesso tempo supremo ed invisibile. A questo scopo, tralascerò le obiezioni di carattere generale, concentrandomi piuttosto sulla questione specifica dei mercati finanziari dei nostri giorni.

Bene, hanno contato il totale dei titoli che stanno sul mercato finanziario globale, e si è trovato che il loro ammontare è di circa 650 mila miliardi di dollari. Più interessante della cifra iperbolica in sé, è il confronto col PIL mondiale annuale, che vale tra i 70 e i 75 mila miliardi di dollari. Espresso in quest’unità di misura, l’ammontare complessivo dei titoli è di circa nove anni di PIL mondiale.

Ai fini della presente discussione, poco importa stabilire come si è arrivati a questa massa così ingente di titoli. Vediamo piuttosto di metterci nei panni del capo della Goldman & Sachs, presa come emblema di grande finanziaria mondiale. Se quindi io mi trovo in portafoglio una grande massa di titoli, e so che questi sono frutto di una lievitazione della liquidità scelta dal passato Presidente della Federal Riserve Greenspan, so anche che ad essi non corrisponde un valore reale, è sostanzialmente cartaccia perché non ha un equivalente in beni reali (nove anni di PIL significa che il fallimento globale è già in atto e viene solo colpevolmente rinviato). Ogni volta che un tale titolo, certo più per alcuni e meno per altri ma la questione è del tutto generale, va a scadenza, ci si pone il problema di chi lo rimborsa. La soluzione che si adotta è o quello di emettere un quantitativo almeno pari di altri titoli, o quello di stampare moneta da parte delle banche centrali. In realtà, i quantitativi crescono perché questa è la condizione perché essi fruttino interessi.

Bene, quindi io da attore dei mercati finanziari penso, com’è ovvio, ai miei interessi di azienda, quella per intenderci che mi da’ stipendi di milioni di dollari l’anno.

Si potrebbe quindi pensare che io faccia di tutto per mantenere alti i corsi. Questo però è inattuabile, primo perché non mi fido delle altre finanziarie che potrebbero giocarci puntando al ribasso, secondo perché non esistono mezzi finanziari sufficienti a sostenerne i corsi (ricorderete che il sistema bancario mondiale è stato salvato con i soldi dei contribuenti…).

In sostanza, il ricatto deve continuare, bisogna sempre sbattere in faccia ai paesi il fatto che il loro stato potrebbe fallire, che sarebbe una catastrofe e robetta come questa a cui stiamo assistendo abbondantemente oggi. Cosa ha chiesto insistentemente Obama all’Europa? Di sbrigarsi a fare ciò che gli USA hanno fatto, gettare liquidità sul mercato a più non posso perché questa cartaccia continui ad essere trattata sui mercati come se valesse ancora qualcosa.

Vista quindi dal loro punto di vista, la situazione delle grandi finanziarie è disperata, sanno che la loro presunta ricchezza è data da cartaccia senza valore obiettivo, e state certi che faranno di tutto per continuare a trovare qualcuno che alla scadenza gliela rimborsi.

Da questa discussione, si dovrebbe desumere che, contrariamente a ciò che viene sostenuto dal mentecatto di turno, i mercati finanziari lungi dal costituire il giudice, sono parte in causa e le difficoltà in cui si sono messi li rende non soltanto parziali, ma anche pericolosi: per queste cose, si scatenano conflitti armati.

Affrontiamo adesso il secondo assioma, quello che pretende di risolvere tutto con la crescita.

Torniamo allora al rapporto tra ammontare dei titoli e PIL mondiale annuale. Sulla base dell’attuale PIL, questo rapporto vale circa nove. Facendo delle semplici simulazioni, anche soltanto per scendere a otto, bisognerebbe che in quattro anni crescesse del 20%, un tasso di aumento annuo del 5%, una cosa inimmaginabile nei paesi occidentali in cui arrivare al 2% sembra un sogno irrealizzabile.

Ammettiamo adesso che si raggiunga miracolosamente una crescita del 5%, e che quindi la massa dei titoli passasse ad otto anni di PIL: diciamocelo, non è cambiato proprio nulla così, i titoli continueranno ad essere cartaccia, richiedendo ancora iniezioni massicce di liquidità. Ricordo che aumentare la liquidità significa proprio aggravare la malattia, perché significa che i titoli seguiteranno a lievitare senza controllo alcuno.

La crescita non costituisce quindi in tutta verosimiglianza la soluzione, non credete ai soloni che lo dicono.

Adesso però ammettiamo senza concederlo che davvero una crescita mondiale impetuosa dell’economia risolva effettivamente i problemi di ordine finanziario. Rimane ancora da chiedersi se tutto ciò sia anche augurabile, se l’aumento del PIL è ciò di cui l’umanità ha davvero bisogno.

Ebbene io non lo credo per motivi di sostenibilità ambientale. Qui però il discorso si allargherebbe troppo, preferisco fermarmi qui.

Credo quindi di avere smontato i due assiomi fondamentali dell’establishment mondiale con argomentazioni facilmente comprensibili, e che sia terribilmente urgente uscire da questo monopensiero che capovolge il senso delle cose, rendendo l’assurdo un obbligo da perseguire, e l’ovvio un vizio da cui liberarci.