sabato 30 luglio 2011

LA PAZZIA DI BRIEVIK E LA SOCIETA' CONSUMISTICA

Ma Brievik, il sanguinario killer norvegese, è o non è un pazzo?
Questa domanda, a rigore, richiederebbe una precisa ipotesi su cosa sia la pazzia, un problema così complesso a cui sembra pressocchè impossibile rispondere.
Io dico: ma siamo certi che noi vogliamo sapere se egli è pazzo, che è questa la domanda giusta?
A me pare piuttosto che ciò che realmente ci interessa è il suo rapporto coi vari Borghezio, Le Pen ed altri xenofobi razzistoidi che infestano la politica europea. Brievik è l'effetto, seppure patologico ed abnorme, di queste ideologie retrive, si può formulare una sorta di accostamento tra loro? Oppure, alternativamente, Brievik è semplicemente un pazzo conclamato, e le idee che proclama sono prive di rilevanza, un esile velo che ricopre motivazioni psicotiche strettamente personali.
Io sostengo la prima ipotesi, se non altro perchè costituirebbe un ben grave errore ignorare le sue parole. Egli ha esplicitamente sostenuto da una parte ipotesi politiche del tutto analoghe a quelle espresse dai citati partiti xenofobi, e dall'altra un suo orrendo obiettivo agonistico, risultare il più sanguinoso assassino nella recente storia europea. Tenterò pertanto di tracciare quale ritengo sia la relazione tra un singolo assassino sanguinario, sicuramente con chiari elementi di psicosi, e i movimenti xenofobi, più che mai in auge un po' in tutti i paesi europei.
Per fare ciò, è necessario analizzare l'evoluzione storica che ha subito la cultura europea, in sostanza l'influenza che essa ha subito da parte delle'egemonia USA, dai tempi del nazismo ad oggi. Naturalmente, questo sarebbe un compito improbo, in assoluto ma ancor più se si tentasse di farlo in un breve post, e quindi io mi riferirò a un singolo aspetto.
Devo ancora aggiungere che le tesi che verrete illustrate nel seguito sono state fortemente stimolate da un post e dai susseguenti commenti lì espressi.
La questione è quindi cosa differenzi il nazismo dai movimenti a base razzistoide dei nostri giorni. Non mi sembra che dal punto di vista teorico si possano scorgervi grandi differenze, ma ciononostante le differenze ci sono. Oggi essi si muovono su una base legislativa che preservi le società nazionali da fenomeni di immigrazione da aree etnologicamente e dal punto di vista religioso differenti, mentre il nazismo voleva innazitutto fare pulizia in casa tramite la ghettizzazione degli ebrei. Ci volle ancora lo scoppiare del conflitto mondiale perchè i ghetti si trasformassero in lager, cioè in strutture scientificamente concepite per perpetuare un genocidio.
Ci sono quindi specifiche condizioni storiche, la guerra das uina parte, e gli immani flussi migratori che oggi la tecnologia permette, anche solo dal punto di vista della conoscenza che altri mondi esistono, inimmaginabili settanta anni fa.
C'è però anche una differenza che a me pare di somma rilevanza, e cioè quella che definirei la corruzione della società odierna, un influsso culturale di origine atlantica, che c'ha nel giro di pochi decenni trasformati da cittadini in consumatori. Si potrebbe formulare come il dominio degli oggetti, nel fatto che la nostra vita viene oggi definita innanzitutto dagli oggetti che possediamo. Ciò implica il procurarsi il reddito che ci assicuri la capacità di spesa, l'incapacità di vivere nel presente, godendoci ciò la natura, in primis la nostra stessa natura, ci assicura indipendentemente dal possesso di mezzi finanziari, perennemente insoddisfatti perchè gli oggetti di cui ci circondiamo non sono mai abbastanza, e infine, la cosa più rilevante nel contesto di questa discussione, la paura di perdere gli oggetti che abbiamo.
Tale paura in realtà, pur partendo dagli oggetti, in realtà diventa una paura indistinta perchè perdere gli oggetti significa perdere il proprio status sociale, e di conseguenza anche gli affetti, la stima e la solidarietà delle persone che ci sono care.
Vorrei anche precisare che i danni della cultura americana in Europa sono ben maggiori che nella stessa società statunitense proprio perchè, mescolandosi ad una cultura preesistente di frugalità e risparmio, tipica delle nostre società contadine, massimizza questa paura, perchè insomma siamo pessimisti mentre gli americani sono ottimisti, almeno dal punto di vista storico.
La corruz
Così, quella specie di torpore che la divinizzazione degli oggetti tipica dei nostri tempi ha provocato nella società, tende a ridurne l'impatto violento.
Infine, tornando a Brievik, chi può concepire un piano che non è solanto diabolico, ma anche molto impegnativo se non una persona disperata, uno che non teme di perdere tutto perchè nulla possiede, a partire dall'assenza di affetti. La sua pazzia, se mi permettete i connessi aspetti paradossali, è essenzialmente dovuta proprio al suo non essere stato corrotto dalla cultura consumistica, e la sua capacità di resistere a tale cultura costituisce proprio quella alterità dal sentire comune che ce lo indica come pazzo.

mercoledì 27 luglio 2011

OMOFOBIA, TERMINE AMBIGUO E DA RIGETTARE

Oggi interverrò su un argomento scabroso come l'omofobia e in un modo che temo non sarà gradito almeno ad alcuni dei miei pochi lettori, ma proprio nell'esprimere posizioni controverse sta una delle motivazioni fondamentali della stessa esistenza di questo blog. Naturalmente, lo faccio adesso a seguito della recente votazione alla Camera di uno specifico DDL che riguarda tale argomento.
Per capire il mio punto di vista, è opportuna una premessa, riguardante la mia esperienza di lettore web. Mi riferisco alla mia frequentazione del sito de "La Nazione Indiana", un sito di taglio culturale, centrato prevalentemente su temi riguardanti l'arte ed in particolare la letteratura, ma che sovente si occupa di temi politici.
In questo sito, uno dei curatori del blog è Franco Buffoni che potrei definire un omosessuale militante. Non passa infatti settimana senza che questi ci somministri almeno un post sui temi della discriminazione verso gli omosessuali. Di fatto, egli quasi sempre si limita a riportare articoli scritti da altri, ma devo ammettere che egli è un infaticabile "reporter" e gli devo dare atto che proprio per merito suo sono diventato aggiornatissimo su questo tipo di tematiche.
Pochi mesi fa in particolare, si è svolto su quel sito un dibattito, a cui anch'io ho dato il mio contributo, serratissimo ed estremamente teso.
La prima cosa su cui voglio attrarre la vostra attenzione è che esiste un gruppo organizzato di cui il Buffoni è solo uno dei membri, e che anzi tende a non partecipare se non marginalmente alle diatribe che si scatenano nei commenti, e che tale gruppo tende ad intervenire secondo una tattica ben studiata. Per capirci, c'è un blogger, caratterizzato da una scarsa capacità argomentativa ma dotato di una grande aggressività non priva di una sua incisività, che non si vede mai sul sito tranne nei momenti più caldi e sempre su queste tematiche. Ce n'è poi un altro dotato indubbiamnte da una logica argomentativa molto efficace, ma anch'egli appare solo in tali momenti cruciali: mi pare ragionevole immaginare che essi vengano chiamati da qualcuno a dare manforte quando se ne crea la necessità.
Precisate queste condizioni al contorno, il tema su cui mi voglio soffermare è la stessa utilità dell'uso recentemente introdotto di "omofobia". La questione dell'uso delle parole, dell'uso di alcune di esse e non di altre, ma anche il modo in cui vengono usate, quale significato tenda ad essere loro associato, è una questione cruciale, è la questione ideologica per antonomasia.
Il linguaggio è per sua natura ambiguo, ed è una fortuna che lo sia perchè permette la propria evoluzione e quindi la propria adattabilità a nuovi contesti, uno strumento flessibile le cui dinamiche ion genere ci sfuggono, con la conseguenza che ne subiamo passivamente l'influenza. La manipolazione consapevole o inconsapevole del linguaggio è uno dei principali strumenti di controllo culturale, della possibilità di condizionare il nostro stesso pensiero. Insomma, nell'universo linguistico si svolgono gli scontri più aspri e più decisivi sulla sorte stessa dell'umanità.
L'argomento è certo complesso e richiederebbe un approfondimento impossibile da condurre in un breve post. La conclusione è che una certa ambiguità dei termini è inevitabile, esiste una sorta di stratificazione storica dei significati con cui siamo, volenti o nolenti, costretti a fare i conti.
Il discorso però è differente quando riguarda nuovi termini, qui non c'è un pregresso storico con cui confrontarci, qui sembra lecito richiedere una migliore specificazione dei significati perchè in questo caso il sospetto che l'ambiguità non sia una conseguenza casuale degli usi del termine, ma sia consapevolmente voluta e ricercata, sembra ovvio.
Ebbene, "omofobia" sembra proprio uno di quei termini costruiti a tavolino per creare una confusione culturale che possa permettere a una certa comunità di portare avanti i propri più o meno leciti interessi.
Ho prima citato il dibattito che si è svolto su "Nazione Indiana" proprio perchè è illuminante su cosa la comunità omosessuale militante intende con omofobia. In sostanza, qui riporto con parole mie, qualunque discriminazione dovuta ad omosessualità, è bollata come omofoba. Se ad esempio qualcuno solleva obiezioni rispetto alla possibilità degli omosessuali di adottare bambini, è un omofobo prima ancora di verificare se possa avere qualche ragione, se si pone qualche dubbio sulla congruità di concetto di matrimonio nel caso di partners omosessuali, per loro è un omofobo. Insomma, l'operazione ha una sua abilità, gli omosessuali si sono creati un salvacondotto per costituire una comunità protetta, in qualche modo perfino privilegiata.
Il punto di discrimine è l'uso, ma io direi perfino la stessa esistenza, del termine omofobia, se lo si accetta, il resto ne deriva automaticamente. Sulla questione in sè della utilità del termine, l'abilità dialettica degli intervenuti non è stata sufficiente a coprirne l'insignificanza, omofobia come mezzo per confondere le acque, non per renderle cristalline. Su questo cruciale punto alla fine l'unica argomentazione era il richiamo all'autorità, al fatto che l'ONU, l'OMS ed altri vari enti di grande rilievo internazionale lo abbiano accettato.
Qui sta un aspetto fondamentale: una campagna abilmente organizzata e condotta, ha permesso di determinare un certo tipo di maggioranza in tali organismi. Ciò che alla fine si rivela determinante è il rapporto di forza, la capacità di piazzare certe persone in certi posti, e la capacità di queste di determinare certe maggioranze.
Andiamo adesso a quanto accaduto ieri alla Camera. Era in discussione un DDL che, a quanto mi è dato sapere, voleva definire un'aggravante di omofobia nei reati di violenza fisica.
Nel merito, mi pare che stabilire una simile aggravante sarebbe palesemente anticostituzionale. Considetriamo i casi contrapposti di effusioni in pubblico di una coppia omosessuale e di una eterosessuale. Se l'esibizione di tali effusioni avesse determinato una reazione violenta da parte di qualcuno, si determinerebbe una discriminazione per la coppia etero rispetto a quella omosessuale. La violenza è da condannare e perseguire sempre, non ha senso alcuno prevedere che sia peggiore per una certa casistica rispetto a tutte le altre situazioni.
La cosa a mio parere più pericolosa è costituita dall'imposizione, addirittura per via legislativa del termine omofobia ed (anche) attraverso di esso di una vera e propria ideologia.

martedì 26 luglio 2011

BERSANI NON PUO' FAR FINTA DI NULLA

Può la vicenda Penati arrestarsi sulla soglia della stessa segreteria nazionale del PD?
Tralasciamo pure vari indizi acquisiti nell'ambito di altre inchieste, richiamate da Travaglio in un suo articolo, e che addirittura pongono pesanti ombre sul coinvolgimento diretto in Bersani nelle vicende che ruotano attorno all'imprenditore Gavio. Rimane purtuttavia un rapporto di stretta collaborazion
Inserisci linke tra Bersani e Penati, scelto dal segretario come suo primo e suo più fidato collaboratore che quanto meno pongono la questione della capacità di Bersani di circondarsi delle persone giuste. Scegliersi un capo della propria segreteria sbagliato non è questione che possa essere facilmente accantonata, gli elettori e gli iscritti del PD hanno il diritto di pretendere dal loro leader una capacità di selezionare correttamente il proprio più stretto stuff.
Quando si dice che Bersani ha taciuto, probabilmente ci si riferisce al suo tacere sulle sue personali responsabilità, soggettive, ma anche oggettive: possibile che egli non ritenga di convocare gli organi deliberanti del suo partito per relazionare pubblicamente e dettagliatamente su tali vicende, motivando perchè si ritenga al di fuori dei sospetti, o alternativamente mettendo a disposizione il proprio mandato? Che partito è mai il PD, se il coinvolgimento in gravi vicende di corruzione del portavoce del segretario non genera una richiesta quanto meno di espliciti chiarimenti da parte dello stesso segretario?
Mi dispiace che lo stesso Civati, in genere molto attento a questo genere di vicende, si ritenga soddisfatto della gestione di tali vicende da parte del PD: posso sollevare il sospetto che questa cintura di sicurezza sollevatasi nel PD all'interno del suo partito sia un grave indizio della gravità dei fatti e del coinvolgimento dell'intero partito e del suo gruppo dirigente che preferisce sacrificare singoli suoi pezzi pur di salvare gli altri?
Vedremo, se si tratta di una frana, non sarà con le vanghe che si fermerà, e alla fine qualcuno finirà per non volere pagare per i suoi capi: a quel punto , sarà una voragine che travolgerà tutto e tutti.

domenica 24 luglio 2011

L'ISTERIA ISLAMOFOBICA DELLA STAMPA

Ma avete letto i titoloni sparati nei quotidiani di ieri a proposito delle stragi avvenute in Norvegia? Io davvero mi chiedo che credibilità possa avere la stampa quando, senza alcun minimo indizio, e quindi soltanto sulla base di pregiudizi, proclama come autore degli attentati il terrorismo di matrice islamica. Anzi, si va oltre, si richiama addirittura la responsabilità di al-Qaida. Qui, veramente ci troviamo di fronte a una grave forma di isteria collettiva che getta una pesante ombra sull'affidabilità dell'intero settore dell'informazione.
Bisognerebbe poi aprire una discussione sulla stessa esistenza di al-Qaida, perchè mi pare che di evidenze della sua esistenza davvero non ne abbiamo. Il punto è che un'organizzazione che per motivi "tecnici" decide di darsi una struttura estremamente flessibile, fino a prevedere la totale autonomia di ciascun gruppo in cui è articolata, finisce con il rendere evanescente sè stessa. Sarà certamente difficilissimo smantellarla nella sua totalità, ma altrettanto difficile sarà darne un profilo di minima unitarietà. Lo stesso stratagemma messo in atto per ostacolarne lo smantellamento agisce poi come nullificazione della stessa organizzazione.
Infine, al-Qaida, se ancora ne rimane qualche simulacro, finisce con l'apparire come una specie di bollino, un marchio di fabbrica, apposto su gruppi eterogenei forse perfino nelle finalità, ma sicuramente organizzativamente autonomi.
Forse, a proposito di questi tragici avvenimenti avvenuti in Norvegia, dovremmo piuttosto chiederci se la questione che viene in evidenza non sia rappresentata dalla stessa esistenza di armi da fuoco e bombe che sono deleterie per la loro stessa esistenza, perchè sarà sempre possibile trovare un pazzo sanguinario che finirà per usarle.

venerdì 22 luglio 2011

LEGA SEMPRE PIU' NEI GUAI

E adesso, la Lega si trova nei guai assai più dello stesso PDL, è questa la conclusione che si dovrebbe trarre dalle vicende del voto su Papa, una formazione politica che non si vede come possa sgusciare fuori dalla tenaglia tra i suoi atti politici, documentati dalla cronaca parlamentare della corrente legislatura, e i suoi vuoti proclami, sempre più secessionisti, sempre più di richiamo mitologico. Il giocattolo insomma si è rotto in mano A Bossi, e però la nuova leadership di Maroni su cui tanto si sofferma la stampa non si capisce proprio su quali contenuti si poggi, dove insomma si regga, quale respiro strategico mostri.

Certamente, volge al termine il dominio del vecchio duo Berlusconi-Bossi, ma esso lascia dietro di sè un vuoto di idee, di programmi, di nuovi stimoli politici che non pare proprio Maroni da una parte e il neosegretario del PDL Alfano dall’altro, riescano ad indicare.

Maroni esegue il suo regicidio nell’ombra più fitta, professando ancora fino a ieri ubbidienza al gran capo appena detronizzato, Alfano fa anche peggio, sovrapponendo il proprio al silenzio di Berlusconi. Due silenzi differenti però, quello di Berlusconi una mossa tattica perfino di una certa abilità, mentre il silenzio di Alfano si staglia come una prova di una carenza di potere, è il silenzio di chi non si sente certo del proprio ruolo, di chi non ha il coraggio di fissare con una dichiarazione esplicita un proprio punto di vista per timore di essere smentito. Per non mettere in dubbio il proprio potere, Alfano tace, ma così lo certifica in modo indiscutibile, per timore di non avere l’autorità di esprimere un punto di vista vincolante per il partito che guida, ne da’ nello stesso tempo evidenza.

Alfano esce quindi a pezzi da questa fase politica, come chi, per paura di perdere una battaglia, non la combatte e così la perde nella maniera peggiore. Il sacrificio di Alfano rappresenta però nello stesso tempo un elemento positivo per il proprio partito, permette a Berlusconi di riconfermare la propria leadership tra i suoi, e di riflesso, permette non si sa ancora quanto a lungo al PDL di continuare ad essere il non-partito che è stato finora, una azienda al servizio del capo.

In altre parole, il PDL esce sconfitto da questo voto, ma regge attorno a Berlusconi, perché, da questi creato, solo così può reggere, soggetto ad un’inevitabile frammentazione quando il capo lasciasse.

Per questo penso che la vittima maggiore degli eventi è la Lega che non può buttare nel dimenticatoio la sua recente cronaca politica e parlamentare facendo finta di trovarsi negli anni novanta, e non sa quindi come affrontare un fase politica tempestosa appena iniziata. Scegliere di abbandonare l’alleato non fa una strategia politica, nulla delle contraddizioni della Lega si può risolvere semplicemente con un piccolo scarto.

Come già dissi in post precedenti, non avere abbandonato Berlusconi in autunno è+ stato un errore strategico enorme, farlo adesso appare insufficiente. L’unico elemento positivo per la Lega oggi è costituito dalle altrui debolezze, in particolare quelle dell’opposizione, il vuoto di idee dietro la Lega, il vuoto di idee del PD, la sua incapacità manifesta ad indicare una sua chiara via di uscita dall’impasse politico.

Rimane il fatto che i partiti di opposizione possono continuare a protestare, mentre la Lega non può farlo, e quindi tatticamente la sua posizione è senza dubbio la più critica. Insomma, il PDL può continuare a sostenere il governo, magari continuando a collezionare sberle, ma dietro una scelta chiara, arrivare alla fine della legislatura, l’opposizione può continuare a chiedere le dimissioni del governo senza sapere con cosa sostituirlo, mentre la Lega non può fare né l’uno né l’altro senza che ciò appaia o come un ritorno all’ovile berlusconiano, o come un tradimento del vecchio alleato a favore di formazioni politiche sempre criticate o addirittura sbeffeggiate.

Prevedere come finirà in una situazione come quella data, è roba da astrologi, anche considerando il recente attivismo molto incisivo del Capo dello Stato, un’ulteriore variabile che si somma alla volubilità dei partiti ed alla situazione di crisi finanziaria che non sembra certo risolta dal vertice UE di ieri.

mercoledì 20 luglio 2011

SCUOLA DI AMBIENTALISMO

Guardando in giro sul web, mi rendo sempre più conto di quanta nebbia, quanta confusione regni attorno alle tematiche ambientali che forse ho qui un po’ trascurato, e a cui mi riprometto di dedicare più spazio.

Oggi, per iniziare, vi darò il link ad un filmato che mi pare fatto abbastanza bene. Il link in realtà si riferisce alla prima parte: da lì, sarà facile accedere alle altre due parti, visto che è stato spezzato in tre successive parti.

martedì 19 luglio 2011

CANDIDATI SALVATORI DELLA PATRIA

Sono apparsi, entrambi su “La Stampa” due articoli interessanti riguardo l’attuale crisi dell’Italia sui mercati finanziari.

Ieri, Luca Ricolfi ha ben sintetizzato tutte le magagne del decreto voluto da Tremonti per tirarci fuori dagli attacchi speculativi ed ora chiaramente dimostratosi clamorosamente inadeguato, dal punto di vista strettamente tecnico-economico.

Le tre debolezze che egli elenca sono da condivise totalmente, e non potrei aggiungere nulla alle sue parole.

Le riporto integralmente dallo stesso articolo:

Primo: è di entità risibile nel 2011-2012, mentre diventa draconiana solo nel 2013-2014, il che significa che i suoi effetti certi sono minimi, mentre gli effetti significativi non sono certi (gli impegni del 2013-2014 molto difficilmente potranno essere onorati, visto che non si sa nemmeno chi dovrà farlo: dalla fine del 2012 saremo in campagna elettorale).

Secondo: una componente della manovra, quella fiscale, non solo è spostata avanti nel tempo, ma è di contenuto sconosciuto, in quanto affidata a una delega fiscale.

Terzo: la manovra è troppo incisiva dal lato delle entrate (tasse), e lo è troppo poco dal lato delle uscite (spesa pubblica).

Giustamente, sullo stesso tema ritorna un altro commentatore, Stefano Lepri sostenendo, mi pare con ottime ragioni, che il quadro delle spiegazioni dell’inefficacia del provvedimento richiede l’integrazioni delle condizioni politiche, ed in particolare il ruolo chiave giocato sia dalla situazione politica nazionale, che da quella europea.

Sono ancora d’accordo con Lepri quando egli dice che la vera priorità non è tanto il superamento dell’impasse politico italiano con un premier privato di ogni vero potere ma tuttora indisponibile a mettersi da parte, e ancora in grado di garantirsi la maggioranza in parlamento, quanto la situazione dell’Europa. Semmai, l’articolo, pur rivendicandone la centralità per uscire dalla tempesta finanziaria, non approfondisce questo aspetto, nascondendo la problematicità di una prospettiva positiva a fronte dell’inadeguatezza della classe politica europea ad assumere decisioni molto drastiche e rischiose, che richiederebbero un coraggio che oggi davvero è difficile rintracciare al suo interno.

La condivisione sostanziale del contenuto di questi due articoli non comporta la messa in discussione dell’esistenza di un piano preordinato di ridimensionamento dell’euro dopo una lunga fase di attacchi molto lucrosi per la cupola affaristico-mafiosa di cui parlo ormai da tempo su questo blog. Le due cose convivono, nel senso che anche dal punto di vista dell’efficacia verso i mercati, il provvedimento recentemente varato non risponde neanche tecnicamente alle esigenze presenti, e ciò comporta il favorire delle manovre speculative che possono trovare un sostegno oggettivo anche da parte di risparmiatori oculati che spostano altrove i loro investimenti su una base strettamente tecnica, anche se privi di mire speculative.

A questo punto, è ineludibile chiedersi se il fallimento completo della manovra nelle sue intrinseche finalità possa sorprendere, o se fosse ovvio per le ragioni che Ricolfi elenca tale fallimento. Mi pare inevitabile sposare la seconda risposta, il fatto che una manovra così era destinata inevitabilmente al fallimento. Visto però che l’effetto della manovra è pesante sin da ora per gli italiani, dobbiamo giudicare negativamente il suo varo, ridistribuzione del reddito a favore dei più ricchi e contemporaneamente inefficacia a salvare l’Italia. Non vorrei che qualcuno se ne uscisse dicendo che c’abbiamo provato: in queste materie, le misure adottate debbono raggiungere il loro scopo, e quando non vi riescono sono una vera calamità per la nazione che le adotta.

Allora, devo concludere che l’intervento del Capo dello stato a gamba tesa nel merito dell’attività politica è stato un errore clamoroso, e vorrei invitare il Presidente ad astenersi da tali interventi: a sbagliare e combinare guai, il governo Berlusconi è bravissimo da sé, perché coinvolgervi in una certa misura l’opposizione? No, per risolvere problemi, non basta fare qualcosa, agitarsi a vuoto, bisogna avere un piano adeguato: che senso ha allora pretendere una rapida approvazione di un qualsiasi provvedimento su cui non si ha neanche il tempo di riflettere e ponderare? Come si può pretendere dall’opposizione di lasciar fare a un Tremonti ormai forse abbandonato dai suoi compagni di merenda del solito circolo affaristico internazionale?

Perché, mi chiedo allora, Presidente lei vuole passare alla storia come un maldestro candidato a salvatore della patria?

domenica 17 luglio 2011

RECENSIONI: L'UMILTA' DEL MALE

Ho letto di recente uno smilzo libretto di Franco Cassano, un sociologo accademico, intitolato "L'umiltà del male", un'opera che ha ricevuto una certa attenzione sulla stampa e credo anche abbastanza venduta, se si considera che si tratta di saggistica.
Confesso una cattiveria, ma questa è la sensazione che ho ricavato: l'autore non sembra avere scritto questo libro perchè avesse qualcosa da dire, ma è come se avesse bisogno di uscire con una nuova opera, e ha scritto questo testo, la cui tesi appare esile e vaga.
In sostanza, l'autore parte da una tesi iniziale che non si cura neanche di argomentare, secondo cui la libertà è il bene e il male sarebbe tutto ciò che le si oppone.
Con questa visione manichea, affronta nei vari capitoli vari casi presi sia dalla letteratura che dalla storia, che ancora dal dibattito sociopolitico. Il risultato è che la discussione di casi così eterogenei, invece di portare chiarezza, porta al contrario confusione.
Partiamo quindi come l'autore dalla famosa leggenda del grande inquisitore che nel romanzo di Dostojevski "I fratelli Karamazov" Ivan racconta al fratello Alioscia. Incomprensibilmente, l'autore si affanna a confutare la tesi che vede l'inquisitore come il male: in realtà, questa è anche la tesi sposata dall'autore che piuttosto vuole confutare la pretesa, non si sa di chi, di vedervi una rappresentazione classica del male come contrapposizione al male.
Vi dirò come la vidi io quando, ancora adolescente, lessi questo romanzo. Per me, le tesi del grande inquisitore sono molto interessanti, per certi aspetti convincenti, e d'altra parte non vi dovrebbe essere dubbi che Dostojevski ponesse le due tesi contrapposte (quella dell'inquisitore e quella di Cristo) in maniera problematica e per nulla scontata. Ciò deriva dalla figura stessa di Ivan, una figura tragica e nobile: mai il romanziere avrebbe potuto porre le argomentazioni di Ivan come strumentali.
Qui quindi, abbiamo di fronte due tesi rispettabili che chiaramente hanno ben poco a che fare con la semplice contrapposizione tra ben e male. Cosa allora ha a che fare questa leggenda con il caso dei lager nazisti, tema affrontato nel successivo capitolo? Mentre la tesi dell'inquisitore rivendicano la volontà di salvare l'umanità dalla proporia incapacità di scegliere bene, i nazisti annullavano la libertà nei loro lager come effetto in qualche modo collaterale a quello del genocidio degli ebrei che perseguivano. Certo, le parole di Primo Levi citate a questo proposito sono nel contesto complessivo certo pertinenti ed illuminanti, e i lager nazisti certamente meritavano di essere considerati: il dubbio è se sia la leggenda del grande inquisitore a stare fuori posto in questo libro.
Infine, uil terzo caso citato è quello di un confronto neanche così interessantre a mio parere tra il famoso filosofo della scuola di Francoforte Adorno, e il sociologo di destra Gehlen su quanto tutti gli uomini siano in grado di affrontare le scelte connesse alla libertà: Cassano ci vuole forse dire allora, sulla falsariga del grande inquisitore, che Gehlen rappresenti il male? Sembrerebbe una conclusione conseguente, ma l'autore se ne guarda bene: ancora una volta si evidenzia come la leggenda narrata da Ivan ci stia fuori posto in questo libro.
Alla fine di queste analisi, quale sarebbe la conclusione che l'autore trae? Beh, è quella che uno dei fattori determianti del successo del male è la sua umiltà, la capacità cioè di confrontarsi, da pari a pari con le persone comuni, mentre il bene rappresnetato da seriosi teorici aristocratici tendono per loro stessa natura a disolarsi da questa gente comune.
Mi pare qui che a Cassano sfugga la differenza dei ruoli, che il teorico politico non può che riportare teorie inevitabilmente coerenti ed estreme, e che sta al politico l'umiltà di metterle in atto. Qui insomma non v'è un errore teorico sulla natura umana, se c'è, sta nella specifica teoria, quanto il fatto del tutto ovvio che dare attuazione a una teoria richiede capacità di mediazione, di saper scendere a patti, di trovare la giusta strada per conquistare il consenso.
Valeva allora la pena di scriverci su un intero libro, per quanto smilzo?

venerdì 15 luglio 2011

GLI SPECULATORI ALLA GUIDA DEL NUOVO GOVERNO

Le parole di ieri di Napolitano sono, mi pare, inequivocabili, blocca, rudemente direi, ogni ipotesi di rimpasto perché inopportuno, e richiama altri momenti di coesione nel prossimo futuro, rinviandone la responsabilità contemporaneamente a maggioranza ed opposizione.

Primo punto: cosa ci sarebbe di inopportuno in un rimpasto oggi, quando nel recente passato lo stesso Presidente ha ripetutamente sollecitato il premier a procedere alla copertura dei posti vacanti? In sé, il rimpasto governativo non ha nulla di negativo, semmai lo diventa in base al suo merito, a come cioè si effettua.

Bisogna allora essere sordi e ciechi per non accorgersi che l’inopportunità sta nel fatto che questo governo se ne deve andare, si trova sulla soglia dell’uscita, e sembra inopportuno che, sul punto di uscire, si tolga il soprabito. Se come mi sembra evidente il Presidente si è fatto carico di fare largo a un nuovo governo, un’operazione di rimpasto suonerebbe stonata, come una conferma indiretta di un esecutivo che va invece sostituito nella sua interezza, a partire ovviamente dal premier.

Secondo punto: qual è il significato del richiamo alla responsabilità congiunta dei due schieramenti parlamentari contrapposti? A me pare, fatta salva la palese differenza nello stile, esso faccia il paio con le dichiarazioni di Bossi che invita l’opposizione a rivolgersi a lui per costruire un nuovo governo. Queste due distinte dichiarazioni ci dicono la stessa cosa, che Napolitano è riuscito a creare un canale di dialogo trasversale agli schieramenti parlamentari, ma che nulla sinora si è concretizzato. Insomma, si è creata la possibilità di lavorare per un nuovo esecutivo, ma tale possibilità non avrà attuazione automatica.

Proprio per questa ragione, per il fatto che Berlusconi si trova già di fatto messo da parte, in primis da Tremonti e Bossi, egli preferisce tacere. Sembra in realtà abbastanza logico che gli convenga in questa fase lavorare di rimessa, non dare appigli a cordate avverse, perché questo progetto trova il suo fondamentale ostacolo in parlamento, dove bisognerà alla fine trovare i numeri per sfiduciare il suo governo. Anche per la Lega, in assenza di uno scontro politico vero e proprio su questioni specifiche, sarà dura votare la sfiducia che inevitabilmente non riguarderà soltanto Berlusconi, ma l’intero governo, e quindi anche gli stessi ministri leghisti.

Anche la manovra economica approvata ieri al Senato rappresenta una totale disfatta di Berlusconi, proprio in base ai suoi contenuti, è molto differente dall’impronta che voleva conferirgli il premier: ebbene, egli ha deciso di incassare questo colpo in silenzio, proprio in una scelta tattica di non fornire nessun “casus belli” alla Lega. E’ come se un paese sconfinasse per provocare lo stato confinante: una possibile tattica, almeno per allontanare il momento della resa dei conti, può essere quella di non reagire, di far finta di nulla, almeno finché ciò sia possibile.

In tutto questo, il ruolo dell’opposizione, appare chiaro credo, è marginale, il regista appare lo stesso Napolitano. Per capire allora che tipo di nuovo governo potrebbe venir fuori da queste manovre, bisogna capire come vede le cose Napolitano. Da questo punto di vista, la cosa che più colpisce è che nessuna motivazione, neanche quella a lungo agitata della riforma della legge elettorale, men che mai l’ormai più che decennale questione del conflitto di interessi, sono state sufficienti a intraprendere l’ipotesi di un ricambio a Berlusconi, ma quando si è trattato del problema del passaggio della manovra economica, allora la proverbiale prudenza del Presidente si è dileguata, e mai davvero finora egli si era così tanto esposto in prima persona, apparendo ormai come il vero protagonista di questa fase politica.

A me pare che ciò significhi che per Napolitano l’obiettivo davvero prioritario sia quello di obbedire ai mercati. Non è corretto dire che bisogna salvare la patria bisogna evitare al paese pesanti danni economici: su questo, siamo tutti d’accordo, siamo nell’ovvio.

Siamo però meno d’accordo sulle ricette, sul rapporto che una nazione, formalmente ancora sovrana, deve stabilire con gli investitori internazionali, cioè con gli speculatori, perché ogni investitore è inevitabilmente uno speculatore. Nei post precedenti, ho sottolineato tutti i difetti dei mercati finanziari, ma devo qui precisare che i mercati possono svolgere anche un ruolo positivo, possono permettere di confrontare ipotesi teoriche con scenari reali, fornendo alle istituzioni indicazioni preziose. A questo proposito, si deve stabilire un rapporto dialettico tra governi nazionali e mercati finanziari: mai però si può arrivare al punto di scrivere i provvedimenti finanziari sotto dettatura dei mercati.

Temo che Napolitano non la pensi così, che capovolga la logica priorità tra investitore e stato sovrano, e che pertanto, se mai sorgerà questo nuovo governo, non sarà neanche più il governo del Presidente, ma il governo dei mercati, nel senso di un esecutivo del tutto sotto tutela dei mercati.

La bufera finanziaria è appena iniziata, il primo segnale che abbiamo inviato è pessimo, abbiamo offerto le terga alla speculazione in sostanza dicendo loro che la tattica che hanno intrapreso funziona, che noi ci pieghiamo con estrema facilità. Temo che il prossimo governo, presumibilmente con Tremonti sempre alla guida finanziaria e sempre più saldo in sella, un Presidente che interpreta il suo ruolo di protezione della nazione con l’asservimento totale al primo speculatore di passaggio, non potrà che fare ancora peggio rispetto ai governi guidati da un guitto che bada ai propri personali interessi: di fatto, a parte le leggi ad personam, la creazione e il costoso mantenimento di varie sue cricche attorno a suoi uomini, Berlusconi non è che abbia poi così tanto governato, troppo occupato in festini inconfessabili. Rimane il suo ministro dell’economia, rimane sicuramente in un ruolo di primo piano Gianni Letta, protetto dallo stesso Presidente, rimane un ruolo prioritario dei leghisti e della loro cultura razzista ed antiistituzionale.

La novità insomma, sembra essere costituita soltanto dal coinvolgimento dell’opposizione, operazione storicamente collegata all’emanazione dei provvedimenti più impopolari. La prima cosa che urla Casini, ma mi pare completamente in accordo con il PD, è privatizzazioni: possibile che anni ed anni di opposizione a Berlusconi servano alla fine per dare attuazione a ciò che gli Italiani, con il voto al referendum sull’acqua, avrebbero dovuto far capire chiaramente, che la privatizzazione è un processo che ci porta al declino ed all’impoverimento?

Allora, mi verrebbe da dire, come si faceva una volta (riferito a Mussolini): a ridatece il puzzone!

mercoledì 13 luglio 2011

MISSIONE COMPIUTA, C'HANNO FREGATO UN'ALTRA VOLTA

Potremmo dire “missione compiuta”: l’attacco speculativo su titoli azionari, titoli di stato ed obbligazioni italiane ha avuto pieno successo, avendo conseguito esattamente gli scopi che si prefiggeva.

In particolare, si farà digerire agli italiani una manovra economica nel frattempo lievitata a 75 miliardi di euro (un aumento superiore al 50% rispetto all’importo a suo tempo comunicato), si determinerà per questa via il consueto spostamento di risorse dai ceti più poveri a quelli più ricchi, mentre sul fronte interno si impostano le condizioni per passare ad un nuovo governo che estrometta Berlusconi dal potere. Tra Tremonti ed opposizione è in corso un amorevole flirt, con l’opposizione che garantisce il passaggio della manovra entro venerdì, cioè senza neanche leggerne il testo perché il tempo non ci sarebbe, e Tremonti che ringrazia l’opposizione per tale disponibilità: cosa ancora mancherebbe per preconizzare a una breve un governo di emergenza o come altrimenti lo si voglia chiamare, insomma un nuovo governo, benedetto e supportato dallo stesso Capo dello stato, e che veda ancora Tremonti a guidare l’economia?

Così, abbiamo ricreato la coesione nazionale su cui tanto si è speso Napolitano, e adesso ci apprestiamo a condurre questo paese coeso nel baratro, visto che continueremo ad avere alla guida quello stesso individuo che lo è ormai da anni e che a questa situazione c’ha portato: non è male come soluzione, complimenti ai vari Napolitano, Bersani e Di Pietro, questo è il paese responsabile che sempre richiamano, quello che al primo colpo di tosse dei rapinatori, chiede allo stesso rapinatore di salvarli.

Ma lasciamo stare queste pochezze nostrane su cui davvero non ha più senso forse neanche più soffermarsi, visto che questa è la classe dirigente che ci ritroviamo in Italia.

Rimane da analizzare l’aspetto internazionale, costituito da speculatori internazionali ed Europa. Davvero possiamo tirare un respiro di sollievo, davvero l’abbiamo scampata bella? Innanzitutto, bisognerebbe capire perché ieri c’è stato un rimbalzo dei titoli che si erano depressi il giorno prima. Ecco, la speculazione ha ottenuto esattamente tutto ciò che voleva, ha prima di tutto guadagnato, almeno c’ha speculato quella differenza di spread che anche ieri rimaneva rispetto a giovedì passato, un mare di soldi vi assicuro se facessimo bene i conti. In secondo luogo, ha lanciato una sfida clamorosa alla stessa sovranità europea, e l’Europa non ha trovato di meglio che costringere l’Italia ad assoggettarsi al ricatto, la famosa manovra sotto dettatura. Semplicemente, la stessa speculazione ha deciso di ritirarsi da questo primo assaggio di attacco all’Italia, una semplice puntatina, tanto per saggiarne le reazioni che un vero e proprio attacco, rimettiamo i fatti al loro posto.

Sulla stampa invece, passa una visione mitologica, che farebbe pensare che la speculazione è stata messa in fuga: ma tentiamo minimamente di essere seri, ma messi in fuga da chi? Ma avete presenza la statura politica della Merkel, quella stessa Merkel che per motivi elettorali, ritardando l’assenso tedesco all’aiuto alla Grecia, è la vera responsabile della situazione in cui ci troviamo, ma chi Trichet, quello che ha deciso di aumentare i tassi d’interesse nel bel mezzo della più grave recessione europea dal 1929?

Il colmo di tutta questo stupidario è costituito dalla voce, temo messa in giro ad arte, che nientemeno la BCE era o minacciava di intervenire direttamente sul mercato. La stupidità della notizia sta non nel fatto che potrebbe anche darsi che di fatto la BCE sia intervenuta davvero, io non lo so e temo mai lo sapremo, ma sul fatto che la speculazione possa farsi intimorire da tale eventualità.

Diciamolo allora chiaro, se non lo fosse già per tutti, questi speculatori muovono una tale mole di denaro, non importa qui stabilire se lo abbiano davvero o sia solo virtuale, fatto sta che sono in grado di spostare capitali enormi da un titolo all’altro, e le disponibilità di ogni banca centrale, fosse anche la banca europea, di mobilitare risorse finanziarie è minore di almeno un ordine di grandezza. Finchè si trattava di difendere paesi piccoli come la Grecia, il Portogallo o l’Irlanda, ci si riusciva perché il totale dello stesso capitakle da garantire è piccolo, ma quando si passa a paesi come la Spagina ed ancor più l’Italia, per i meccanismi finanziari esistenti bisogna confessare, bisogna dirlo a tutti i cittadini, siamo del tutto indifesi, non c’è istituzione europea che ci possa difendere, si soccombe in ogni caso.

Da venerdì passato insomma, e non si sa fino a quando, siamo ormai sotto attacco speculativo, e confondere una tregua di ordine tattico (hanno solo diversificato l’obiettivo, da ieri è ritornata sotto tiro l’Irlanda), per una prima vittoria, è un errore, ma soprattutto una insopportabile mistificazione da parte della politica e del settore dell’informazione.

Ripeto, missione compiuta, i politicanti italiani, di maggioranza ed opposizione, hanno regolato alcuni loro conti interni, ci impongono i soliti sacrifici senza che siano toccati i loro intollerabili privilegi, la speculazione internazionale c’ha lucrato qualche cosetta e soprattutto ha verificato per l’ennesima volta che pachiderma sia l’Europa, quanto possa essere lenta e inefficace la sua reazione, e presto, non oltre il mese di settembre se tutto andasse al meglio, la speculazione tornerà ad attaccarci, qualche ulteriore balzello e qualche servizio sociale in meno per gli europei, e seguirà pausa tattica, e poi di nuovo, di nuovo…

Chi, mi chiedo, può essere talmente masochista da giocare con un mazzo di carte che l’avversario ha truccato?

martedì 12 luglio 2011

EMERGENZA NAZIONALE COME NORMA PER GARANTIRE LA CONTINUITA'

Giornata campale quella di ieri, sul palcoscenico delle idiozie hanno voluto fare la loro apparizione in tantissimi, in questo teatrino globalizzato in cui siamo stati proiettati quasi senza accorgercene, alla tentazione di svolgervi un ruolo anche di comparsa, in pochi hanno resistito. In questa situazione, finisco perfino col rispettare il silenzio del premier, a cui evidentemente hanno comunicato la sua estromissione prossima futura.

In sintesi, si tratta di questo: di fronte alla caduta della borsa e al rialzo degli spread, si è detto che serve coesione nazionale. Dobbiamo fronteggiare uniti e compatti la speculazione internazionale, si dice. Bene, ciò significa allora che la speculazione ed il funzionamento dei mercati finanziari che la consente sono i nostri nemici? Oppure c’è un’ipotesi alternativa, e cioè che i mercati sono obiettivi, e come dice pateticamente Gomez essi rappresentano solo lo specchio che ci rimanda l’immagine obiettiva di ciò che veramente siamo in base ai comportamenti che abbiamo tenuto (sic!).

Capite bene che si tratta di due ipotesi assolutamente contrapposte, perché indicano un nemico a cui opporci, appunto con spirito di coesione nazionale, del tutto differente. Individuare il nemico è un punto essenziale, non ci si può unire e lottare assieme senza avere certezza di chi sia colui che dobbiamo lottare con spirito di sacrificio. Nel primo caso, i nemici sono i grandi speculatori internazionali, nell’altro però no, essi fanno semplicemente il loro mestiere, essi non hanno un piano preordinato, si arricchiscono solo sulle debolezze e gli errori degli altri.

E’ fondamentale chiarire questa alternativa per potere assumere i provvedimenti adeguati. Se il problema è costituito dagli speculatori, dobbiamo rivoluzionare le norme di funzionamento dei mercati finanziari, dobbiamo predisporre mezzi tecnici che impediscano a pochi potenti, potenti perché ricchi, di annullare le sovranità nazionali in termini di politica economica.

Se viceversa il problema è costituito da scelte scellerate commesse dall’Italia, allora sembra con tutta evidenza che chi tali scelte ha compiuto venga allontanato dalle posizioni di comando: non ci sto a militare in un esercito comandato da quello stesso generale che, sulla base delle scelte assunte, è il mio vero nemico. Allora, la testa di Tremonti dovrebbe volare via (metaforicamente, eh…) subito, senza ulteriori tentennamenti, magari portandosi dietro l’intero governo, ma certamente il primo responsabile va individuato nel ministro del tesoro protempore.

In verità, esiste una terza ipotesi, ed è quella che vede un’alleanza, magari solo implicita, tra nemici esterni ed interni, e questa è l’ipotesi che ritengo più valida.

Non è un caso che Tremonti goda di una grande stima nel mondo finanziario, e poiché io ritengo che il mondo della finanza sia la più grande e potente organizzazione a delinquere dell’intero globo, devo concludere che egli rappresenti un pericolo costante alla stessa sovranità nazionale dell’Italia.

Fare un’analisi dettagliata della politica economica portata avanti da questo ministro non è qui possibile, richiederebbe decine di pagine.

Posso qui però riassumere lo spirito della sua azione, la sua filosofia. La prima caratteristica che vedo è la mancanza totale di prospettiva sul futuro, per Tremonti il problema è tirare a campare, mettere le toppe dove si manifestano falle, e tanto peggio se domani queste falle solo tappate e non riparate si allargheranno fino a rendere magari impossibile, o comunque molto più difficile e dispendioso ripararle successivamente. Basti per tutti il caso del rientro dei capitali dall’estero, colpiti con una ridicola aliquota del 5%. E’ chiaro che tale provvedimento ha fornito una certa liquidità, e che quindi nel breve periodo a consentito di non inasprire i conti pubblici, ma esso ha contemporaneamente generato effetti nefasti a lungo termine, sia dal punto di vista della predisposizione a continuare nll’evadere il fisco, sia nell’avere eliminato una possibile fonte di introiti ben più consistente per lo stato, una operazione oscena che sarebbe bene che nessuno dimenticasse.

L’altra filosofia sta nel rifiuto della politica, nel considerare i provvedimenti economici come un’operazione matematica, la cosiddetta politica dei tagli lineari, che significa la fine stessa della politica, la sua totale subordinazione a dei criteri extrapolitici assunti come verità assoluta.

Il risultato di tutto questo, come è inevitabile seguendo questa logica perversa, è stato il progressivo peggioramento dei conti. Anche la manovra adesso in discussione va criticata non perché troppo onerosa, ma la contrario perché lo è troppo poco, perché segue la stessa logica che avevano i governi di Andreotti negli anni settanta, un copione già ampiamente visto: periodicamente, ogni tre-quattro mesi, si aveva un aumento del bollo, delle imposte sulle sigarette, delle accise sulla benzina, di tutti questi balzelli. Si può certo aumentare la tassazione su un certo prodotto, ma non certo con questa logica odiosa di rapina sistematica e periodica, ma perché ad esempio si vuole disincentivare l’uso del mezzo di locomozione privato, deve esserci dietro sempre un progetto che rinvii a una decisione di carattere politico.

Naturalmente, se guardate i giornali di oggi o se anche avete seguito i notiziari TV di ieri e di stamane, vedete come la gran parte dei giornalisti e commentatori si sia prontamente allineata.

Citerò il caso per me molto significativo del Prof. Mazzocchi, della Luiss che ha partecipato ieri pomeriggio a un dibattito su Skynews24.

Il suo intervento appare come una modifica peggiorativa della logica del “siamo tutti sulla stessa barca”. A proposito del mancato inserimento nella manovra economica delle norme per ridurre i costi della politica, egli ha sbottato dicendo “chi se ne frega, l’aumento dello spread e quindi del costo degli interessi sul debito pubblico ci costa più della politica”. Insomma, è come appunto se una barca stesse per affondare per il troppo carico, l’equipaggio rifiuta di buttare a mare il carico di rame trasportato, ma pretende da me che getti in mare anche i miei effetti personali: eh no, la prima mossa sta a chi comanda ed ha determinato col suo colpevole comportamento il pericolo, prima a mare il rame su cui vogliono lucrare, e poi getterò quanto mi appartiene.

Io credo che questa logica emergenziale debba necessariamente essere spezzata, e penso che prima lo si fa e meglio è: se si accetta, ogni rapina ai comuni cittadini onesti e virtuosi sarà allora possibile, che le cose giungano al punto di crisi a cui devono arrivare, facciamola infine questa pulizia, e facciamola al più presto senza sconti e facili solidarietà al rapinatore.

lunedì 11 luglio 2011

IL VERO OBIETTIVO E' L'EURO

In un precedente post, avanzavo l’ipotesi che la cupola affaristico-mafiosa che domina i mercati finanziari, e per questa via il mondo intero, avesse come uno dei suoi obiettivi prioritari l’abbandono dell’euro, o quanto meno un suo ridimensionamento che ne limitasse l’adozione a un numero molto limitato di nazioni, concentrate in sostanza attorno alla Germania.

Sappiamo già quali siano le nazioni sotto attacco speculativo: Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, ed ora anche l’Italia. Bene, nella mia ipotesi questi paesi che ho elencato dovrebbero, nei progetti di questi speculatori, uscire dall’euro e tornare a valute nazionali.

Ciò che ipotizzo è insomma che l’euro può essere da questi accettato soltanto se declassato a una specie di supermarco. Già la presenza della Francia risulta troppo ingombrante, mentre paesi come i Paesi Bassi o l’Austria, forse anche la Repubblica Ceca, essendo di dimensioni più ridotte, non influenzano significativamente il bacino di adozione dell’euro. In ogni caso, non si andrebbe aldilà dei duecento di milioni di persone complessivamente.

E’ chiaro che anche l’uscita di paesi piccoli (in numero di abitanti) come la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda non influenzerebbe significativamente l’importanza dell’euro.

Se è vera l’assunzione preliminare, cioè l’obiettivo del drastico ridimensionamento dell’euro, allora ben si capisce come il suo raggiungimento richieda necessariamente il coinvolgimento di nazioni più popolose, come appunto la Spagna e l’Italia. Se insomma non escono dalla zona euro pezzi consistenti, l’obiettivo verrebbe mancato.

Ecco allora che si comprende come perfino una manovra restrittiva come quella deliberata recentemente dal CDM venga giudicata negativamente dai soliti noti, anche se rispetta formalmente i requisiti richiesti dall’Europa, si capisce bene come le critiche rivolte a destra e manca siano speciose, stiano a giustificazione di decisioni già da tempo assunte.

Come già dicevo nel precedente post che ho qui citato, esiste anche un aspetto tattico in questo piano seguito e perseguito dalla cupola affaristico-mafiosa, e cioè dello strangolamento lento di questi paesi. La lentezza è necessaria perché, prima che la morte (uscita dall’euro) sopravvenga, le vittime predestinate devono svenarsi per nutrire i vampiri che li aggrediscono, e che fanno credere alle stesse vittime che tutto si risolverà con la perdita di pochi litri di sangue. Ma si tratta appunto soltanto di tattica, una tattica funzionale a spremere lo spremibile da popoli governati da pusillanimi inciucioni, così dominati dall’esigenza di rimanere a galla, da non ricordare neanche più quale dovrebbe essere la funzione di chi governa una nazione.

domenica 10 luglio 2011

LE RINUNCE DI BERLUSCONI: GIUDICI CATTIVONI!

Le cronache di oggi riportano la rabbia di Berlusconi: sfido io, con una quota parte di almeno trecento milioni di euro da pagare...
Ma forse bisognerebbe cambiare l'unità di misura, concretamente egli dovrà rinunciare a più di mille ragazze compiacenti (duecentomila euro a testa, secondo i resoconti relativi ai famosi festini).
Sapete, ognuno usa la propria unità di misura...

sabato 9 luglio 2011

RIFLESSIONI SUL SENSO COMUNE

Oggi, parlerò di filosofia, una delle mie passioni, anche se non la coltivo adeguatamente. Inoltre, ritengo il blog un mezzo non ideale per parlare di tali argomenti, anche se devo ammettere che frequento almeno due bloggers (qui e qui), che hanno una straordinaria capacità di sintesi e chiarezza discorsiva tale da scrivere degli interessanti post di filosofia.
E' proprio da un post di uno di questi blogger che prende spunto questo mio post. In particolare, sono stato stimolato dal concetto di "senso comune", che per chi legge la fonte originale, sembra costituire il vero fondamento delle tesi lì esposte. Dirò anzi che se tale concetto non regge, rischia di conseguenza di crollare l'intero impianto del ragionamento lì sviluppato. Dato che la discussione richiede un certo approfondimento, ho optato, invece dell'inserire lì un commento, di provare ad intervenire con maggior dettaglio con un apposito post.
In verità, "senso comune" è un'espressione che oggi viene utilizzata in contesti differenti, ed apparentemente anche con significati differenti.
Senza pretendere di ripercorrere la storia di questo concetto, formulerò così l'ambiguità che io trovo insita in questa espressione.
Da una parte senso comune può significare ciò che significava per Aristotele, modelli di apprendimento, di funzionamento della nostra mente che così accosta questo concetto alle intuizioni pure ed alle categorie kantiane. Ancora per altri senso comune viene identificato come la tendenza spontanea a credere dell'esistenza in una realtà materiale ed alla esistenza di altri soggetti a noi simili.
Un significato profondamente differente è quello che lo identifica come un certo bagaglio di credenze condivise da una certa comunità.
Preferisco vedere le cose nella mia ottica, secondo cui nell'uomo si può identificare un aspetto naturale ed uno culturale. La differenza fondamentale sta nel fatto che la natura ci è data, sfugge al nostro controllo, costituisce quello che si indica come patrimonio genetico, mentre la cultura è quell'insieme di esperienze collettive che l'umanità ha accumulato nel corso della sua storia. Naturalmente, in ultima istanza, anche la cultura deriva dalla nostra natura, nel meccanismo stesso di sua costituzione. Ciò però non pregiudica l'utilità di operare questa distinzione.
Adesso, appare chiaro che l'ultimo tipo di definizione del senso comune comporta un coinvolgimento della cultura, mentre le prime due definizioni sembrano riferirsi a caratteristiche innate della nostra specie.
Ora, se il senso comune si riferisce al funzionamento della mente, e quindi ne traccia i limiti, allora esso si riferisce all'intero universo mentale, e conseguentemente riguarda qualsiasi tipo di sapere, filosofia inclusa. Conseguentemente, non avrebbe alcun senso considerare un'opposizione, o comunque una distinzione tra senso comune e filosofia.
Se invece senso comune si riferisce a una cultura di base condivisa, allora certamente tale distinzione è del tutto appropriata.
A questo punto però, una volta ammesso che il senso comune è legato a una specifica cultura, allora viene meno la sua universalità, esisteranno più tipi di senso comune.
Che senso ha allora riconoscerlo come un fondamento fermo nell'uomo? Così si finisce per svalutarlo, e sembra inevitabile declassarlo a una forma elementare, imperfetta di conoscenza, ricadendo così in una visione tradizionale che da' la supremazia al pensiero critico.
Se invece, come nel post che ho citato, si vuole operare una selezione all'interno del senso comune (emendarlo si dice lì), allora si capisce che il punto fondamentale smette di essere il senso comune, ma acquista rilevanza fino ad assumere il ruolo più importante, il criterio di selezione.
C'è, mi pare insomma, nell'intervento citato, una pretesa impossibile, quella di non accettare pedissequamente il senso comune, e nello stesso tempo considerare negativamente un coerente criterio di selezione.
C'è un ultimo elemento che volevo sottolineare: siamo certi che il senso comune nella sua accezione più ampia, in quanto cultura, non sia inevitabilmente anch'esso ideologico? Pensiamo davvero che le culture popolari siano esenti da elementi ideologici? Io mi spingerei fino a dire che forse proprio nel senso comune sta il massimo dell'ideologismo. Quando una certa teoria, filosofica, politica o religiosa riesce a trionfare, lascia tracce profonde nel pensiero comune, e talvolta queste tracce durano per un tempo lungo coinvolgimento molte generazioni e presentandosi così come tradizione.
La mia opinione è che l'uomo sia intrinsecamente ideologico, inevitabilmente ideologico, ma non vi trovo nulla di così negativo. I danni si hanno quando questa ideologia viene occultata, non vi è consapevolezza di essa, si finisce per far coincidere quella specifica ideologia come unico sistema di pensiero possibile: non sarà allora che proprio un malinteso senso comune costituisca il massimo rischio?

venerdì 8 luglio 2011

LA FINE DELL'IMPERO DI BERLUSCONI

Dopo la giornata di ieri, ci ritroviamo ormai in un clima da fine dell’impero, con la frammentazione sempre più evidente della maggioranza.

L’intervista di Berlusconi a Repubblica è molto illuminante, non v’è neanche la minima parvenza di politica, solo lo sfogo di un uomo che si è reso conto di essere finito come uomo politico, costretto a misurare i toni nei confronti di persone che invece nei suoi confronti non sono affatto così diplomatici. E’ costretto a blandire Calderoni con cui dice di avere un ottimo rapporto, quello stesso Calderoni, che ha dichiarato di essere pronto a mollarlo per lasciarlo ai suoi divertimenti, un riferimento chiaro ai festini ad Arcore.

Perfino nei confronti di Tremonti è molto cauto, una blanda critica ad aspetti caratteriali, ma nessun attacco frontale.

Chissà come sarà veramente andata sul famoso comma 23. Da parte mia, sono propenso a credere che stavolta Berlusconi non menta, che l’iniziativa non sia stata sua. Un ipotetico scenario potrebbe essere stato che Tremonti, forse con la motivazione di far digerire al suo Presidente la manovra economica, abbia proposto l’inserimento della norma. Si sarebbe in verità trattato di una pillola avvelenata: sapendo che la cosa avrebbe destato scalpore ritorcendosi sullo stesso beneficiario, e quindi danneggiandolo e danneggiando così lo stesso progetto che vedrebbe Alfano non solo neosegretario del PDL, ma anche suo successore a premier. Non è certo un mistero che su questa ipotesi non v’è certo convergenza unanime nello stesso PDL, visto che a questo ruolo punta lo stesso Tremonti, come altri, ad esempio Formigoni che lo ha anche dichiarato ufficialmente.

Stavolta però Berlusconi ha dato un colpo di coda, sconfitto sì, ma ancora abbastanza potente da colpire quello che oggi risulta il suo avversario più feroce, Tremonti appunto.

Da più di un anno, i giornalisti stimolano Tremonti ad uscire allo scoperto, dicendo che nessuno può candidarsi a premier senza entrare nell’agone della lotta per la successione. Tremonti è rimasto ben coperto, limitandosi ad un atteggiamento di silenzio, evitando sempre di solidarizzare con Berlusconi, un silenzio certo significativo ma nulla di più, e questa è stata la sua forza. Nel momento in cui ha voluto giocare un ruolo più attivo, ecco che viene coinvolto negli scandali, solo oggi sappiamo ad esempio dalla casa di cui disponeva a Roma: come spiegare simili coincidenze?

Insomma, tra i due è ormai guerra aperta, una guerra che Berlusconi non può vincere, ma che invece Tremonti può perdere, e lo scenario più probabile è appunto che questa possa essere il primo passo di un declino politico inarrestabile del potente ministro, malgrado la sua presenza nei club esclusivi della finanza internazionale.

Non v’è dubbio quindi che in Italia si sia creato, più che un buco, una voragine di potere. Berlusconi, privo ormai del consenso popolare ha finito la sua stagione, Tremonti ormai sfiorato da inchieste giudiziarie, difficilmente si salverà per il sostegno internazionale, un’opposizione latitante che vede come parte più incisiva un capopopolo come Di Pietro che perfino bisticcia con la grammatica. In questo vuoto assoluto, perfino gente come Scilipoti può costituire l’ago della bilancia, gente come Scajola, quello che è vittima di regali a lui ignoti, può proporsi come capetto del PDL, e gente come la Gelmini, la Prestigiacomo e Frattini possono puntare a giocare anch’essi un ruolo decisivo.

Al declino del faro Berlusconi, vi è un’agitazione scomposta di personaggi di second’ordine e di vere e proprie comparse, ognuno impegnato a garantirsi la propria sopravvivenza.

Un’ultima considerazione riguarda la dichiarazione contenuta nella stessa intervista, in cui Berlusconi esclude ogni ipotesi di riforma elettorale. Non è detto che andrà così, ma ciò testimonia il fatto che egli si metterà di traverso. Ci si potrebbe chiedere perché lo faccia, malgrado sappia di essere ormai finito politicamente. Io direi che sembrerebbe un regalo che egli ritiene doveroso sempre verso Alfano, l’unico, bisogna ammetterlo che non ha smesso di essergli fedele. Solo in uno schema bipolare, Alfano ha qualche chance di successo, solo obbligando mediante lo stesso meccanismo elettorale, la Lega ad allearsi a ciò che rimarrà del PDL, e solo se si mantiene l’esclusione delle preferenze, il segretario del PDL può mantenere il controllo degli inquieti parlamentari del proprio partito.

mercoledì 6 luglio 2011

IL BERLUSCONISMO DEL PD

E dunque, la giornata di ieri dovrebbe essere risultata preziosa per capire i veri problemi della politica italiana.

Come è ormai evidente, Berlusconi è stato scaricato dai suoi, non vi è stato nessuno tra i dirigenti del PDL, e men che mai lo stesso neosegretario Alfano, che abbia speso una singola parola per difendere il cosiddetto capo, ormai neanche più capo di sé stesso. Se perfino Ghedini sente il bisogno di dichiarare la sua estraneità alla norma salvaMondadori, se perfino il sottosegretario Bonaiuti tace, allora Berlusconi è davvero rimasto solo.

Contemporaneamente, la Lega annaspa sempre più, e uno come Scajola viene citato come una specie di salvatore del PDL, il centrodestra insomma è distrutto. In questo senso, siamo ancora in democrazia, è bastato un clamoroso insuccesso elettorale, includendovi ovviamente anche i referendum, per danneggiare gravemente l’attuale maggioranza, frammentandole e trasformandola ormai in un ammasso di gangs l’una in lotta con tutte le altre.

Questa è però solo la prima notizia, quella che potremmo considerare positiva, l’altra invece purtroppo conferma lo stato comatoso dell’attuale opposizione. In particolare, il PD ancora una volta ha mostrato l’indecifrabilità dei suoi percorsi decisionali, avvalorando sempre di più la tesi della loro natura extraistituzionale.

Di fronte all’ipotesi concreta di liberarsi delle province, di eliminare una delle voci più consistenti di costi della politica, il PD si è ritratto astenendosi e determinando così la bocciatura di quel fondamentale primo articolo. Bersani blatera di un proprio progetto, di aggregare province differenti (questa poi sembra davvero l’ipotesi più strampalata…), ma rimane il fatto che le idee non le hanno così chiare se la Bindi ed altri avevano anticipato la loro volontà di votare l’articolo, e se sono state necessarie quattro lunghe ore di riunione per optare per l’astensione.

Argutamente, un giornalista faceva notare come sia proprio un’aggregazione trasversale di partiti che governano circa il 90% delle province, ad avere determinato la bocciatura: a parole si denuncia la voragine costituita dai costi della politica, ma nei fatti la si difende, difendendo così sé stessi, con una logica abbastanza simile a quella che aveva spinto Berlusconi ad inserire la norma contestata che lo salvava.

Siamo così arrivati al punto: la maggioranza è sempre più debole e divisa, ma l’opposizione non sta meglio, divisa anch’essa al proprio interno, e priva di una propria linea politica. Come sarà riempito questo vuoto, è la questione centrale del futuro prossimo della politica.

lunedì 4 luglio 2011

RIDURRE O RINVIARE LE PENSIONI?

Ridurre le pensioni è sempre una brutta cosa. E’ brutta, anche se la riduzione non avviene in termini nominali, ma giocando sul fattore inflativo, e cioè riducendo la dinamica di adeguamento al costo della vita.

Eppure, non posso egualmente condividere la marea di critiche che ha sommerso il governo per la proposta avanzata dal governo di intervento sulle pensioni.

Io mi chiedo se in un paese in cui un lavoratore a tempo pieno, a maggior ragione se precario, può ricevere uno stipendio lordo ben inferiore ai mille euro mensili, magari addirittura ottocento, senza sentire sollevare critiche feroci e perentorie, ci si debba ribellare in maniera così massiccia a una riduzione che per una pensione di millecinquecento euro ammonterebbe ad otto euro.

Certamente, si può discutere di come graduare la riduzione nell’adeguamento all’aumento del costo della vita in funzione dell’ammontare della pensione, forse sessanta euro per una pensione di duemila euro (lorde), sono troppi. Il principio però lo condivido.

Ho già scritto in proposito sull’argomento. Hop sempre avuto un netto atteggiamento critico per le politiche che, per ridurre la spesa previdenziale, hanno puntato sullo spostamento in avanti dell’età pensionabile. Checchè se ne dica, con argomenti sostanzialmente statistici, se si mandano in pensione più tardi gli attuali occupati, si ritarda conseguentemente l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani. Ciò di cui parlo non è un’ipotesi teorica, recentemente sono stati diffusi i dati sulla disoccupazione giovanile che mostrano tassi altissimi, davvero preoccupanti, e che dovrebbero costituire la prima preoccupazione di qualsiasi governo, indipendentemente dal suo colore politico. Se una logica esistesse all’interno del mondo della politica, sarebbe ovvio a tutti che non v’è alcun vantaggio a costringere una persona anche superiore ai sessantacinque anni (si parla ora insistentemente di sessantasette anni) a lavorare mentre il proprio figlio o nipote è costretto ad età che si aggirano sui trenta anni ad oziare.

Veniamo quindi da un recente passato (la prima riforma fiscale di questo periodo è quella del 1995) che ha puntato tutto sullo spostamento in avanti dell’età pensionabile, in base al principio non privo di una sua logica del concomitante aumento dell’aspettativa di vita.

Malgrado nessuno voglia ignorare questo dato, è proprio la politica che dovrebbe stabilire la priorità degli obiettivi, e per me come dicevo il primo obiettivo dovrebbe consistere nel garantire una ragionevole probabilità ai giovani di essere assunti ad un’età post-scolare.

In quest’ottica, dicevo già allora che sarebbe meno peggio ridurre l’importo delle pensioni, ma garantire comunque il ricambio nei posti di lavoro. La strada di una rivalutazione sempre meno adeguata al costo della vita potrebbe costituire uno degli elementi portanti di questa riduzione: magari, quando vai in pensione, avrai un importo più vicino a quello di quando lavoravi, e poi man mano la collettività ti garantisce una copertura un po’ più ridotta. Tra l’altro, l’aspettativa di vita rischia di essere come il famoso pollo: una cosa è il pollo mediamente mangiato dall’intero campione, una cosa è quanto il singolo individuo ne mangia. Allo stesso modo, ci sarà magari chi muore l’anno successivo a quando va in pensione e chi vivrà, per sua fortuna, per trent’anni e più, e il costo va certo ripartito su tutti, ma non trovo affatto iniquo che chi più vive, debba pesare sempre meno sulla collettività.

Precedentemente, sono anche intervenuto sui costi della sanità che è un argomento a questo strettamente correlato. Anche qui, bisogna porsi sempre la questione delle priorità, e di come eccessive spese mediche, in gran parte destinate alla fascia più anziana della popolazione, rendano difficile reperire risorse per altre destinazioni, ed in particolare per i giovani.

A mio parere, esiste un problema generazionale enorme, questa società così sbilanciata numericamente verso la fascia più anziana, ha finito per dimenticare i più giovani, sempre meno numerosi e per ciò stesso sempre meno influenti. Questo criterio puramente numerico che si rivela magari decisivo nel momento del consenso elettorale, ci sta portando al suicidio collettivo, perché ignorare i più giovani, non assumersi la responsabilità del passaggio di testimone, è una forma di suicidio collettivo: senza giovani, senza il loro decisivo contributo, non si va da nessuna parte.

Chiarisco infine che dubito che Tremonti, nello scrivere il provvedimento, si sia poste queste problematiche. Ciò, tuttavia, non ci esenta dall’affrontarle almeno noi, nel riconoscere che uno spostamento di reddito dai più anziani, comunque più abbienti, ai più giovani, è un atto necessario. Mi rendo ben conto che ben altri sono i problemi di distribuzione del reddito che dovremmo affrontare, e magari potrei anche convenire anch’io sul bocciare questo provvedimento: peccato però che non abbia visto un simile sollevarsi di scudi per quanto riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile, che riterrei un provvedimento ben più grave di questo.

domenica 3 luglio 2011

I TAGLI LINEARI: QUALE L'ALTERNATIVA?

Davvero la politica in Italia è andata in vacanza, e non questione stagionale, si parla ormai di decenni.
Prendo spunto da un articolo su "La stampa" dell'ottimo Ricolfi. Si tratta di uno studioso, di una persona preparata e che si cura di documentare le cose che scrive, e non vi dovrebbe essere dubbio alcuno che si tratti di persona intelligente.
Ebbene, ciò che scrive è disarmante, ci dice come quella che dovrebbe essere la classe dirigente di questo paese è ormai sotto una cappa ideologica pesantissima che ne obnubila pesantemente le capacità di interpretare i fatti.
Nell'articolo, ci si riferisce appunto alla questione della riduzione delle spese a carico del bilancio statale. Cosa abbia fatto Tremonti in questi anni è a tutti noto, ha praticato la cosiddetta politica dei tagli lineari. In verità, bisognerebbe anche aggiungere che egli non è stato poi così coerente, e qui e lì ha risparmiato qualche settore da tali tagli. Non vi è comunque dubbio alcuno che per la gran parte, ha dato sforbiciate proporzionali all'entità della spesa di ciascun settore.
Ora, Ricolfi condivide questa analisi, ma apparentemente ha una sua personale visione di quale sarebbe l'alternativa. Se si trattasse di proporre una specifica alternativa di tagli, questa ovviamente sarebbe la benvenuta, ma il punto è un altro, che apparentemente Ricolfi ha equivocato sulla natura stessa della critica a Tremonti.
Se avete la pazienza di leggere l'articolo, vedrete che Ricolfi ritiene che l'alternativa ai tagli lineari sia una migliore efficienza della spesa pubblica. In sostanza, bisognerebbe studiare su come minimizzare gli sprechi. Sembra un buon proposito: chi potrebbe non desiderare di eliminare gli sprechi?
Il fatto è che gli sprechi, è duro ammetterlo, sono inevitabili. D'accordo, è certamente necessario ridurli il più possibile, ma è similmente necessario sapere che sprechi ne resteranno.
Il punto però che volevo sottolineare è che Ricolfi ignora del tutto la vera natura delle critiche ai tagli lineari, così declassando tale critica a una pura questione tecnica, appunto quella riguardante la minimizzazione degli sprechi.
La reale alternativa ai tagli lineari è, detto con una sola parola, la politica. Ciò che insomma si dovrebbe rimprovarare a Tremonti è la mancata scelta dei settori da privilegiare. Altri paesi, ad esempio la Francia, non solo non ha coinvolto il settore dell'istruzione nei tagli, ma addirittura ha ritenuto di doverne addirittura aumentare il relativo capitolo di spesa, proprio come misura efficace per fronteggiare la crisi.
La politica, la sua supremazia su tutto il resto, a partire dall'economia, sta proprio in questo, nello scegliere, nel valutare cosa sia desiderabile e cosa non lo sia per la nazione. Senza giungere al punto da entrare nel merito sulla stessa opportunità di tagli, come pure io credo sia doveroso, si deve sempre scegliere, ad esempio se favorire la produzione di autobus o di autovetture, se investire in grandi infrastrutture con grande impatto ambientale, o magari in libri ed insegnanti, se favorire la crescita del PIL o la crescita dell'occupazione: è questa la politica, sennò basterebbe un ragioniere, magari più preparato, se come ritiene Ricolfi, il primo obiettivo è la riduzione degli sprechi. Dal mio punto di osservazione, vi dico che la pesante riduzione di stanziamenti all'Università come pure in genere ai fondi destinati alla ricerca scientifica, ha devastato questi settori, paradossalmente non incrementando l'efficienza, ma riducendola, almeno fin quando ricercatori e docenti non saranno licenziati: tuttora stipendiati, ma impossibilitati a svolgere il proprio ruolo istituzionale nerlla maniera migliore perchè privi di adeguati supporti didattici, come, soprattutto, di fondi con cui svolgere attività di ricerca.