martedì 31 maggio 2011

STESSA POLITICA NEL DOPO-BERLUSCONI

Innanzitutto, alcune note di analisi delle votazioni, la diagnosi cioè della situazione.

Checchè ne dicano i diretti interessati, per tutta la maggioranza parlamentare di destra, si è trattato di una frana vera e propria.

Anche se costoro si aggrappano al risultato di due settimane fa, l’unico che riguardi specificamente le singole liste elettorali, è evidente a tutti che in queste due settimane è cambiato tutto: non è che i risultati dei ballottaggi siano rimasti sulla scia dei risultati del 15 -16 maggio, quella che appariva come un’erosione di consensi nel centrodestra, oggi si è trasformata in una frana, e quindi i voti attribuiti alle liste sono già oggi vecchi, non sufficientemente aggiornati.

E’ una frana, a mio parere, destinata ad ampliarsi, soprattutto al sud dove, fatta eccezione per il clamoroso caso di Napoli, questa frana non si vede ancora, ma conosco bene i miei polli, qui al sud l’ossequio a chi ha successo è enorme, e state certi che il sud seguirà, confermerà non appena ne avrà occasione questo andamento.

La ragione di tutto ciò d’altra parte è del tutto comprensibile: Berlusconi ha fatto del suo successo la sua carta vincente, è l’uomo destinato a compiere miracoli, ha costruito un impero finanziario, ha fatto sorgere dal nulla un partito che ha poi rifondato, si da’ l’aria di un grande macho, e insomma la gente è abbastanza credulona dal cadere nel tranello ed attribuirgli capacità taumaturgiche.

Non basta che le sue promesse vadano sistematicamente deluse, che egli menta come atteggiamento sistematico, gli hanno creduto perché l’uomo ama identificarsi con i potenti, sta nella natura umana, bisogna farsene una ragione.

Una sola cosa non può però fare, smettere di compiere miracoli, e il suo clamoroso ed indiscutibile insuccesso elettorale gli toglie ogni fascino, Berlusconi, checché ne dicano numerosi commentatori politici, è un uomo politicamente finito.

Qualunque tentativo di paragone con situazioni passate è assolutamente fuori luogo, il fondo della botte è stato raschiato, come dimostra il fatto che da re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava, si è trasformato in creatore di sterco, lì dove interviene, distrugge consensi invece di crearli.

Era ora che ci liberassimo di tale mediocre personaggio, di questo anziano signore con ossessioni di ogni tipo, di questo patetico buffone: come sorte personale, credo che l’esilio dorato da qualche parte sia il destino per cui dovrebbe optare.

Arriviamo così al dopo-Berlusconi, e come ci appare questo dopo-Berlusconi?

Mi pare che a questo punto, l’anomalia italiana sia bella e finita, siamo un perfetto paese europeo. Non ci facciamo mancare il nostro bravo partito xenofobo (la Lega, ovviamente), come tutti i paesi europei che si rispettino, non ci manca il nostro bravo partito post-socialdemocratico, il PD naturalmente, con il suo mediocre ceto politico inciucione ed inconcludente, si farà in modi ancora ignoti un bel classico partito popolare, cioè di destra moderata, magari sotto la guida di quel furbastro di Casini. Che dire, l’entusiasmo trasuda dalle mie parole, vero?

Almeno un risultato l’avremo comunque ottenuto: invece di guardare all’Europa come il modello sognato e quindi da perseguire, potremo finalmente smettere di occuparci di buffoni e dei loro penosi circoli, e vedere finalmente la miseria politica estrema di questa Europa, la vedremo presto anche qui da noi, con le facce esteticamente gradevoli del Bersani di turno, a perseguire politiche neoliberiste, ma invece di vestire la faccia presuntuosa e saccente di Tremonti che pretende di averci salvato da non so che cosa, avremo il Visco di turno che farà la stessa identica politica economica, ma con la faccia severa e solidale del medico che ci somministra la medicina ahimè necessaria per la nostra sopravvivenza.

Il punto è proprio questo, il mondo è davvero piccolo ai nostri giorni, e i circoli del potere non conoscono confini nazionali, la politica oggi è una soltanto perché la ferrea e totalizzante ideologia in cui siamo immersi non ammette politiche differenti.

Rimane da chiarire quali dinamiche si potranno avviare nelle prossime settimane, ne riparleremo presto.

domenica 29 maggio 2011

LA NECESSITA' DEL PROTEZIONISMO OGGI

Viviamo in un mondo globalizzato. Ma concretamente, cosa intendiamo con questa espressione?
Intendiamo semplicemente che il mercato delle merci come quello dei titoli è un unico mercato, questa è la globalizzazione, nulla di meno, nulla di più.
E' vero, anche l'informazione è globalizzata, il che implica anche una concomitante omogeinizzazione culturale. A me pare tuttavia che tale globalizzazione culturale sia esclusivamente funzione della prima, che in fondo a chi detiene i grandi mezzi di comunicazione non importi specificamente che si diffonda una cultura magari costruita a tavolino.
Non dico che non sia vantaggioso per i grandi capitalisti che popoli differenti siano tutti succubi di una mentalità del libero scambio, dico piuttosto che questo è un processo automatico, che bastano i piccoli interessi nazionali per ottenere questo effetto, e del resto nessuno, neanche l'uomo più potente del mondo è immune da questo clima culturale. Al contrario dei marxisti, sono invece convinto che la cosa più importante sia ciò che gli uomini hanno nella propria testa, e tutto il resto segue, voglio solo dire che i potenti della terra sono uomini anche loro, e quindi inevitabilmente vittime della loro stessa cultura.
Se quindi questa è la globalizzazione, mi pare che ci siano ragioni a sufficienza per opporvisi. Il mercato unico, infatti, pone le economie nazionali di fronte alle sfide della concorrenza più spietata, e impedisce a specifiche nazioni di opporsi alla diffusione degli oggetti più impensati ed inutili, alla valutazione delle politiche sulla esclusiva base quantitativa del PIL.
Mi pare insomma che, una volta accettato il mercato unico, si decreti automaticamente la fine della politica perchè l'atto politico fondamentale si è già compiuto, e il resto seguirà inevitabilmente.
Così, solo recentemente, sono pervenuto alla conclusione che sia necessario per ogni nazione, proprio alla scopo di difendere la propria sovranità, ergere delle barriere doganali, rifiutare questo mercato unico e la sua logica totalizzante.
Forse qualcuno mi taccierà di nazionalismo, ma il punto è un altro. Io dico, definiamo un livello di espressione delle decisioni, qualunque esso sia. Finora, il mondo è stato organizzato in nazioni: vogliamo fare una scelta differente? Facciamola, ma certo è inaccettabile che le decisioni vengano asunte al di fuori di qualunque contesto istituzionale.
Un'obiezione seria potrebbe essere collegata a come un popolo possa decidere di isolarsi, del pericolo che per questa via si voglia preservare un privilegio escludendone altri uomini.
Ecco, dirò subito che le barriere dovrebbero riguardare le merci non le persone.
Invero, uscire dal mercato unico mondiale, non può che tradursi in una ridotta disponibilità di merci (accompagnata da una concomitante disponibilità di lavoro), in una riduzione quindi della ricchezza come viene convenzionalmente misurata. Ebbene, se ci sono persone che ambiscono vivere secondo una tale prospettiva, non vedo perchè le dovrebbe essere impedito.

giovedì 26 maggio 2011

BERLUSCONI, UN UOMO PICCOLO PICCOLO

Così, in questi giorni, pare concludersi la parabola dell’attuale premier, che ormai è preda del terrore di avere esaurito il carburante che lo ha tenuto alla guida della nazione per così tanto tempo.

Si sa, la tempra di un uomo si vede appunto nei momenti di emergenza, nella difficoltà, perché nei momenti di gloria tutti sanno recitare la loro parte.

E cosa dobbiamo sentire da questo uomo mediocre che deve il suo successo alla sua mediocrità? Che la colpa dell’andamento negativo delle elezioni amministrative va attribuita ai candidati.

Una mossa di una meschinità estrema, di un pavido che non sa far fronte minimamente alle sue responsabilità.

Come prima osservazione, bisognerebbe ricordagli che, come capo, la scelta delle candidature è sua opera.

Ben più importante, sarebbe notare che è stato lui che ha dato alla campagna elettorale un significato nazionale, non solo declamandolo ufficialmente, ma anche con i suoi atti, questo suo volere porsi alla testa della campagna elettorale col suo mantra sui giudici e con tutta la sequela di sciocchezze, di promesse da quatrtro soldi che ha dispensato a piene mani.

Ciò che colpisce più di tutto è questa sua totale incapacità di capire che il suo triviale charm si è concluso, che non basta tentare di scaricare su altri le responsabilità per togliere al voto espresso alcuni giorni fa quel valore simbolico di svolta, di fine di uno scellerato vincolo con la parte meno qualificata dell’elettorato.

Il suo pensionamento è ormai stato chiaramente proclamato dalla Lega, nel momento stesso in cui si dichiara disponibile per una riforma elettorale che, tradotto in altri termini, significa che la Lega si chiama fuori, e vuole presentarsi da sola, e quindi opta clamorosamente per il sistema proporzionale.

Ciò che in queste ore avviene all’interno del PDL è in tale contesto meno importante, è solo la propagazione dell’onda d’urto della decisione leghista.

Personalmente, ritengo il PDL un partito di pusillanimi raccatati alla meno peggio da Berlusconi dove capitava, e il cui maggiore, se non unico, titolo di merito sta nella fedeltà cieca al capo.

La formazione di gruppi e gruppetti che si fronteggiano nel PDL è stata stimolata dallo stesso capo, con una rischiosa tattica che serviva a neutralizzarne la potenziale carica verso la sua persona, sempre fuori da queste contese in virtù della sua posizione di capo indiscusso. Appena qualche potenziale candidato raggiungeva una massa critica che poteva minimamente mettere a rischio il suo ruolo di capo indiscusso, la formazione di un altro gruppo avversario del precedente si formava, ed era agevole svolgere il ruolo di capo fuori dalle contese di parte.

Ora che il suo ruolo finisce per una motivazione oggettiva, che cioè non è più in grado di attirare i consensi, questa stessa tattica gli si ritorca contro, accelerando la sua caduta.

In sostanza, oggi sta alla Lega stabilire la data della fine della legislatura, il PDL, e non soltanto Berlusconi, è diventato del tutto ininfluente.

Che poi anche nella Lega si possano creare fratture interne, questo non si può certo escludere, ma la struttura “leninista” di quel partito rende pressoché impossibile scorgere chiari segnali in questa direzione.

La fine di berlusconi segna per l’Italia la fine di un’epoca, di un’anomalia italiana rispetto al resto dell’Europa.

Il punto è che la fine di Berlusconi è solo l’inizio della riproposizione dei soliti problemi, quelli che riguardano la sinistra, quella più prossima alla socialdemocrazia europea.

Presto, dimenticando il completo fallimento di Zapatero, dei laburisti inglesi della socialdemocrazia tedesca, dei socialisti francesi, di un po’ tutta la classe politica socialdemocratica, l’Europa tornerà ad essere agitata come un modello da seguire da D’Alema e company, di tutti quei dirigenti che il PD non riesce proprio a sbaraccare.

Forse morirà il berlusconismo, ma chi ci salverà dal dalemismo?

martedì 24 maggio 2011

LIBERISMO E DOGMATISMO IN EUROPA

Sempre più l’idiozia domina sulla politica, in primis sulla politica europea.

Dobbiamo necessariamente iniziare dalla politica economica, sia perché l’Europa ha deciso di costruire sé stessa sull’euro, sia perché la politica si è ritratta, lasciando campo libero al dominio dell’economia.

Dunque, due agenzie di rating mantengono un giudizio positivo sull’Italia, ed una terza invece declassa in una certa misura il nostro paese. Ci troviamo quindi in presenza di giudizi differenti su uno stesso oggetto. Non sarebbe logico parlare di questo in prima battuta?

E invece i dirigenti politici dell’opposizione, pur di colpire il governo, sposano subito il giudizio di S&P’s, senza tentare neanche di fare una disamina critica della situazione.

Allo stesso modo, Tremonti cita sì le divergenze di opinione, ma soltanto per uscire dall’imbarazzo della sonora bocciatura ricevuta.

Ciò di cui invece a mio parere bisognerebbe discutere è del fatto in sé, di come insomma sia conciliabile l’esistenza di giudizi così diversificati senza che venga in crisi la stessa validità di tali giudizi. Si potrebbe dire: chi giudica questi giudici?

Sembrerebbe un’osservazione ovvia, perfino banale. Se ne dovrebbe dedurre che se tutto un mondo politico europeo non è neanche in grado di porsi domande ovvie, ciò è dovuto a un atteggiamento iperideologico che ormai si è consolidato in Europa, impedendoci di mettere in dubbio ciò che si mette in dubbio da sé stesso, perché se questi dubbi si manifestassero pienamente, la conseguenza sarebbe quella di un crollo di un sistema di certezze su cui poggiamo, e che quindi costituiscono dei dogmi intoccabili a cui rischiamo giorno per giorno di impiccarci.

La mia lettura è differente, il dissenso tra le agenzie di rating sta sempre in quel sistema di solidarietà di interessi a livello mondiale che io più volte definito affaristico-mafioso.

Qualcosa non è piaciuto a S&P’s nella ripartizione dei poteri esistente, e così ha attaccato l’Italia, e naturalmente gli amici di Tremonti hanno difeso il loro sodale, questa mi sembra la versione più credibile della faccenda.

Il risultato ad ogni modo è che i Greci, e probabilmente non solo loro, rischiano di pagare con danni gravissimi un sistema sbagliato in sé, tanto sbagliato che non è possibile trovare una decente via di uscita rimanendo nel sistema, e che pertanto richiederebbe un cambiamento di sistema, innanzitutto di sistema di pensiero.

Che i cittadini europei stiano pagando un prezzo altissimo a questa situazione, lo si capisce dalle proteste crescenti che in questo ultimo anno hanno coinvolto la Grecia, l’Italia, la Spagna e tante altre nazioni europee, e così pure dall’avanzata impetuosa della peggiore destra xenofoba in paesi come quelli nordici dove nessuno credo se lo sarebbe aspettato.

Ciò che preoccupa in tutto ciò è la manifesta incapacità dei dirigenti europei a fornire una risposta adeguata a problemi di questa portata. Stiamo ancora a baloccarci su come aumentare la competitività, su come mettere in ordine i conti pubblici sacrificando i più poveri naturalmente, su come insomma essere i più liberisti del mondo.

In un precedente post, facevo l’esempio del medico che, di fronte alla mancata guarigione di una malattia con la cura adottata, invece di mettere in dubbio la propria diagnosi, seguita la stessa cura aumentando via via le dosi: l’esito non potrà essere altro che la morte stessa del paziente.

Questo giudizio così severo sulla classe politica europea viene peraltro condiviso dal premio nobel Sen, che è un liberale, anche se alquanto anomalo. E’ un fatto, siamo in mano a dei pavidi idioti che, essendo privi di idee, di prospettive di una certa lungimiranza, navigano a vista, barcamenandosi alla meno peggio, succubi ormai della prima finanziaria di passaggio, in cui l’unica vera autorità transnazionale è costituita dalla BCE, ed anche questa non fa altro che obbedire ad ordini provenienti dall’esterno.

Questa, mi parrebbe ovvio giungere a questa conclusione, non è più democrazia, di democrazia non è rimasto che un vago simulacro.

Qui in Italia siamo così presi dalle bizze ridicole di un uomo ridicolo, che non riusciamo a scorgere quanto l’Europa ci somigli.

Epperò, ci sono i diritti civili. Peccato che la tematica dei diritti civili è ormai diventata una specie di cavallo di Troia, con cui perpetuare questa carenza di democrazia che vedo in giro per l’Europa.

E’ un tema troppo grosso da affrontare adeguatamente in un breve post.

Guardiamolo allora da un punto di vista particolare, non generale.

Partiamo dalle associazioni per la tutela dei consumatori, una moda che proviene dagli USA e che si è propagata a macchia d’olio sull’intera Europa, Italia compresa.

La stessa esistenza di tali associazioni presuppone una concezione della democrazia che non posso condividere.

Essa presuppone un arretramento dello stato che, sorto secondo un’opinione apparentemente ampiamente condivisa, per difendere il debole dal forte, smette di esercitare tale ruolo, e dice al consumatore di associarsi per difendersi dai soprusi dei potenti.

Così però, si nega l’esistenza stessa dello stato: è vero, io cittadino debole, posso provare a diventare più forte associandomi con altri soggetti deboli, ma lo stato allora dove è finito?

Se posso difendermi come consumatore, cosa esclude che una popolazione possa costituire bande armate per difendersi ad esempio dalla violenza mafiosa?

Lo stato non solo deve avere il monopolio della violenza, ma deve a tutti i livelli costituire il soggetto che garantisce il singolo individuo.

La realtà già esistente ci mostra invece un lobbismo ormai galoppante, e cioè anche i diritti, che perfino lo stato liberale dichiara di volere prioritariamente tutelare, richiedono una capacità di costituire massa critica.

Un recente dibattito mostra appunto quanto sia importante imporre un certo schema ideologico che si difende alla morte, badate, non con argomentazioni più o meno logiche e convincenti, ma richiamando alla fine l’autorità indiscussa di comitati e commissioni internazionali, assunti, proprio in quanto tali, come portatori di una verità indiscutibile.

Il dogmatismo aconfessionale impera ormai in Europa, e ci vuole ben altro che un certo ribellismo improvvisato per uscire dalle tenebre in cui ormai una classe politica imbelle ed imbecille c’ha trascinato.

domenica 22 maggio 2011

IL RIBELLISMO NON BASTA

E adesso abbiamo gli indignati spagnoli, subito imitati dagli indignati italiani.
Prima, abbiamo avuto il popolo viola, il popolo del web.
Nello stesso tempo, anche nelle urne gli orientamenti politici sembrano mostrare una sostanziale variazione.
Ecco, direi che adesso la mia tesi che il problema di un movimento politico non è il consenso, che la gente odia e disprezza questo ceto politico, e lo fa anche rispetto alle star di una certa sinistra, tipo Zapatero, ha una certa conferma sperimentale.
Dobbiamo convincercene, la gente vuole cambiare, e questo vale per tutta l'Europa. Non facciamoci ingannare dall'avanzamento dei partiti populisti e xenofobi, anche questa avanzata è il segno di un palese disagio, della rottura di un rappporto di fiducia verso la classe politica europea, tutta in fondo confinata per la sua stragrande parte tra socialdemocrazia e destra moderata.
Insomma, la gente non chiede altro che politici che li possano rappresentare, dove rappresentare non può saignificare dire le stesse cose che essi dicono (per questo basterebbe un megafono), ma che proprio in quanto politici ne interpretino le ansie ed esigenze e soprattutto siano in grado di elaborare proposte adeguate e di dare loro visibilità.
Ed è proprio qui che casca l'asino, qui si vede come ci sia una colossale crisi della classe dirigente. E questa crisi è tanto più grave in quanto non riguarda soltanto l'attuale: ciòè evidente a tutti. No, il problema riguarda anche la mancanza di una classe dirigente alternativa.
Il ribellismo c'è perchè il disagio è evidente, ma il senso di disagio in sè non porta da nessuna parte.
Anche lì dove si è prodotta una certa elaborazione che ha permesso di definire alcune cose che non vanno in questa società, questa elaborazione ha portato a certi stili di vita alternativi all'interno della nostra stessa società, una sorta di casematte dove si pratica certi stili di vita alternativi: valga per tutti, i gruppi per la decrescita, che già oggi praticano l'autoproduzione e il baratto.
Questa però non può rappresentare un'alternativa politica perchè non si confronta ciol problema del potere, e perchè quegli stessi stili divita così come sono oggi praticati non potrebbero in alcun modo essere generalizzati, si nutrono del fatto che gli altri non li praticano.
E' proprio in campo p0olitico che si misura un deficit di elaborazione, che sostanzialmente vede solo due filoni che mostrano un'elaborazione compiuta, da una parte il liberalismo, che poi è quello trionfante, e dall'altyra il marxismo, che però vive una crisi a livello di consenso, e che comunque è sempre vissuto con divisioni enormi al proprio interno, vedendo tipi di elaborazione totalmente differenti, tanto da far diventare ardua la stessa definizione di marxismo (per non citare la divisione tra marxisti e marxiani).
La mia opinione, che certo non tenterò neanche di argomentare qui, è che si tratta di due teorie che hanno fatto il loro tempo, nate in un contesto storico del tutto differente, non in grado pertanto nè l'una nè l'altra di confrontarsi con le sfide che lo stesso sviluppo tecnologico ci pone, per dirla con un'espressione generica ma credo comunque comprensibile.
Oggi, la sfida ambientale è necessariamente quella prioritaria, tanto prioritaria da non potere essere sistemata alla meno peggio su teorie sviluppate quando queste problematiche neanche esistevano.
Senza false modestie, penso di avere elaborato nel mio libro alcuni punti che possono costituire passi significativi verso l'elaborazione di una nuova teoria politica, ma la sordità degli ambienti culturali non ha permesso una loro visibilità.
C'è indubbiamente un'inerzia complessiva che lavora per la continuità, e che finora non ha consentito una tale visibilità alle mie tesi, da riuscire a coagulare un gruppo di persone, possibilmente giovani, che le condividessero e le traducessero in prassi politica.
Ad ogni modo, questa rimane la sfida della parte di vita, più o meno lunga, che ancora mi rimane: peccato che io non sia abbastanza ambizioso :)

mercoledì 18 maggio 2011

ANALISI DEL VOTO. SECONDA PARTE

Vediamo adesso i risultati dal punto di vista del centrosinistra.
Non mi occuperò del Movimento 5 stelle che, per sua stessa ammissione si tiene fuori dai due schieramenti opposti, e di cui basta dire che ha conseguito un grande successo, soprattutto nei centri più grandi. Evidentemente, puntano a svolgere un ruolo di testimonianza e denuncia di cui possiamo essere loro grati.
Partiamo dunque dalla Federazione della sinistra, che, pur non conseguendo certo un grande risultato, ha comunque dimostrato di esistere, di non essere inevitabilmente condannata a una più o meno lenta estinzione. Questo è un dato di una certa rilevanza riguardo a possibili distinte ipotesi di aggregazioni in occasione delle prossime elezioni politiche, soprattutto se dovessero tenersi presto, il che non è da escludere.
Il dato di SEL non appare entusiasmante. Ciò che si osserva è la fragilità di questa formazione politica, in grado sì di sostenere con successo candidature di valore, ma che non riesce ad attrarre un numero adeguato di consensi come formazione politica vera e propria: si potrebbe dire un risultato con luce ed ombre.
L'IDV consegue un risultato di grande successo a Napoli, imponendo il proprio candidato che riesce a sorpassare il candidato PD, appopggiato anche da SEL, ma complessivamente arretra significativamente rispetto a precedenti consultazioni.
E' anche opportuno aggiungere che è una caratteristica nota che le formazioni minori tendano a soffrire nelle consultazioni amministrative, e che quindi è ragionevole credere che in elezioni nazionali queste conseguirebbero un risultato migliore.
Ed andiamo adesso al PD, la cui dirigenza non finisce mai di sorprendermi. Dunque, la dichiarazione a caldo di Bersani è da lasciare di stucco, il PD si considera il vero vincitore perchè, udite udite, il centrosinistra avanza e quindi, visto che il PD ne è il pezzo più grosso, il motore dice lui, è il PD il vero vincitore.
Naturalmente, si tratta di una frase priva di senso compiuto, ma serve per coprire un risultato per nulla esaltante. Il PD a livello nazionale si attesta su un 27-28%, e questo valore corrisponde a un arresto della decrescita, non a una ripresa. Anche analizzando le singole realtà, il bilancio non può considerarsi esaltante. Se prescindiamo dal risultato di Torino che sembrerebbe costituire un'eccezione anche questa da analizzare con attenzione, a Milano il risultato sicuramente positivo è stato ottenuto con un candidato imposto dal voto delle primarie, che riesce anche ad ottenere, oltre che una percentuale notevole di voti sulla propria personale lista, più voti percentuali rispetto alal somma dei consensi alle singole liste che lo appoggiavano.
Lupi, nella conferenza stampa di ieri, ha penosamente vaneggiato su questo argomento, affermando che, visto che il totale dei voti ai candidati è differente del totale dei voti alle liste, non sarebbe possibile confrontarli: sarebbe ovviamente errato confrontarli in valore assoluto, ma non v'è alcuna ragione per non considerare significativo un confronto tra percentuali, che appunto prescindono dal totale (sono calcolate proprio a questo scopo).
Anche a Bologna, il risultato personale di Merola non è certo gratificante, avendo raccolto una percentuale di voti molto più bassa della somma dei consensi alle relative liste di sostegno, ancora una volta mostrando come il PD non riesca ad esprimere candidature forti e convincenti.
La vera debalce il PD però la subisce a Napoli, dove vede il proprio candidato surclassato da De Magistris, mentre il consenso alla propria lista crolla.
Come andrà a finire? Credo che oggi più che mai il terzo polo, a meno di scegliere di suicidarsi, non possa accettare di presentarsi con il centrosinistra. A questo puynto, non resta al PD che imboccare decisamente la strada dell'alleanza a sinistra. Ho la vaga impressione, dai toni particolarmente cauti usati da Vendola in questi ultimi giorni, che le candidature a premier in caso di elezioni politiche siano già state concordate, e che Vendola abbia infine accettato di lasciare via libera a Bersani, sicuramente in cambio di un ruolo di primissimo piano poer Vendola stesso.
Se questo accordo ci fosse, significherebbe nella sostanza l'ingresso di Vendola nel PD, e non so se ciò rafforzerebbe quel partito o porterebbe al contrario ad una sua implosione.
Rimango dell'opinione già espressa in precedenti occasioni che il PD sia costretto a sparire, e che sarebbe un gran bene per l'Italia se ciò avvenisse al più presto. Che sparisca il PD non significa ovviamente che spariscano gli elettori PD, ma esi si dividerebbero tra un centro moderato e una sinistra che non si vergogni di chiamarsi tale.
Infine, sarebbe utile considerare come la crisi del PDL renda anch'essa più debole il PD, almeno nel senso del significato della sua esistenza. Berlusconi è il vero artefice del bipolarismo all'italiana: se sparisce lui, sparisce ogni forma di bipolarismo, perchè non sivede a tuttoggi con che altro bipolarismo sostituirlo.
Questo è comunque un discorso futuribile, ad oggi siamo ancora in attesa dei risultati dei ballottaggi: fino ad allora, state certi che nessuno scoprirà le proprie carte.

martedì 17 maggio 2011

ANALISI DEL VOTO. PRIMA PARTE

Una prima analisi dei risultato del voto per le amministrative: ci sarà occasione per ritornarci in seguito.

Innanzitutto, i risultati che credo conosciamo tutti, quello delle grandi città, Torino con il voto plebiscitario per Fassino, il crollo della Moratti a Milano, la conquista, seppure stentata del posto di sindaco di Bologna da parte di Merola già al primo turno, il severo ridimensionamento del voto a Lettieri a Napoli, sotto il 40%.

Questi risultati danno un responso inequivocabile: ovunque la destra arretra e la sinistra avanza. Il significato simbolico di questi risultati è enorme, a livello di messaggio mediale è la caduta rovinosa di Berlusconi e di tutto il sistema di potere su di lui incentrato.

Se però vogliamo cogliere il significato politico reale, dobbiamo meglio soffermarci sull’intero quadro dei dati, il dato delle grandi città ha più un significato simbolico, ma gli spostamenti dei consensi vanno analizzati nel loro complesso, considerando anche realtà numericamente più modeste, ma che aggregate ci forniscono i reali flussi elettorali.

Purtroppo, la stampa è piuttosto avara nel fornircene di dettagliati, ma comunque qualcosa si sa.

Si sa ad esempio che è l’intero nord, anche nelle sue realtà più piccole, a decretare l’insuccesso dell’intera area della maggioranza di governo. Intero qui sta per “inclusa la lega”, anche lì dove essa aveva scelto di presentarsi separatamente dal PDL. Ciò significa che non si può ascrivere alla sola Moratti l’insuccesso, è una fetta consistente dell’intero elettorato di centrodestra che nelle urne viene perso.

La domanda più interessante, ed insieme più complessa, è: dove sono andati a finire questi voti?

Non si è manifestato un astensionismo particolarmente alto, Napoli fa abbassare la media nazionale, ma in certe realtà, segnatamente a Milano, i votanti sono addirittura aumentati, quindi non si tratta di elettori indecisi che hanno preferito disertare le urne.

Il risultato del cosiddetto terzo polo è molto deludente anch’esso, così i voti non sono passati da Berlusconi a Fini e Casini, questa è un’altra certezza.

La conclusione credo inevitabile è che questi voti siano direttamente andati all’area del centrosinistra, anche questo pare fuori discussione. Il significato che si coglie è che gli elettori sono anche in grado di cambiare totalmente il loro orientamento politico, e questo evidentemente è quello che è avvenuto. Qui, viene in crisi l’idea, dominante in vaste fasce di politici, che la tattica politica deve necessariamente misurarsi con piccoli spostamenti tra schieramenti attigui. Non so tuttavia se ne trarranno lezione, visto che ad esempio dalle regionali pugliesi non vi sono riusciti.

Nello stesso tempo, questo fenomeno segnala la portata, questa sì epocale, della svolta politica a cui stiamo assistendo. In poche parole, non ha molto senso in questo contesto riferirsi a un ipotetico elettore moderato che abbandona Berlusconi e Bossi: se così fosse stato, avremmo avuto un’avanzata poderosa del terzo polo. No, qui siamo in presenza della fine di un sogno (di un incubo, potremmo dire, per molti di noi) di gente che, vedendo giorno per giorno un vecchio preda ormai completa delle proprie passioni senili ripetere un mantra giorno per giorno più stantio e più indigeribile sui magistrati eversori, si risveglia e guarda alla faccia onesta di un Pisapia, si aggrappa a facce credibili per tentare di vedere risolti i numerosi e gravi problemi in cui si dibatte nella sua vita quotidiana.

La domanda non è come ciò sia potuto accadere, ma come ci sia voluto tanto tempo perché accadesse.

A mio parere, si tratta di un processo che ha caratteristiche di irreversibilità. Sì, è vero che Berlusconi in passato è riuscito a rinascere dalle sue debacle, ma il punto fondamentale è che, come ho più volte già scritto, egli non ha più neanche la voglia di fare politica, ora l’unico suo obiettivo è quello di uscire fuori dai suoi guai giudiziari. La mia opinione è che adesso avrà compreso che non può vincere la lotta disperata che ha sferrato ai giudici, che si tratta di una battaglia persa in partenza, e credo davvero che presto, seguendo l’esempio di Craxi, sceglierà l’esilio, che nel suo caso potrebbe anche essere dorato, dati i suoi praticamente illimitati mezzi finanziari.

Qui, si apre l’immenso capitolo di che fine farà il PDL, tutta la corte del premier che verosimilmente si dilanierà al proprio interno tentando di strappare per la propria parte i pezzi più sostanziosi di quel partito, non credo proprio che ci possa essere il PDL senza Berlusconi.

Ancora interessante è capire cosa farà la Lega. Ha voglia Bossi di scaricare ogni responsabilità su Berlusconi. Intanto, chi gli ha parato il sacco, non è stato proprio lui il complice più fedele? E davvero credono che i loro elettori si bevano qualsiasi cosa, come questa favoletta del federalismo fiscale a misura di Tremonti? Tremonti chi, quello che è il rappresentante in Italia della cupola affaristico-mafiosa che domina il mondo? Ma come pensavano di coniugare l’autonomia in economia, piegandosi completamente alle dettami del FMI (sì, quello di quel galantuomo di Strauss-Kahn, per intenderci) e delle grandi banche d’affari?

Però, per la Lega l’ipotesi di una rinascita potrebbe starci, hanno un gruppo dirigente sufficientemente coeso ed anche tatticamente abile, e forse qualche svolta la potrebbero anche attuare: rimane da capire cosa farne di Tremonti, ma forse questi sarà salvato dal pirla di turno del PD.

Detto tutto ciò, rimane ancora da entrare nel merito dell’area di centrosinistra. Questa rimane per me la parte in assoluto più interessante, ma ne parlerò a breve, il post è già troppo lungo.

lunedì 16 maggio 2011

C'ERA UNA VOLTA UN PROGETTO DI EUROPA

Il cammino della costruzione dell’Europa è sempre proceduto nelle segrete stanze tra potenti che sempre hanno amato definirsi responsabili (anche su questo gli è andata male dove questo termine ha ssunto un significato dispregiativo…).

Tutti coloro che obiettavano che non si può fare l’unione economica senza uno straccio di unione anche politica venivano prontamente tacitati: lasciate fare a noi, non bisogna avere impazienze, vedrete che l’unificazione economica e monetaria causerà quasi automaticamente l’unificazione politica.

Anche al momento della stesura di quella che impropriamente ed illecitamente è stata chiamata la costituzione europea, si doveva stare zitti. A chi faceva osservare che una carta dei principi fondamentali che veniva stilata ed approvata senza l’intervento dei cittadini europei non può definirsi costituzione, semmai uno statuto, come quello che i sovrani benignamente concedevano ai loro sudditi, si spiegava che bisognava essere realisti, che essi sapevano il percorso giusto, che tutte queste obiezioni ostacolavano il cammino dell’unificazione europea. Sappiamo che poi anche quella timida elencazione di principi ha subito un drastico ridimensionamento, ed alla fine è stata approvata forzando le regole (facendo ad esempio rivotare lì dove era stata bocciata).

Infine, è dei giorni nostri l’attacco a Schengen e le dichiarazioni apertamente isolazioniste di governi e politici della destra populista, che non nascondono neanche più di utilizzare l’europa per interessi esclusivamente nazionali, come dichiara perfino il Presidente di turno dell’unione, ungherese.

Tutto ciò avviene in un drammatico scenario di crisi finanziaria, con nazioni come a Grecia e il Portogallo in aperta difficoltà, aiutate dal resto dell’europa in maniera incerta, così contorta da non far più capire se si tratti davvero di aiuto, oppure di ulteriore danneggiamento.

Insomma, non passa giorno che non manifesti le divisioni tra un paese e l’altro: niente politica estera in comune, niente politica della migrazione in comune, l’unica cosa il comune per chi vi ha aderito resta l’euro.

Siamo quindi in presenza di un’Europa impaurita e debole, debole perché impaurita, si tratti di flussi di migranti, o si tratti di tempeste monetarie. Ci vorrebbe una comune classe dirigente continentale che esprima una volontà forte, che possegga un forte progetto, ed invece proprio loro, i governanti, appaiono come deboli ed impauriti, privi di risposte alle sfide del presente.

In questo vuoto politico, l’unica cosa che governa davvero sono le istituzioni finanziarie, e così il centro del potere europeo è ormai rappresentato dalla BCE, che gode dell’autonomia per svolgere la sua politica monetaria: peccato che anch’essa appaia così succube ai grandi capitalisti mondiali a cui, invece di manifestare la propria autorità imponendo loro comportamenti adeguati, tenta di svolgere il ruolo di alunno diligente, quello che ha sempre i conti a posto, che, vedi maestro-banca d’affari, il mio compito è meglio di quello USA.

Questa, diciamocelo una buona volta, è l’Europa di oggi, ormai preda di una direzione del tutto inadeguata, incapace quindi di svolgere un qualsiasi ruolo che possa definirsi dirigente.

Per questo, mi preoccupo quando il giudizio sulla situazione italiana viene fatto paragonandoci al resto dell’europa. E’ una procedura sbagliata, perché purtroppo sarebbe vano oggi credere nell’esistenza di un modello europeo virtuoso. Come ho scritto ripetutamente su questo stesso blog, l’Italia è solo avanguardia di un processo di degrado che coinvolge ormai l’intero panorama delle grandi democrazie occidentali, così che le risposticchie proposte non possono risolvere i problemi a cui si rivolgono, ci vuole ben altro.

venerdì 13 maggio 2011

POST SCOMPARSO

La scomparsa del post "L'esecutore Obama" è dovuta a un malfunzionamento di blogger, non a una mia scelta: ricomparirà presto.
Purtroppo, anche tre commenti del post prece3dente sono spariti: erano miei, potremo sopravvivere anche senza di loro :)

giovedì 12 maggio 2011

L'ESECUTORE OBAMA

In un vecchio post, mi mostravo molto perplesso su Obama, e criticavo i facili entusiasmi di molti bloggers.

L’episodio dell’uccisione di Bin Laden mi pare confermare appieno quella prima impressione: Obama non può fare una politica significativamente differente dai suoi predecessori.

Su questa base, si potrebbe frettolosamente concludere che nulla sia cambiato a livello degli equilibri di potere negli USA: sarebbe una conclusione errata.

In realtà, ciò che osserviamo a seguito dell’ultimo avvicendamento presidenziale, è che passiamo da Bush jr., che era parte dell’establishment economico mondiale, a un Obama che si trova a dovere conformarsi a decisioni assunte senza il suo decisivo contributo.

Insomma, nelle elezioni presidenziali USA si osservava prima di Obama a un duplice ruolo svolto dal candidato, di unificare nella sua persona la difesa in prima persona degli interessi del grande capitale, accanto alla capacità di aggregare su di sé il numero di consensi necessari ad assicurarne l’elezione.

Ebbene, con Obama si osserva il passaggio a un candidato che svolge l’unica funzione di raccogliere i consensi, ma che non fa più parte del grande gotha della finanza. Come tutto ciò è potuto avvenire? E’ avvenuto nel momento in cui i grandi capitalisti di tutto il mondo hanno deciso di assumere direttamente nelle proprie mani il potere mondiale, di saltare insomma il ruolo di mediazione sin allora svolto dai governi nazionali, e questo processo è venuto a completamento proprio allo scoppiare della crisi finanziaria nel 2008. Quando Bush ha deciso di salvare dal crack le grandi banche, tranne Lehman Brothers in verità, e bisognerebbe capire perché questo differente trattamento, i grandi capitalisti hanno capito di avere vinto la partita, di potere praticare le attività più sporche senza il rischio di subirne alcun contraccolpo: a quel punto insomma, i governi avevano dimostrato la loro completa sudditanza agli interessi di pochi potenti capitalisti, ed allora è stato loro evidente che quel ruolo di mediazione era soltanto un inutile ostacolo e che era giunto il momento di incrementare ulteriormente il loro potere.

Ebbene, Obama, la sua figura di politico progressista, dotato di un indubbio carisma, così aperto alle nuove tecnologie mediatiche, cadeva proprio a fagiolo per distrarre quella parte di opinione pubblica dotata di un certo senso critico, di farle credere che negli USA era in corso una svolta progressista, e tutto ciò proprio in concomitanza con l’instaurarsi di questa cupola affaristico-mafiosa.

I fatti avvenuti a partire dall’insediamento di Obama e fino ai nostri giorni confermano che soprattutto a livello di politica internazionale non vi è stata alcuna svolta, e che il governo USA non ha esitato un solo istante ad eliminare il nemico Bin Laden, dando una propria versione dell’evento che si pretende che noi accettiamo per fede, e che comunque, anche se fosse vera, costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale. Qualunque sia il momento e il modo in cui questo assassinio sia stato compiuto, si tratta di un atto che non può che riconfermare la pretesa USA di avere le mani libere, di potere giustiziare sommariamente chi vogliono dopo avere violato la sovranità nazionale di uno stato, si badi bene, perfino alleato.

Qui, Obama si trova a svolgere un ruolo di comparsa, di dare un imprimatur formale a una decisione assunta dalla cupola affaristico-mafiosa, quella impersonata a livello ufficiale alcuni anni or sono dal duo Bush-Cheney.

Permettetemi di omettere tutti i numerosi atti del governo USA che confermano una linea politica immutata,e che però oggi ci rivelano che il diavolo non è più impersonato dal governo USA, ma piuttosto da un ristretto gruppo di grandi capitalisti che se ne fregano allegramente delle sovranità nazionali.

martedì 10 maggio 2011

I SERVITORI DI BERLUSCONI

Il giornalista Francesco Merlo, nel suo odierno articolo su Repubblica si chiede,a proposito dell’ultimo attacco portato da Berlusconi ai magistrati cosa fanno i galantuomini che circondano il premier. Ebbene, viene da chiedersi dove sia vissuto Merlo fino a ieri, se ancora crede che esistano galantuomini nel gruppo dirigente che circonda il premier.

Sin da gennaio, mi era già chiaro che ormai l’entourage berlusconiano è il vero attore della scena politica, che il capo indiscusso si trova talmente circondato da consiglieri di ogni tipo e di ogni forma che ha smesso da tempo di essere il capo, dall’esercitare cioè il potere che pure teoricamente gli spetterebbe. Mi chiedo se una persona mette ogni mezzo per organizzare delle feste con stuoli di giovinette molto disponibili, se è ormai preda di fissazioni chiaramente senili che tentano di trovare una qualche forma di sfogo in serate fino ad arrivare alle ore piccole, cioè per una parte consistente dell’intera giornata, ciò implica ovviamente che gli altri interessi si siano fortemente ridimensionati.

Ed in verità questo personaggio sembra ormai preda, da una parte delle sue paure di essere condannato da un tribunale, dall’altra dalle sue fissazioni più o meno erotiche a cui dedicava ormai gran parte del suo tempo.

La diagnosi quindi dovrebbe essere chiara, egli è ormai prigioniero di uno stuolo di servitori più o meno zelanti il cui potere dipende interamente dal capo, e lo costringono ad occuparsi ancora di politica perché se egli abbandonasse di colpo il campo, si manifesterebbe esplicitamente la loro nullità.

Leggere commenti di noti giornalisti che pretendono di isolare l’anomalia Berlusconi rivolgendosi a coloro che sono i più interessati a lasciarlo al suo posto per potere godere dei privilegi che il loro ruolo di servitori disponibili a tutto gli consente, è preoccupante.

Ciò significa che non ci si rende conto della gravità nella formazione di un agglomerato di parassiti che, per potersi aggregare alla corte del potente di turno, hanno già da tempo abbandonato ogni criterio minimo di etica pubblica. Essi con tutta verosimiglianza dovrebbero costituire il vero bersaglio del vasto fronte delle opposizioni: prendersela con il capo in queste condizioni, significa distogliere l’attenzione dall’obiettivo reale, agevolandone il ruolo: nascondersi all’ombra del capo per ricavarne ogni possibile beneficio in attesa di riciclarsi al momento opportuno e riproporsi così in veste verginale, se non addirittura nelle vesti di salvatori della patria, di coloro che tradendo solo quando il capo è affondato, pretenderanno di essere ringraziati per averlo fatto fuori.

domenica 8 maggio 2011

CANCRO A CHI?

Oggi scriverò un apologo.
C'era quindi una volta una cellulina cancerosa che si era insediata dentro un organismo sano. La cellulina iniziò a duplicarsi, moltiplicandosi a tal punto da essere disseminata nell'intero organismo ospite, e costituirne ormai una percentuale sostanziosa.
Come tutto ciò fosse potuto accadere, non fu mai del tutto chiaro. Certamente gli anticorpi del sistema non avevano funzionato a dovere, certamente una parte sostanziosa doveva averla giocata qualche epatocita della politica e qualche epotocita del sistema mediatico, ma la velocità della propagazione fu così elevata che sembra impossibile ascrivere tutto al tradimento di qualche specifica cellula, qui c'era un intero sistema che aveva ceduto di schianto all'invasione cancerogena.
Taluni clinici sostengono che un gioco fondamentale l'abbia giocato una specifica sostanza secreta dalle stesse cellule cancerogene, a cui hanno dato il nome di "televisione", che svolge questo ruolo letale con grande efficacia, dato che pare che le cellule sane gradiscano tanto questa sostanza e l'assimilino subito.
Fatto sta che questa cellulina cancerogena a un certo punto si trovò circondata da tantissime cellule identiche a sè stessa, malgrado riconoscessero a quella cellula originale misteriosamente una qualche egemonia.A questo punto, questa cellula perse del tutto la testa e, dimenticandosi perfino della propria identità, immaginò incredibilmente di essere lei la cellula sana, ed ordinò l'attacco finale, la metastasi conclusiva ed esiziale dell'organismo con le parole: "Gli anticorpi (detti anche magistrati) sono un cancro, non ci fanno distruggere in pace questo organismo-paese, vanno estirpati immediatamente".
La fine di questo apologo non è stata ancora scritta, forse tra una settimana, tre settimane, e poi infine tra cinque settimane potremo mettere la parola fine a questo apologo.

venerdì 6 maggio 2011

PARLAMENTO, ADDIO!

Dobbiamo purtroppo ammetterlo: in Italia, non esiste più un parlamento. Sì, qualcosa con su scritto “Senato della Repubblica” e “Camera dei deputati ci sta ancora, anzi è tanto frequentato, ma nella sostanza, il parlamento non esiste.

Ciò che è rimasto è un mercato delle vacche, istituzione del tutto rispettabile, ma purchè si tratti di vacche vere, e non di vacche metaforiche, perché queste sono assai peggio. Naturalmente, una delle conseguenze di ciò, è che Berlusconi, uno che vaccaro è, anzi è un vaccaro che si è fatto tutto da sé (come quello della canzone “Shampoo” del mai abbastanza compianto Giorgio Gaber), è imbattibile: come compra lui i deputati, nessuno ci può riuscire, spunta sempre i prezzi più bassi.

D’altra parte, diciamocelo francamente, per fare ciò che oggi fanno i parlamentari non è che ci voglia granchè, una volta che si è deciso di subordinare totalmente il potere legislativo al potere esecutivo.

E’ una cosa che andava avanti da un po’ di tempo, lo stesso ricorso sempre più frequente all’esercizio della fiducia anche durante i governi di centrosinistra ha eroso a poco a poco il ruolo autonomo e fondamentale negli equilibri di potere dello stato di diritto dell’istituzione parlamentare.

Decisivo è stato certamente l’osceno meccanismo elettorale vigente che lega la riconferma all’assoggettamento al capo, e non posso che rammaricarmi del fatto che i padri costituenti non abbiano voluto inserire la definizione dei meccanismi elettorali, o almeno alcune sue condizioni specifiche nello stesso testo costituzionale, l’unica grossa pecca di una carta costituzionale per il resto di grande valore e coerenza interna.

Ieri così abbiamo assistito al mercato dei posti di sottosegretariato e non solo, per pagare le cambiali a scadenza emesse in occasione della fiducia del 14 dicembre.

Mi colpisce anche, devo aggiungere, l’episodio ascritto a tale Mazzuca, parlamentare, neanche a dirlo del PDL, che ha ritenuto di svolgere il proprio ruolo di parlamentare, stilando una classifica dei culi più belli nel parlamento: avete letto bene, si parla proprio di quel particolare anatomico così interessante da un punto di vista dell’attrazione sessuale.

Insomma, questi qui stanno uscendo fuori di ragione, somigliano a quegli adolescenti che, appena usciti da scuola, scaricano la tensione accumulata durante le ore di frequenza scolastica dandosi spintoni, urlando, e naturalmente facendo magari apprezzamenti sulla ragazza che si trovi malauguratamente a passare da lì nel momento sbagliato. Del resto, un parlamentare cosa ha da fare, quale sarebbe l’impegno che gli viene richiesto? Basta trovarsi al proprio scranno nei momenti delle votazioni e diligentemente approvare tutto ciò che dice il capo. Sono davvero dei poveretti, e non possiamo in alcun modo avere alcuna considerazione di loro più che disprezzarli e forse compatirli.

Ieri insomma non è avvenuta nessuna svolta, si tratta solo di un più o meno veloce processo di degrado progressivo che nel suo svolgersi mette a nudo la stessa inesistenza del parlamento: come possiamo più credere di stare in un sistema democratico?

giovedì 5 maggio 2011

BIN LADEN E IL COMPLOTTISMO

Ora è ufficiale: gli USA non forniranno nessuna evidenza dell’uccisione di Bin Laden, neanche uno straccio di foto o filmato, che comunque non avrebbero potuto surrogare la visione di persona del cadavere.

Epperò, tanti giornalisti si sono già scatenati alla caccia dei “complottisti”.

Apro una parentesi. Vorrei esortare tutti questi operatori mediatici a scegliere un termine differente perché, con tutta evidenza, complottista dovrebbe essere chiamato chi i complotti li ordisce, non chi ne sospetta l’esistenza: su, che con uno sforzo di immaginazione, magari un termine appropriato lo troverete!

Ebbene, guardate arguti cacciacomplottisti che l’alternativa all’ipotizzare complotti, è l’accettare i dogmi che il potere ci propina: è chiaro?

Ora io dico, che un genitore voglia almeno vedere la registrazione sul libretto dell’approvazione dell’esame che il figlio dichiara di avere sostenuto, sarà anch’esso un atto di complottismo? Insomma, caro Barak, se avessi voluto che le tue dichiarazioni acquistassero un minimo di credibilità, avremmo dovuto avere la possibilità di vedere il cadavere: gettato il corpo in mare, hai tu stesso eliminato il mezzo che poteva consentirti di rendere credibili le dichiarazioni ufficiali sull’uccisione di Bin Laden, non mi pare che questa sia una conclusione azzardata, anzi mi pare l’unica possibile.

Inoltre, si hanno ormai prove della presenza dei servizi segreti e dell’esercito pakistano sul luogo dell’operazione, e quindi il complotto c’è stato, nel senso che la versione ufficiale che lasciava fuori il Pakistan dall’operazione non risponde al vero.

Ed ancora, gli USA hanno dichiarato in un primo tempo che Bin Laden avesse usato la moglie come scudo umano: ora, si sa con certezza che si trattava di una menzogna.

Anche se, infine, tutto fosse andato come sostiene l’amministrazione USA, rimane comunque l’esistenza di un complotto, quello portato avanti dal governo pakistano che, alleato degli USA, ospita Bin Laden proprio in prossimità della propria accademia militare.

E quindi coraggio, potrà piacere o dispiacere, ma potere e complotto sono due concetti che vanno sempre a braccetto, fatevene, vi prego, una ragione!

martedì 3 maggio 2011

ASPETTI INQUIETANTI NELL'UCCISIONE DI BIN LADEN

Alcune osservazioni sull’uccisione di Bin Laden.

La cosa che più mi ha colpito, è stata la reazione entusiasta dei giovani americani, che si sono riversati spontaneamente nelle strade, con le bandiere USA e scandendo appunto “iu es ei”. Ciò la dice lunga sullo spirito nazionale negli USA e sulla capacità di questo popolo di coltivare una vendetta “fredda”, festeggiando la rivincita sull’odiato nemico a distanza di ben dieci anni. Magari avrebbero fatto bene a conoscere qualche circostanza in più su quei fatti prima di questa esplosione incontrollata di entusiasmo popolare. Naturalmente, trovo tutto questo inquietante.

Come si può spiegare la decisione del governo USA, come risulta dalle dichiarazioni ufficiali, di disfarsi in mare così rapidamente del cadavere? La motivazione ufficiale è l’impossibilità di trovare un luogo dove piazzarlo perché possibile sede di pellegrinaggi. Nel mio piccolo, io un’idea la trovo subito, e non capisco perché alle menti geniali dell’amministrazione USA sia sfuggito: piazzarlo in una base militare USA, possibilmente su un’isola pressoché inaccessibile. Tanto per fare un esempio concreto, le isole Marshall credo sarebbero state del tutto idonee. Ciò avrebbe consentito di impedire i pellegrinaggi, e permettere a visitatori selezionati di potere accedere al cadavere e poterne documentarne l’identità.

Ora, vorrei evitare di fare un discorso sul complottismo, argomento che ho già affrontato in passato, ma sono profondamente convinto che la pretesa di costituire un sistema realmente democratico confligge evidentemente spesso con le esigenze del potere, e quindi sembra ovvio prevedere che i complotti esistano, che certi eventi debbano svolgersi dietro le quinte, dando in pasto a noi una versione falsa, seppure magari verosimile.

In ogni caso, chi è che suscita il sorgere di ipotesi complottiste, se non proprio gli USA stessi disfacendosi in maniera così istantanea dei resti di Bin Laden? Una possibile ipotesi complottista, evidentemente priva di riscontri di fatto, potrebbe essere non tanto che Bin Laden sia ancora vivo, ma che la sua uccisione sia avvenuta da tempo, e venga falsamente datata all’oggi.

Anche la sede del blitz ha qualcosa di inquietante: come è possibile che egli si trovasse in stretta prossimità alla sede dell’Accademia militare pakistana? Si dice che ciò sia dovuto a complicità ad altissimo livello nell’amministrazione pakistana. Naturalmente, tale ipotesi è del tutto verosimile, avrebbe una sua logica. Tuttavia, perché escludere che il Pakistan si sia solo prestato a una recita USA, quella costituita da un falso blitz, mentre al contrario Bin Laden era già stato ucciso, e viene tirato fuori adesso per motivare la scelta di attuare la exit-strategy dall’Afghanistan, al momento in cui gli USA hanno definitivamente maturato di imboccarla? Io sono cioè, sulla base soltanto di deduzioni credo logiche, per l’ipotesi della postdatazione.

Sarebbe infatti bene ricordare che la motivazione iniziale della missione in Afghanistan consisteva nella cattura di Bin Laden. Per giustificare il prolungamento della missione, era quindi necessario nascondere la sua eventuale cattura già avvenuta. Soltanto quando l’amministrazione aveva già deciso per l’exit-strategy, l’uccisione poteva essere esibita. A margine, vorrei anche ricordare che recentemente sono avvenute grandi avvicendamenti all’interno dell’amministrazione USA: non appare logico correlare questi due eventi, supponendo che Obama abbia scelto i collaboratori adatti per attuare la exit-strategy?

lunedì 2 maggio 2011

LE INGIUSTIFICATE CERTEZZE DELL'ECONOMIA

Riprendo il discorso iniziato in un mio recente post su questo stesso blog, dove affermavo che l’economia ha ormai occupato il territorio della politica, togliendo a questa ogni possibilità di influenza sulle scelte dell’umanità.

Un’obiezione che mi potrebbe essere rivolta è che è fisiologico che la politica economica giochi un ruolo fondamentale in politica: se le misure normative adottate in un paese rispondono ad una logica economica, tutto ciò sembrerebbe del tutto giustificato, vista la rilevanza che gli atti economici rivestono nella vita di tutti noi.

E’ bene allora chiarire che io non sono affatto contro l’importanza della politica economica, ma bisogna stabilire allora chiaramente cosa si intenda con tale espressione. Anzi, aggiungerò che è fondamentale la centralità della politica economica, purchè ci si riferisca all’importanza delle scelte politiche che comportino una significativa ricaduta di tipo economico. La politica economica dovrebbe cioè corrispondere a una serie di scelte politiche, e quindi collegate a una strategia politica a tutto campo, e che faccia sempre riferimento agli aspetti fondamentali, quelli che dovrebbero essere di pertinenza della filosofia politica.

Ciò che invece vediamo è una politica economica che non ha più nulla di politico, come si potrebbe anche osservare perfino, e paradossalmente, nella stessa filosofia politica, a cui si da’, ad esempio in campo liberale, una struttura assiologica (basata su valori dati per veri e pertanto non argomentati).

Soffermiamoci allora sul concetto di concorrenza competitiva in economia.

Secondo la teoria economica tradizionale, il regime di libera concorrenza realizza una situazione di ottimo, cioè la migliore situazione possibile, per la collettività. Ciò accadrebbe per tre motivi:

1) in concorrenza, il prezzo dei beni tende ad eguagliare il costo dei produzioni dei beni stessi;

2) la concorrenza realizza la sovranità del consumatore;

3) la concorrenza spinge le imprese ad utilizzare i fattori produttivi (capitale e lavoro) in modo efficiente (cioè economico o razionale) e fa ottenere nel sistema economico il massimo volume possibile di produzione (di beni e servizi).

La prima motivazione è in sé priva di importanza, ma può piuttosto concorrere al raggiungimento della terza condizione.

La seconda motivazione è del tutto falsa come appare ovvio a tutti noi. Il consumo è indotto dalla produzione, e non il contrario (non si può desiderare di consumare un bene che ancora non è stato neanche concepito, come accade per mille oggettini tecnologici di cui non immaginavamo neanche la possibile esistenza fino alla loro apparizione sul mercato). Del resto, se così non fosse, non si giustificherebbero i giganteschi investimenti finanziari per la pubblicità.

Rimane così solo la terza motivazione, che si basa sulla non argomentata esaltazione della massimizzazione della produzione. Ebbene, ciò che ancora mezzo secolo fa poteva apparire come un’ovvietà, cioè che la disponibilità di più oggetti sia un fatto desiderabile di per sé e per tutte le persone, oggi è evidentemente, e aggiungerei altrettanto ovviamente, falso. L’aumentata disponibilità di prodotti ha chiaramente un aspetto totalmente differente in Europa rispetto alla Cina, come in Europa si è presentata totalmente differente fino agli anni settanta rispetto ai nostri giorni. Si potrebbe perfino affermare che esiste uno specifico valore ottimale di disponibilità di beni, tale che alla sua diminuzione come analogamente a un suo aumento, corrisponda un peggioramento della qualità della vita.

Naturalmente, questo valore non può essere definito da un numero, ma bisogna entrare nel merito dello specifico tipo di beni, che possono essere desiderabili, ma possono anche risultare dannosi. E’ curioso osservare come il famoso filosofo politico Rawls nella sua famosa teoria della giustizia, di fatto si riferisca esclusivamente ad un’equa ripartizione dei beni, dando così per scontato che averne di più sia un indiscutibile vantaggio.

Inoltre, il processo produttivo non può essere considerato come un fatto isolato, ignorandone le implicazioni sulla società nel suo complesso. Una politica semplicemente intelligente dovrebbe cioè considerare tutti gli aspetti occulti correlati all’attività economica.

Qui, mi soffermerò sui due che considero i più importanti, l’aspetto ambientale e l’aspetto occupazionale.

Finora, per semplificare il discorso, non ho citato esplicitamente come i prodotti possano essere di due differenti tipi, l’uno le merci, e l’altro i servizi. Le argomentazioni fin qui svolte possono indifferentemente riguardare entrambi i settori, anche se nel caso delle merci le considerazioni fatte acquistino una maggiore evidenza. Si potrebbe a lungo argomentare su quali siano i servizi la cui disponibilità possa apparire desiderabile, e proprio questo sarebbe il terreno della politica.

Per l’aspetto ambientale, non vi è dubbio che siano le merci ad essere coinvolte. In particolare, sono evidenti a tutti le ricadute ambientali della produzione industriale. Cosa abbiamo di legislazione in materia a livello internazionale? A mia conoscenza, c’è soltanto la “carbon tax”, che riguarda l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera a causa della combustione di combustibili fossili, e in dipendenza dello specifico tipo di combustibile fossile. Troppo poco in verità, ed inoltre stranamente non si prevede un contributo premiale per le nazioni che mantengano il loro patrimonio boschivo, contribuendo così al riequilibrio. Adesso, hanno messo al bando gli shoppers, i sacchetti di plastica per la spesa: sicuramente una misura positiva, ma anche questa così minima nel mare delle ricadute ambientali da risultare una misura essenzialmente simbolica.

La valutazione dei costi ambientali dovrebbe invece costituire una procedura sistematica da parte di organismi tecnici, che dovrebbe comportare una quantificazione di aggravi di costo per i produttori coinvolti.

Il secondo aspetto è quello occupazionale. In questo caso, merci e servizi hanno un ruolo analogo. Sembrerebbe ovvio che se aumenta la produzione per addetto, a parità di produzione l’occupazione debba diminuire. Ci si chiede a questo punto quale sia il vantaggio di produrre con novanta persone ciò che veniva prodotto da cento persone, e lasciare senza occupazione le rimanenti dieci. Sembrerebbe, ma vorrei essere smentito, che il vantaggio sia esclusivamente per l’azienda, ma certo non per la società nel suo complesso. Sembrerebbe quindi che la piena occupazione, e non la massimizzazione della produzione, debba considerarsi come il vero obiettivo sociale.

Finirò, a titolo di esemplificazione, parlando del settore della distribuzione, dove negli ultimi decenni abbiamo assistito alla crescente importanza della grande distribuzione sulla distribuzione tradizionale tramite i piccoli negozi.

Certamente, è stato possibile ridurre in una certa percentuale i prezzi alla vendita di tantissimi articoli, ma sarebbe un grave errore considerare questo come l’unico effetto indotto da questa trasformazione. Citerei questi altri qui di seguito, e ditemi se si possano considerare positivi: caduta verticale dell’occupazione nel settore, aumento del consumo di carburanti per raggiungere centri commerciali lontano dai centri urbani, contemporaneo svuotamento dei centri storici (i negozi sono la vera struttura della città) e riduzione del momento dell’acquisto ad anonimo atto puramente economico, sollecitazione a un consumo crescente di merci indotto da una loro accorta esposizione.

Alla fine di tutto ciò, dovremmo pure chiederci a cosa sia servito organizzare la società in funzione di un obiettivo unico, la massimizzazione della produzione, senza che nessuno sia in grado di motivare in maniera definitiva ed indiscutibile perché questo sia un obiettivo da desiderare.