martedì 28 settembre 2010

ANCORA SUGLI USA

Tanto per concludere una specie di triade dedicata agli USA, posto anche oggi su questo grande paese, e lo faccio parlando stavolta di una sorta di sensazione a pelle, ricavata da un recentissimo viaggio negli USA.

Vi dico subito che l’impressione che ne ho ricavato è tutt’altro che positiva. Se dovessi riassumere il mio giudizio in un’unica parola direi che la città che ho visitato è brutta. Ci sono diversi fattori che concorrono a dare questa sensazione: riassumendo direi che mi è apparsa brutta per un senso di sciatteria evidente. Dai negozi alle persone, la sciatteria domina. I negozi sono disadorni, senza nessuna pretesa o tentativo di dar di sé un’impressione estetica gradevole. Anche la filosofia USA che riduce al minimo la manutenzione contribuisce a fare apparire brutti gli edifici che non siano stati appena costruiti. La cosa che forse colpisce di più sono però le persone, per la gran parte obese, vestite male, non perché i capi d’abbigliamento siano modesti o troppo usati, ma per l’evidente assenza di qualsiasi sforzo di accordo tra loro, perfino senza nessuno sforzo di indossarli appropriatamente: non posso dimenticare quella ragazza che indossava una T-shirt messa storta, a coprire fino al collo una spalla e a lasciare del tutto scoperta l’altra.

L’altra cosa che mi ha colpito è l’uso invalso della doppia dicitura, accanto all’inglese, ci sta ormai costantemente lo spagnolo. Cito quest’aspetto perché mi pare molto importante dal punto di vista simbolico, la nazione che ha sempre preteso di parlare la propria lingua perfino fuori dai confini nazionali, che ha sempre imposto agli immigrati l’apprendimento dell’inglese, alla fine sventola la bandiera bianca, si arrende a una massa di immigrati evidentemente imponente, che non ha alcuna intenzione di essere rapidamente assimilata, così che si deve infine ammettere che negli USA si parlano almeno due lingue differenti.

Ne viene fuori a mio parere una conferma di ciò che dicevo negli altri due poster sugli USA, una nazione in profonda crisi, che ha perso, potremmo dire, la sua spinta propulsiva: Due anni di crisi economica hanno finito di mettere alle spalle la tradizionale prassi spendaccioni degli americani, che stanno finendo per comportarsi come le formichine italiane, attenti ormai a mettere da parte qualcosa per tempi peggiori, che evidentemente si ritengono probabili e forse anche prossimi. Se vi aggiungiamo l’atteggiamento così discriminatorio verso il debole, il povero, il disabile, con l’episodio terribile dell’esecuzione di Teresa Lewis, il quadro di una nazione in declino viene a completarsi.

Naturalmente, gli USA rimangono la potenza di gran lunga più forte del globo, sia come ricchezza, che dal punto di vista militare. Bisogna però cogliere questi aspetti di dettaglio che ci parlano di processi in corso, forse di primi sintomi. Se infine questa ricchezza, questa potenza, non è in grado di garantire una vita gradevole, se non è in grado di vincere l’accattonaggio, la povertà degli ultimi anche in presenza di ricchezze enormi, a cosa serve, non c’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato in tutto questo?

lunedì 27 settembre 2010

LEONARDO MI CENSURA ED IO SCRIVO QUI

Un breve post, solo per segnalare un episodio che ritengo grave, l’essere stato censurato ripetutamente su un blog, un blog abbastanza famoso quello di “leonardo”, che tra l’altro collabora con “L’Unità”. Sapete, è uno di quei blog in cui la maggior parte dei commenti sono adoranti, ma quanto sei bravo, ma fai post meno belli perché mi sono stancato di elogiarti, e roba così. Ora, che leonardo scriva benissimo, non v’è dubbio, ed egli, con qualche ragione, ha deciso di sposare cause impossibili. In sostanza, io penso che egli giochi consapevolmente questo ruolo, mettersi in una posizione scomoda, e mostrare che egli è in grado di convincere anche quando esprime opinioni assolutamente improbabili. Non posso tuttavia escludere che egli davvero abbia opinioni strampalate, anche se io sono convinto del contrario, che egli abbia consapevolmente costruito questo giocattolo per lettori di bocca buona che di fatto lo adorano, dimostrando che egli riesce nell’impresa. Purtroppo, si è imbattuto in me, anch’io un appassionato di dialettica, che non mi tiro certo indietro quando si tratta di argomentare anche in netto dissenso col mio interlocutore. Da allora, ricevo sullo stesso blog saltuari insulti abbastanza idioti non degni del blog e del blogger. Sono degli adoranti o sono dello stesso blogger? Naturalmente, non ho elementi per accertare specifiche responsabilità, ma non posso però osservare come egli non si sia mai degnato di spendere una singola parola per deplorare tali episodi, diciamo che manifesta una sorta di complicità silenziosa.

Questi sono gli antefatti, ieri, invece ho tentato ben cinque volte di postare il mio commento: appare per qualche minuto, poi scompare. Non saprei dire come egli faccia, perché anch’egli usa blogspot, e da me l’unica volta che ho cancellato un commento, è apparso il relativo messaggio, mentre in questo caso non resta traccia alcuna.

Non ha diritto un blogger di cancellare a suo piacimento i commenti? Certamente sì, e difatti non intendo adire a vie legali (ehehhe!), ma allo stesso modo io ho diritto a denunciare l’accaduto, sottolineando l’assurdità di tutto ciò, e a questo scopo riporto qui il testo del mio commento. Leonardo parla di aborto, criticando gli antiaboristi: in particolare ce l’ha con Giuliano Ferrara che di questo tema ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia (ricordate che presentò una propria lista dedicata alla battaglia contro l’aborto?).

Ecco il testo integrale del mio commento censurato:

Sommessamente, senza il frastuono dei proclami che si succedono l’uno all’altro, vorrei fare presente che si può essere antiabortisti anche senza volere smantellare la 194. L’aborto è sempre una tragedia, lo è per tutti, ma soprattutto per la donna direttamente coinvolta. Io sono tra coloro che non credono alla soluzione proibizionista, ma tuttavia pensano che non bisognerebbe lasciare nulla di intentato per minimizzare queste tragedie. Il colmo della faccenda è che tanti politici antiabortisti, e in primis proprio questo governo che ci ritroviamo, allo scopo di lottare contro l’aborto, non ha fatto assolutamente nulla, ad esempio nei confronti di donne single nullatenenti. Per inciso, pur trovandomi su sponde esattamente opposte rispetto a Ferrara, mi risulta che anch’egli non si professa proibizionista, e forse non sarebbe male cogliere anche queste sfumature, che ne pensate? Sempre ad urlare e mai riflettere?

A parte la chiusa un po’ polemica, mi pare si tratti di un intervento che tenta garbatamente di argomentare. Si capisce perché necessiti di essere censurato? Forse perché questo blog, per il suo proprietario è diventato un business, e le regole del business sono ferree, bisogna impedire fatti che possano ridurre l’appeal del blog (stiamo parlando di due milioni e quattrocentomila contatti accumulati, mica bruscolini…). Nel mondo del business, niente può rimanere escluso, a quanto pare.

sabato 25 settembre 2010

OBAMA: UN MITO FALLITO?

Su “La Stampa” di oggi, è apparso un interessante articolo sulla situazione economica statunitense da parte di Francesco Guerrera, caporedattore del Financial Times a New York. La sostanza della tesi dell’articolo, che come al solito vi raccomando di leggere, è che dietro le cifre ufficiali che pretendono che la ripresa negli USA sia ripartita, la crisi è ancora e tuttora galoppante. Poiché, egli dice, prima dei timidi segnali di aumento del PIL, c’è stato un calo clamoroso, la povertà che è sopravvenuta non può essere compensata da questa ripresina. Inoltre, come sempre in questi casi, le imprese si riprendono prima, ma le famiglie dopo, perché dipende dalla crescita dell’occupazione, che richiede un lasso di tempo non trascurabile nel miglioramento dei redditi d’impresa perché si verifichi. La conclusione dell’articolo è la parte che non mi convince, la messianica attesa della crescita del PIL come unica via per migliorare le condizioni di vita della gente. Al solito quindi, i meriti di un certo governo, si misura sulla sua capacità di fare ripartire il PIL. Seguendo questa logica, Guerriera considera comunque positivi il salvataggio delle banche e il sostegno all’industria automobilistica.

E se invece cominciassimo, liberandoci da pregiudizi che per la loro illogicità somigliano ormai ad anatemi di ayatollah, ad immaginare vie differenti? Obama ha rappresentato per coloro che l’hanno votato, ma anche per tanti europei, una speranza, ma, ora che siamo già a metà del suo mandato, non si può più eludere la domanda se si tratta di una speranza ben riposta.

Non è un caso il fatto che Obama sia stato esaltato molto più in Europa che negli stessi USA, sembra come l’ultimo appiglio che una certa opinione pubblica, potremmo dire vagamente di sinistra, alla storia pluridecennale della socialdemocrazia, quella che, pur alternatasi a governi conservatori, ha costituito il vero motore dell’unità europea, costruita sulla valorizzazione di un certo modello di stato sociale. Negli anni ottanta, la potente offensiva lanciata da Reagan e dalla Thatcher nei due versanti opposti dell’Atlantico ha trovato una risposta inadeguata da parte dei partiti socialdemocratici, in cui possiamo tranquillamente includere il PCI di allora. L’impressione che se ne ricavava era che la sinistra affrontasse questo avanzare di idee neoliberiste come un bambino scoperto a rubare la marmellata, un senso di colpa, di sudditanza ideologica, che ha portato alla situazione odierna. Le ultime elezioni politiche europee hanno sanzionato l’incapacità delle formazioni socialdemocratiche di mantenere un rapporto con la maggioranza dell’elettorato, con ciò qualificando questo processo di progressivo declino come grave e probabilmente irreversibile. Obama, a questi delusi europei del proprio partito socialdemocratico, è apparso come la possibilità di una rinascita di un’opzione di sinistra in grado di dare risposte adeguate alle sfide dell’oggi, e pazienza se ciò nasceva dall’amico-nemico americano.

Nei fatti però, in cosa l’amministrazione Obama ha mostrato di costituire una risposta nuova? Le uniche due operazioni che sono andate in porto riguardano la riforma del sistema sanitario da una parte, e dell’altra una legislazione più severa verso gli operatori finanziari. Se però consideriamo questi provvedimenti dal punto di vista dei contenuti, ritroviamo tutte le timidezze osservate nelle socialdemocrazie europee. Io parlerei della sindrome dell’arretramento. Si da’ cioè per scontato, senza quindi entrare nel merito della specifica situazione, che arretrando, si difende più facilmente la posizione: sarebbe da bocciatura per uno stratega militare. Soprattutto, quando ci sono in gioco questioni di principio, o se preferite ideologiche: su queste, non si può arretrare senza così determinare la propria sconfitta senza neanche provare a combattere. Ora, la riforma sanitaria, malgrado il clima di battaglia storica con cui è proceduta, è una microriforma, che modifica solo aspetti di dettaglio rispetto alla situazione ereditata. Allo stesso modo, le regole per il mercato finanziario appaiono del tutto inadeguate a scongiurare una prossima crisi, ma soprattutto lasciano alle grandi istituzioni finanziarie internazionali il governo dei mercati, in tal modo annullando ogni possibile sovranità nazionale.

A fronte, in ogni caso, di questi due provvedimenti, Obama sta ancora in Afgahnistan, la distribuzione della ricchezza è sempre più ineguale (aumento della percentuale di poveri negli USA), la pretesa riconversione industriale verso la sostenibilità ambientale è a zero. Infine, il punto che per me rimane centrale, come disgiungere la sorte dell’occupazione da quella del PIL, che, sulla base di qualsiasi previsione scientifica, sarebbe follia allo stato puro volere far ancora crescere.

In queste condizioni, capisco quel signore che dichiara di essere stanco di difendere l’operato di Obama di fronte a tutte le evidenze contrarie.

Volendo trarre le conclusioni da tutto ciò, io penso che esista un’esigenza obiettiva di una nuova radicalità, che io credo vada fondata, piuttosto che sul binomio libertà uguaglianza, ormai improponibile, sul binomio fratellanza-sostenibilità. A volte mi sneto come Giovanni battista che predicava nel deserto: ci sarà infine qualcuno, più giovane e più ambizioso di me, che voglia considerare senza pregiudizi queste semplici idee?

venerdì 24 settembre 2010

UN CRIMINE CONTRO L'UMANITA'

Avrei voluto per la prima volta, che su questo blog apparisse una foto. Non quella patinata della gnocca di turno, né le immagini di politici bolsi e che ormai non reggiamo più, scusate il napolitalismo. No, avrei voluto che tutti possano osservare l’immagine dell’ultima esecuzione capitale avvenuta nella culla della democrazia (sic!), in Virginia, stato degli USA. Lei è un’assassina, ma chi l’ha uccisa coi mezzi tecnologici offerti dall’autorità statale, per questi davvero non ci sono parole con cui io possa esprimere il disprezzo profondo, il senso d’estraneità rispetto a simili individui che pretenderebbero di essere persone umane. Se andate a guardare l’etimologia delle parole che si usano in questi contesti, esse derivano dalle bestie, la bestia selvaggia che in latino si dice “fera”, da cui feroce, efferato… L’uomo si è sempre considerato superiore agli altri animali, e per significare un degrado di un individuo dalla sua umanità, lo si definisce belva, ma in verità nessuna belva potrebbe mettere su una macchina giudiziaria così efficiente e potente per uccidere una persona conclamatamente psicolabile. Io mi chiedo che gente è quella che ha composto la giuria popolare, i vari magistrati che nei differenti ruoli hanno concorso a questo risultato. E infine il governatore della Virginia, dopo avere rifiutato la grazia, mi chiedo come possa ancora guardarsi allo specchio senza sentire il bisogno irrefrenabile di sputarsi addosso. L’immagine della società USA che inevitabilmente viene fuori, è quella rispondente solo a logiche economiche. In questo caso, il sistema giudiziario non è servito a fare giustizia, è servito a scopi eugenetici, eliminare un individuo “storto”. A chi serve una donna psicolabile e in più anche aggressiva? Perché mantenerla a vita in reclusione, quando in un attimo è possibile liberarsene, nascondere questo lato oscuro del nostro stesso modo di essere uomini, e offrire il volto sorridente, anche se in fondo inespressivo del testimonial di turno? Ebbene sì,. oggi sono indignato e non voglio neanche nasconderlo, tanto indignato da non essere neanche riuscito a caricare la foto...

giovedì 23 settembre 2010

L'AFFAIRE PROFUMO IL GIORNO DOPO

Ieri è stato il giorno delle notizie-bomba in ambito bancario, oggi il primo affanno della stampa è quello di anestetizzare il tutto. Oggi è il giorno delle dichiarazioni a misura di creduloni. Oggi, vorrebbero farci credere che l’estromissione di Profumo sia, scegliete liberamente voi stessi, o la Lega e le famose dichiarazioni del sindaco di Verona Tosi, o, udite udite, addirittura il mercato. Certo, che la vergogna nel mondo di oggi non si sa cosa sia.

Ma andiamo per ordine. Ieri, l’articolo più propositivo, che cioè esprimeva esplicitamente una specifica tesi sulla faccenda mi è sembrato quello di Massimo Giannini su Repubblica. Il giornalista sosteneva la tesi che i responsabili fossero Berlusconi e Geronzi, e in particolare che oltre ad interessi interni agli equilibri del mondo finanziario che coinvolgerebbero Geronzi, ci sarebbero interessi più propriamente politici da parte di Berlusconi. Malgrado gli sforzi di Giannini, davvero non è possibile capire gli aspetti squisitamente politici, intesi nel senso di equilibri parlamentari. Apparentemente il giornalista dimentica che Berlusconi non è solo il premier, ma è anche uno dei più importanti imprenditori e capitalisti del nostro paese. Non è più semplice e ovvio che Geronzi e Berlusconi, se davvero hanno la responsabilità di tutto ciò che è successo, abbiano interessi economico-finanziari coincidenti? E’ così difficile ricordare che Marina, la primogenita del premier, presiede il CdA di Mediobanca, carica precedentemente ricoperta dallo stesso Geronzi poi passato alle Generali? Che Mediobanca è il principale azionista delle stesse Generali, che Unicredit è a sua volta il principale azionista della stessa Mediobanca? Che insomma tutte queste società sono inestricabilmente collegate, e che qualsiasi modifica di equilibri e di governance di ciascuna di queste società ha riflessi importanti su tutte le altre società?

Altra tesi importante di Giannini è che la sorte di Profumo fosse stata definita nella famosa cena del 18 luglio, che vide tra le altre, la partecipazione di Draghi, e l’esclusione di Tremonti. Ciò confermerebbe che Tremonti sia, oltre ovviamente allo stesso Profumo, il vero perdente in questa operazione. Si potrebbe inoltre ipotizzare un atteggiamento di benevola indifferenza di Draghi su tutta l’operazione.

Ancora interessante sembra la tesi che tutta l’operazione di inserimento nell’azionariato dei libici sia stata un vero e proprio tranello ai danni di Profumo, manovrata da Berlusconi e Gheddafi. In sostanza, Profumo pensava che i libici potessero costituire un sostegno nel CdA, ma in realtà egli stava accogliendo una serpe in seno. Non è senza significato che i libici abbiano votato con gli altri, tranne la Reichlin, per l’estromissione di Profumo.

Oggi, come dicevo all’inizio, molti articoli si affrettano a respingere l’ipotesi che si tratti di una congiura, di un’operazione costruita dietro le quinte tra i potenti. Davvero, questi credono di poterci fare bere quello che vogliono? La congiura è evidente, e chi la nega, mente spudoratamente. Ciò ovviamente non implica che sia possibile ricostruire ciò che dietro le quinte si è verificato, visto che non abbiamo accesso a informazioni riservate. Se un raggio di luce improvvisamente entra in una stanza con le tapparelle abbassate, non saprò l’origine della luce, ma sono comunque certo che la luce fuori è dovuta apparire.

Da ciò che ho sentito nella rassegna stampa di Radiotre, pare che Geronzi abbia negato il proprio coinvolgimento, rilasciando un’intervista allo stesso Giannini. Mi spiace, caro Geronzi, ma è davvero difficile crederlo, e d’altra parte, Lei è davvero interessato a far sapere al mondo intero quanto sia sprovveduto? Non solo Profumo è stato fatto fuori, ma l’altro grande banchiere italiano era all’oscuro di tutto: siamo davvero in mano ad incapaci allora, non c’è che dire!

Dirò la mia, come mi pare di dovere dedurre dalle cose che si leggono, sapendo che si tratta di una pura ipotesi senza possibilità di supporto mediante prove che naturalmente non posso avere.

Pare dunque che Profumo fosse già da tempo al corrente di quanto fosse precario l’equilibrio che lo manteneva alla testa di Unicredit. Certamente, trame erano in atto da tempo, e qualche notizia doveva essere giunta al suo orecchio. Geronzi, malgrado le smentite, resta inevitabilmente il maggiore sospettato: si tratta di una rivalità di lunga data, sia per motivi di interessi materiali, ma direi anche per motivi di mentalità. Ricordiamo che Geronzi nasce e cresce negli ambienti andreottiani, un aggettivo che è un marchio di garanzia. Profumo al contrario,a quanto ne sappia, si è in genere mantenuto abbastanza distante dagli ambienti della politica partitica: solo recentemente si è visto partecipare alle primarie del PD.

Nell’ipotesi che prospetto, Geronzi avrebbe prima di tutto stretto un patto di ferro con banchieri tedeschi, da parte loro frustrati dal protagonismo di Profumo, nonché ovviamente dall’essere stati assorbiti e salvati da una banca italiana. Questo è un passaggio determinante che nel post precedente avevo colpevolmente trascurato, un primo atto che mostra la carenza di senso della propria nazionalità, su cui probabilmente tornerò prossimamente. Secondo la stessa ipotesi, sembrerebbe che l’accordo coi tedeschi non assicurasse l’esito positivo dell’operazione. Qui nasce l’intervento determinante di Berlusconi, concordato nella citata cena del 18 luglio, alla presenza di Draghi e con l’assenza molto significativa di Tremonti. Berlusconi, curando i suoi personali interessi economici e non per fantasiosi e incomprensibili motivi politici, contatta Gheddafi, concordando con questi un tranello ai danni di Profumo. Quest’ultimo credeva di stabilire un patto indipendente col resto del management, ma in realtà si trattava come dissi di una pillola avvelenata. Con il contributo determinante degli investitori libici e forse anche di quelli di Abu Dhabi, la maggioranza è ora assicurata. Manca tuttavia ancora un tassello, il casus belli, bisogna cioè determinare il clima nell’opinione pubblica che giustifichi una scelta così traumatica, l’indiscusso boss da 15 anni che improvvisamente viene messo alla porta. E’ qui che interviene quel genio di Tosi, il pirla della situazione, che in nome del localismo padano, consente a libici e tedeschi di comandarci in casa. E’ tanto sprovveduta la parte giocata da Tosi che devo escludere che sapesse cosa stesse succedendo, ha svolto alla perfezione il ruolo dell’utile idiota. Gridando giù le mani libiche da Unicredit, Tosi da’ il tocco finale all’operazione in seguito alla quale si determina un peso crescente di mani straniere dentro la banca, un risultato niente male direi, per chi pretende di difendere il territorio.

Qui, infine, entrano in gioco gli equilibri interni alla Lega. Molti parlano di una crescente autonomizzazione dei veneti nella Lega. Sostanzialmente estromessi dal vertice, composto da Bossi, Maroni e Calderoli, i veneti provano a gestirsi alcune faccende con la scusa che si tratterebbe di faccende locali. Il punto è che, mentre i lumbard, ma direi specificamente Bossi, sono persone politicamente abili, i veneti sono molto più rozzi, sostanzialmente incapaci di cogliere la complessità insita in operazioni ad alto livello. Adesso Bossi sarà furente con quelli come Tosi, ed anche tanto preoccupato di avere permesso che la Lega, anche se non per mano sua, facesse da una parte uno sgambetto al fidato Tremonti, e dall’altra favorisse stranieri al posto di profumo, che poi è il risultato effettivo dell’operazione.

mercoledì 22 settembre 2010

L'AFFAIRE PROFUMO

L'affaire Profumo, la sua estromissione dal vertice dell’UNICREDIT, la più grossa banca italiana, procede nel mistero più profondo. Vorrei brevemente ricordare che fino a ieri Profumo era uno degli uomini più potenti d’Italia (anche uno dei più pagati in verità). Non solo come amministratore delegato era il vero capo della banca, ma lo era da ben quindici anni, ed anzi egli è stato lo stesso inventore di UNICREDIT. Egli è partito dal Credito Italiano, al momento della privatizzazione delle cosiddette banche di interesse nazionale una volta dell’IRI (le altre due erano la Banca Commerciale, ora finita in Intesa-San Paolo, l’altra la Banca di Roma, finita in Capitalitalia), e ne ha fatto una creatura completamente differente, espandendosi in tutto il mondo fino a renderla la più internazionale delle banche italiane, anche tramite acquisizioni successive.

Seppure quindi, il mistero è fitto, tuttavia alcune cose sembrano chiare. La prima è che la politica è stata presa di sorpresa da questi eventi. Anzi, il dato politico è proprio questo, non soltanto questi sono dei maneggioni senza limiti, ma sono anche incapaci, e qualcuno gliel'ha fatta alle spalle. Le dichiarazioni di Tremonti sembrano escludere nella maniera più netta un suo coinvolgimento. Il ruolo delle fondazioni bancarie è stato sopravvalutato. Qui mi pare, c'è essenzialmente una resa dei conti interna al mondo bancario. Due ipotetici nomi mi vengono alla mente, Geronzi e Draghi, gli unici abbastanza potenti da potere garantire il successo dell'operazione. Senza conoscere i retroscena, è impossibile ricostruire trama, responsabilità e finalità nella vicenda, ma attribuire alla Lega che tuona a destra e manca, un ruolo da protagonista, è un errore clamoroso. Chi ha condotto l'operazione, si è guardato bene dal pubblicizzarla: meno se ne sa, e meglio è per lui. Non solo il mondo politico e lo stesso governo ha saputo a cose fatte e non è stato minimamente consultato, ma la conseguenza in un certo senso paradossale è che alla fine ne risulta un’influenza significativa del mondo bancario sugli stessi equilibri politici. Da un punto di vista più generale, ne viene fuori ciò che io, come tanti altri, sosteniamo da tempo, che la malattia dell’Italia non può essere confinata al mondo politico-parlamentare, ma coinvolge i poteri più diversi, due soprattutto, quello dell’informazione, e quello finanziario. Ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe Berlusconi senza Mediaset, come esempio significativo. In un momento di particolare debolezza del sistema dei partiti, sempre più paralizzato da veti di ogni tipo, questi poteri alternativi smebrano sollevare la testa, sbrigarsi le loro faccende interne senza alcun timore reverenziale verso il governo, e alla fine chissà come influenzare il quadro complessivo dei poteri nella nostra nazione.

Vorrei ricordare che parallelamente è avvenuta un’importante operazione sullo IOR, la banca vaticana, che adesso è in mano ai magistrati, ma sarebbe bene ricordare che l’iniziativa è partita dalla Banca d’Italia, che ha imposto una sospensione di cinque giorni a un’operazione, su cui il magistrato ha operato sequestrando l’ammontare del trasferimento oggetto della transazione. Se di Draghi si trattasse, ma è una pura ipotesi senza alcun riscontro obiettivo, allora potremmo concludere che il governatore si stia dando molto da fare, e non dico certo che ciò mi dispiacerebbe, vedremo cosa ne viene fuori. Se invece fosse Geronzi il protagonista, altra ipotesi senza altre evidenze, la cosa sarebbe ancora più preoccupante, perché affiderebbe sempre più alle sue mani, alle mani cioè di un pluri-inquisito, le sorti della finanza italiana.

Non sembra fuori contesto il massiccio ricollocamento di titoli di stato che sarà necessario nei prossimi mesi. Forse, tra qualche settimana, ci saranno elementi che potranno gettare luce sull'intera faccenda.

domenica 19 settembre 2010

POVERO WALTER, STAVOLTA BAFFINO TE L'HA FATTA!

E dunque sembrerebbe che a baffino questo giro stia andando bene. Due nemici egli ha, Veltroni e Vendola, e mi pare che stia vincendo ai punti, com’è nel suo costume. Ha messo alla segreteria il fedele Bersani, ha favorito la presidenza della Bindi, nota avversaria storica del Walter, ha perfino saldato il quadro delle alleanze includendo Franceschini, con ciò determinando automaticamente la frattura del gruppo all’opposizione alla segreteria.

Insomma, il Walter è stato costretto a venire allo scoperto, dandosi così in pasto a una base di bocca buona, pronta a scaricare su Walter tutte le colpe dell’attuale situazione politica, che urla contro un sistema maggioritario che nella realtà non v’è mai stato. Ora, non è che io voglia difendere Veltroni, figuriamoci, ma il sistema che abbiamo è farina del sacco di D’Alema, mica di Veltroni, è un sistema che mirabilmente unisce tutti i difetti contemporaneamente del maggioritario e del proporzionale. Io dico che prima di sparlare del maggioritario, avremmo almeno dovuto provarlo no? La cosa paradossale è che si scambi l’attuale sistema misto per un sistema maggioritario: Vorrei vedrli Bossi e Berlusconi a competere seggio uninominale per seggio uninominale al nord, pensa come sarebbero soddisfatti!

Tornando al PD, D’Alema, costringendo Veltroni a porsi al centro del dibattito politico, è abilmente riuscito a sviare tutti i dissensi e le antipatie che pure non glimancano all’interno di questa area di elettorato sul suo eterno rivale, ed ora col fido Bersani vedono di normalizzare l’anomalia Vendola.

Il punto fondamentale sta nello stabilire non se fare le primarie, ma come farle, in che fase. A loro basta depotenziarle, e per questo scopo bisogna che esse vengano come anello finale di un processo di costruzione del quadro elettorale della sinistra. Mi pare che all’intenro del PD sia ormai prevalsa, temo definitivamente, l’ipotesi di elaborare un proprio programma, su questa base definire il quadro delle alleanze, e infine, una volta blindati programma da una parte, e coalizione dall’altra, scegliere mediante le primarie il leader diventa un’operazione secondaria. Non solo, se sono così abili a costruire un programma abbastanza sbilanciato a destra, esso rischia di essere indigeribile perfino per un politico abbastanza malleabile e, direi, ermetico, come Vendola: a questo punto, sarebbe lui stesso a doversi tirare indietro, lasciando il PD, come sempre, a difendere il proprio ceto politico alla faccia dei bisogni e delle opinioni dei suoi elettori.

Dico insomma che questo ruolino di marcia costituisce inevitabilmente la scelta politica fondamentale, perché colloca le primarie su un terreno di decisioni già assunte, sull’impossibilità per chi vota alle primarie di esprimere un’alternativa politica: ancora una volta, abbiamo il monopolio della politica nelle mani nient’affatto raccomandabili delle varie segreterie. Temo che perfino il buon Di Pietro ci stia a una procedura di questo tipo, perché per lui è vitale togliersi dalle scatole Vendola, l’unico che possa mettere in pericolo il suo ruolo di uomo più alternativo a Berlusconi.

Non so come andranno a finire le cose, ma certo consono messe bene, le solite consorterie operano più che mai nell’ombra, rivendicando sfacciatamente ancora una volta l’iniziativa politica. Non sono un osannatore delle primarie, ma oggi, quale mezzo alternativo cìè per mettere in crisi i gruppi dirigenti, inetti ed autoreferenziali, della sinistra?

Purtroppo, ancora una volta devo osservare che le capacità critiche di chi si considera di sinistra sono modeste, essendo facile preda dei giochetti che i soliti noti ci propinano senza remore e senza sentire il bisogno di pensionarsi.

giovedì 16 settembre 2010

BRUTTE NUOVE DAL MONDO UNIVERSITARIO

E’ notizia recentissima che il Senato Accademico dell’Università di Bologna ha approvato una delibera che giornalisticamente è stata chiamata “ultimatum ai ricercatori”. Si tratta con tutta evidenza di una presa di posizione al 100% politica, che supporta col proprio consenso acritico il DDL Gelmini approvato dal Senato ed in discussione alla Camera, che quindi si oppone al movimento che si è sviluppato nell’ultimo anno, di dissenso su norme della massima importanza per il funzionamento e per la stessa sopravvivenza dell’Università come finora l’abbiamo conosciuta.

Aldilà però del merito della questione, trovo questa delibera estremamente grave dal punto di vista del metodo. In primis, ci si chiede perché un organismo che politico, per propria stessa natura e funzione istituzionale, non deve essere, perché abbia ritenuto opportuno o fors’anche necessario deliberare su aspetti che non possono che generare effetti politici, debordando così clamorosamente dalle proprie prerogative. Inoltre, dal punto di vista formale, i compiti didattici rientrano nella sfera della scelta individuale. Qui, Il Senato Accademico non aveva ragione di rivolgersi ai ricercatori come entità collettiva, ma avrebbe dovuto limitarsi a definire una via procedurale. Avrebbe potuto, rimanendo all’interno delle proprie funzioni istituzionali, proporre alle Facoltà un percorso procedurale, imponendo ad esempio un termine ultimativo per l’emissione dei bandi per il conferimento degli insegnamenti risultati a quella data vacanti per contratto. Tra l’altro, non è chiaro come l’università di Bologna intenda coprire le spese relative a tale copertura che per sua natura è onerosa. La cosa è di un certo interesse, perché, trattandosi di una circostanza straordinaria, dovuta appunto allo sciopero in corso da parte dei ricercatori, è presumibile che la cifra a suo tempo messa a bilancio sia del tutto inadeguata, a seguito della numerosità, imprevedibile al momento della stesura del bilancio, di tali contratti. Ha già il Consiglio di Amministrazione proceduto alla relativa variazione di bilancio?

In altre parole, il Senato Accademico può definire le procedure per la copertura degli insegnamenti, ma non si capisce in che veste si rivolga ad una categoria in sciopero se non in una vesta tipicamente politica, e cioè con l’intento illegittimo di lanciare messaggi, l’uno intimidatorio verso la stessa iniziativa di scioperare, l’altro di consenso al progetto parlamentare-governativo sull’Università: davvero una brutta pagina per le istituzioni universitarie.

mercoledì 15 settembre 2010

I FATTI DI LIBIA 2

Ieri abbiamo avuto una seconda puntata della vicenda del mitragliamento del peschereccio italiano da parte dei libici. Abbiamo così avuto dichiarazioni da parte die membri del governo, ma non del premier, che evidentemente preferisce piuttosto occuparsi delle barzellette su Hitler.

Mi soffermerò in particolare sulle dichiarazioni di Maroni, ministro degli interni, e di Frattini, ministro degli esteri.

C’è da rimanere trasecolati. Maroni ha dichiarato che si è trattato di un incidente. E perché trattasi di un incidente? Perché la mitragliatrice ha sparato per sbaglio, per l’incepparsi di un meccanismo? Ma no, l’incidente consiste per questo nostro politico che ha smarrito il senso stesso della vita umana e del suo valore prioritario, nel fatto che la motovedetta ha scambiato il peschereccio per un battello pieno di migranti. Avete capito bene? Vi è chiaro cosa pensa Maroni, e pensandolo finisce col confessarlo? Che se si fosse trattato di migranti, allora sì che sarebbe stato lecito mitragliarli. Maroni è promosso sul campo a “giustiziere degli ultimi del mondo”, complimenti ministro, e continui così, che c’è speranza che Berlusconi sostituisca Hitler con lei nelle sue barzellette!

Frattini da parte sua, dichiara invece che il peschereccio stava pescando nelle acque territoriali libiche. Anche qui, complimenti ministro: se qualcuno va a pescare dove non è consentito, allora può essere tranquillamente mitragliato. Avvisiamo quindi gli agricoltori: se vedete qualcuno che si è introdotto nel vostro fondo e sta rubando la frutta sugli alberi, giustiziatelo subito con un bel colpo di pistola, avrete la solidarietà del nostro governo!

Possibile che sia necessario insegnare a questi due ministri analfabeti in materia che il diritto internazionale prevede come obbligatorio il preventivo avviso prima che si inizi a sparare anche quando si trovi in una situazione di illegalità?

Un’altra osservazione va fatta, la discrepanza evidente tra le ricostruzioni fatte dai due ministri: insomma, evidentemente non hanno la più pallida idea di ciò di cui parlano.

Mi chiedo se questo episodio, in sé marginale negli effetti, non essendoci state vittime, ma carico di significati simbolici, non possa costituire una delle pietre su cui un’opposizione degna di questo nome costruisca il suo successo elettorale. Un elettorato anche vagamente di destra dovrebbe tenere molto alla sovranità dell’Italia. Fino a che punto è possibile che nella testa degli elettori si concili l’anti-islamismo palese nell’elettorato di destra con il chiudere entrambi gli occhi verso l’atteggiamento di un crudele dittatore che ha sempre assunto il ruolo di paladino dell’Islam, e che oggi risponde alla politica conciliante, perfino subalterna per certi aspetti, del nostro governo verso di lui, non esitando ad utilizzare i mezzi da noi ricevuti per crivellare di colpi una nostra nave, con l’aggravante della presenza a bordo di finanzieri italiani. Dovrebbe essere evidente a tutti che il governo libico non ritiene di rispettare l’Italia e gli Italiani, ricambiando un atteggiamento ossequioso e cordiale aldilà di ogni limite di decenza del nostro governo con un totale disprezzo della nostra sovranità. E’questa la politica estera proposta da Berlusconi e dall’evanescente Frattini per dare all’Italia il ruolo che le spetta nel contesto internazionale? Se la politica estera di una nazione è prona agli interessi elettorali della Lega, quella nazione già non esiste più, è solo òa caricatura di sé stessa.

lunedì 13 settembre 2010

LA MOTOVEDETTA REGALATA A GHEDDAFI SPARA CONTRO I NOSTRI PESCATORI

La notizia è davvero sconvolgente: un peschereccio italiano è stato crivellato di colpi da una motovedetta libica, donata proprio dal nostro governo, e pare che sulla nave fossero presenti ufficiali della nostra Guardia di Finanzia. Ecco a cosa porta la politica di condiscendenza del nostro governo, questo rapporto di subordinazione a uno dei peggiori dittatori esistenti al mondo, ecco a cosa serve il baciamano grottesco di Berlusconi a Gheddafi, ecco a cosa serve avergli concesso la possibilità di piazzare le tende a Villa Borghese, avergli consentito di organizzare riunioni non meglio precisate con frotte di signorine pronte a farsi indottrinare sulla religione islamica. E tutto questo perché la Lega possa attuare indisturbata la sua politica chiusa ad ogni forma di accoglienza, un disegno politico e perfino ideologico a cui si può sacrificare tutto, la vita di migranti dispersi in mare o dispersi nel deserto libico, la dignità stessa della nostra nazione, ed adesso anche la sicurezza dei nostri pescatori, a cui Gheddafi, nella sua rozzezza di dittatore a vita, non risparmia le pallottole senza avvertire il cattivo gusto al limite della derisione verso l’Italia. Aspettiamo adesso la reazione del governo italiano, di quel tartufo di Frattini, di quel decisionista a giorni alterni che è il nostro premier. Grande politica estera dell’Italia, adesso Gheddafi, a capo di un paese a basso popolamento, mai ammesso ai circoli esclusivi dell’economia e della politica mondiale, si può fare gioco di noi fin anche puntandoci contro i giocattoli che gli abbiamo, secondo una scelta geniale di lega e Berlusconi, regalato.

domenica 12 settembre 2010

AI MARGINI DEL CASO VESPA - AVALLONE

Avevo una sensazione non meglio specificata che il modo in cui stampa e blogsfera trattavano la questione Vespa-Avallone non mi convincesse, non potessi condividere quanto c’era scritto. Sì, è vero, l’atteggiamento di Vespa era sicuramente esecrabile, ma cosa esattamente non quadrava? Riflettendoci, man mano si faceva luce la mia opinione sull’accaduto. Non era il suo sguardo che si era posato sul decolletè che non andava, era il commento verbale che ne era seguito. Quel commento, come giustamente molti facevano osservare, tendeva inevitabilmente, persino al di là delle intenzioni soggettive del protagonista, a spostare l’attenzione dai meriti letterari dell’Avallone ai suoi meriti come donna capace di attrarre maschi.

Devo adesso spiegare perché mi trovo in dissenso sull’opinione sullo sguardo da tanti giudicato indiscreto, anzi addirittura voyeristico. Lo faccio soprattutto perché questi commenti mi sembrano molto significativi e sollevano tematiche ampie, che travalicano largamente l’episodio specifico.

Io credo dunque che dovremmo prima o poi superare i tabù che tuttora, malgrado la sbandierata pretesa liberazione sessuale, ci affliggono come retaggio di una lunga cultura che continua a fare una classificazione delle parti del nostro corpo. Secondo questa ovvia cultura che ci impregna, le parti del corpo femminile che suscitano eccitazione sono tette, chiappe, e naturalmente genitali. La cosa che dovrebbe fare riflettere è che questo nostro punto di vista di occidentali differisce clamorosamente dalla visione di gran parte degli africani e degli indios: per loro, le tette non provocano alcun particolare richiamo erotico. Ma non solo: è noto che nel mondo islamico esistono correnti che soprattutto negli ultimi decenni hanno visto crescere la loro influenza anche numerica, per cui la donna dovrebbe nascondere il volto ed in particolare i capelli. Cosa ci dice l’esistenza stessa di questa deprecabile norma? Che per i musulmani, il volto ed i capelli provocano un enorme richiamo erotico. Mi raccontava una mia amica che ha viaggiato in Iran, che all’improvviso un uomo in un ristorante è andato dritto verso di lei con atteggiamento severo. Si chiese subito cosa non andasse nel suo abbigliamento, e notò che la gonna si era un po’ sollevata, e quindi rapidamente la rimise a posto: errore, l’uomo prese una ciocca di capelli uscita dal chador, e la rimise al riparo da sguardi indiscreti.

Devo dire che anch’io trovo che la parte più erotica della donna sia il volto, come credo che questo valga in qualche misura anche reciprocamente per gli uomini. Uno sguardo, gli occhi, le labbra costituiscono per me il richiamo erotico più forte, e capisco, anche non condividendo naturalmente, come per chi fa coincidere eros e peccato, il volto non debba essere mostrato senza protezione alcuna. Per il resto, il corpo è erotico nella sua interezza, e non lo è solo per come è fatto, come può essere immortalato in una fotografia, ma perché il corpo vive. Non sono le labbra che sono erotiche, quanto principalmente il fatto che si aprano e si chiudano, che si allarghino e si restringano. In fondo, l’erotismo è l’inno alla vita, siamo vivi e amiamo la vita che sta in noi e quella che sta negli altri. Siamo potenzialmente eccitabili, e l’incontro con la femmina della nostra specie colta nel suo vivere ci eccita.

Cosa c’entra tutto questo sproloquio con l’argomento Vespa-Avallone? C’entra sì, perché qualcuno sembra ritenere che un maschio non dovrebbe puntare i propri occhi sul decolletè delle signore. Ora, è evidente che uno sguardo fisso è per sua stessa natura imbarazzante, ma questo dovrebbe valere sempre, qualunque sia la parte del corpo fissata. Mi chiedo allora se uno sguardo fisso di Vespa negli occhi della Avallone avrebbe causato un’uguale reazione. Vedo cioè dietro le opinioni espresse in proposito un antico pregiudizio sul fatto che le tette non si guardano: ma viva Dio, guardiamocele, guardiamocele pure, almeno se la donna ce ne offre la visione. Perché, e questa è la cosa più buffa, se una donna si mette in decolletè, non può poi pretendere che il nostro sguardo eviti accuratamente di volgersi lì dove si affaccia quell’oscuro oggetto del desiderio che nel mondo occidentale è ancora nel terzo millennio il seno femminile.

sabato 11 settembre 2010

MAFIE SEMPRE PIU' FORTI

Due episodi recenti dicono la verità sullo stato del potere effettivo delle grandi organizzazioni criminali ai nostri giorni. Si tratta della bomba che è stata fatta scoppiare nell’ingresso della palazzina in cui abita il procuratore generale di Reggio Calabria, e dell’attentato mortale a Vassallo, sindaco di un comune del Cilento, nella parte meridionale del salernitano. Su Vassallo, si sa ben poco, speriamo che gli inquirenti riescano presto a stabilire le responsabilità. La cosa che però lascia davvero interdetti è l’attentato di Reggio Calabria. Come si sa, il procuratore generale non ha competenze inquirenti, non presiede alle indagini, né istruisce i processi, il PG ha piuttosto una funzione di garanzia sul funzionamento della Procura, potendo in determinate condizioni avocare a sé le indagini e la funzione di accusatore nei processi. Il PG insomma non si trova in prima linea, la sua funzione si svolge fondamentalmente nei confronti della Procura, un meccanismo come dicevo di garanzia interno al potere giudiziario. Risulta così incomprensibile questo avvertimento al PG, e ritengo molto grave che il potere politico e il settore dell’informazione abbiano prestato un’attenzione prossima a zero a questo evento. La ‘ndrangheta non fa scoppiare una bomba senza che esista un motivo specifico e ben fondato per farlo. Non sarebbe doveroso tentare di stabilire quale sia tale motivazione?

Maroni può affermare, autoglorificandosi, quello che vuole sui successi della lotta alle mafie, la verità è il loro potere non è stato mai così forte come adesso. Eppure, il ministro supporta le sue analisi con dati statistici di indubbia validità, almeno in termini di sequestri di proprietà dei mafiosi e di cattura di latitanti. Ci si dovrebbe porre la domanda di come possa convivere questo sempre più forte potere mafioso con i colpi che sono stati loro inferti da magistratura e forze dell’ordine. La risposta mi pare stia nella mancanza di credibilità in chi conduce questa battaglia, nel governo stesso di questa nazione, nella sua classe politica, coinvolgendo anche fasce dell’opposizione.

Ci si potrebbe chiedere se i meccanismi attraverso cui opera questa classe politica, il modo in cui assume certe decisioni, il modo in cui ritiene di selezionare la propria stessa composizione, non somiglino pericolosamente a quelli che vigono all’interno delle grandi organizzazioni criminali. Ci si potrebbe chiedere come i frequenti episodi accertati di collusione tra queste due sfere non comportino poi necessariamente la certezza per le mafie di potere continuare ad operare con una certa tranquillità, visto che il potere politico non può essere interessato a sconfiggerle, senza con questo determinare un ridimensionamento del proprio stesso potere.

Io credo quindi che la risposta al quesito che ponevo all’inizio sia in definitiva abbastanza semplice, troppe commistioni, troppe somiglianze, perché lo stato possa lanciare una sfida decisiva e finale alle mafie, piuttosto una convivenza data per scontata anche se certo non priva di contraddizioni, visto che, fortunatamente esso non coincide del tutto col potere politico, che questo non è comunque omogeneo al suo interno, e che l’istituzione stato ha, malgrado tutto, tanti fedeli servitori, disposti anche a sacrificare la loro stessa vita a questa fondamentale battaglia.

mercoledì 8 settembre 2010

IL TG LA7 DI MENTANA E' BRUTTO

Capisco che con i tg che ci ritroviamo, non è che si possa fare troppo i difficili, ma dire che il nuovo tg de “LA7” di Mentana sia un buon tg è ugualmente impossibile. Non sono un attivo frequentatore di tg, ma vedere un tg che in tutto dura 25 minuti dedicare 15 minuti alla politica interna e 10 minuti alla cronaca nera, e naturalmente 0 minuti al mondo (si sarà accorto Mentana che l’Italia è solo una parte minuscola dell’intero nostro pianeta???) mi costringe ad esprimere il mio più severo giudizio. Mentana fa share, e del resto sarebbe ben difficile remare contro questa corrente prevalente che vede il gradimento della gggente come il riferimento assoluto per qualsivoglia valutazione, ma io, nel mio minuscolo, rimango dell’opinione che si tratta di un tg pessimo, appena al di sopra del minzotg, dei vari mediaset-tg, ma ancora, direi, largamente al di sotto del tg3 e di RAInews24. E tanto che mi trovo a parlare di gradimento, quanto risulta patetica l’organizzazione dei blogawards, ed ancora di più dei commenti al riguardo che si leggono sui blogs che hanno ricevuto nominations. Il blog cattivo ne parla con distanza, ma non dimenticando di suggerire quale specifico post votare, il blog d’opinione dice che ne parla, e ne parla tanto, solo perché questi blogawards non sono una cosa seria- Sicuramente, ne convengo, si tratta di una buffonata, ma per il blogger che se ne occupa, caldeggiando evidentemente sé stesso, si tratta certamente di una cosa maledettamente seria. Diciamo la verità, questi non ci dormono la notte per vincere, vincere qualsiasi minchiata, ma vincere sul piano del gradimento, questo è l’imperativo. Poiché si tratta di premi annuali, questi poveretti stanno a lavorarci tutto l’anno, si perdono il piacere di esprimersi liberamente per potere piuttosto dire ciò che gli altri vogliono sentirsi dire. Chissà, forse potremmo arrivare alla conclusione che il successo in termini di gradimento sia una misura inversa del valore, ma dato il basso gradimento al mio blog, sarebbe fin troppo facile citare la favola della volpe e dell’uva…

martedì 7 settembre 2010

BERLUSCONI PRENDE INIZIATIVE DISPERATE

Non avrei voluto scrivere post sulla politica interna, non posso minimamente convenire con gli entusiastici commenti di tanti blog che frequento verso Fini: è la storia di uno scontro politico tra due persone che non stimo e che vedrei volentieri starsi entrambi a casa propria, e mi rifiuto di affidare, come fa il PD, le sorti della politica a simili personaggi.

Ciononostante, le notizie che ho sentito questa mattina mi impongono di occuparmi della faccenda mio malgrado. Dunque, la grande trovata di Berlusconi starebbe nel coinvolgere il Presidente della Repubblica nella questione della permanenza di Fini alla presidenza della camera. Come si capisce, questo appellarsi al Capo dello Stato, fa parte di un attacco a Fini a seguito delle note dichiarazioni di questo, invero estremamente critiche e taglienti, anche azzeccate aggiungerei, su Berlusconi. Ora, ciò che io non capisco, è la forma che secondo questi dovrebbe assumere la contestazione a Fini.

Togliamo subito di mezzo il coinvolgimento di Napolitano. Cosa possa fare questi a proposito della presidenza della camera rimane un mistero. Possibile che nello staff dei collaboratori più stretti del premier siano così ignoranti di diritto costituzionale, da non comprendere come le Camere legislative dispongano della massima autonomia di funzionamento da qualsiasi altro potere, tanto da avere un proprio autonomo bilancio, un proprio sistema autonomo di sicurezza e così via? Possibile che essi ignorino che le forme in cui il Capo dello Stato può esercitare la sua influenza sul potere legislativo siano dettagliamene specificate nella costituzione (messaggio alle camere e scioglimento delle stesse per indire nuove elezioni), proprio a rimarcare che sono le uniche permesse, e tutte le altre del tutto proibite?

Il metodo di contestazione alternativo che posso immaginare è la continua gazzarra nel corso delle sedute della camera, ma dubito che vogliano arrivare a tanto. Intanto, Fini da presidente può espellerli quando crede, e poi sarebbe un modo di paralizzare l’attività del Parlamento: sarebbe lo stesso governo la prima vittima, non potendo procedere alla sua attività.

Il motivo poi addotto per giustificare l’estromissione di Fini, sarebbe che egli, da leader di un nuovo raggruppamento politico, non garantirebbe più la neutralità delle sue funzioni. Con il che, Berlusconi ammette che la nomina di Fini alla presidenza della camera serviva a pensionarlo, a toglierli ogni residuo rilievo politico. Non sarà invece che sin dal sorgere della cosiddetta seconda repubblica, si decise che la prassi prima esistente, di attribuire questa carica secondo criteri di garanzia e neutralità, andava superata, che ormai, in regime maggioritario chi vinceva si prendeva tutto? In ogni caso, Berlusconi può solo ammettere di essersi sbagliato a far eleggere Fini a quello scranno: ora a Fini non può far niente, può solo allontanarsi, ove lo ritenga, dalla politica attiva, ammettendo la sua incompetenza ed inadeguatezza.

No, non credo che Berlusconi abbia fatto una mossa efficace, come sembra credano alcuni dei suoi collaboratori anche in ambito giornalistico. Mi pare piuttosto che egli si dibatta in una situazione da cui non sa più come uscire. Da una parte, Bossi non è disposto a dargli più niente, e pretende che si vada ad elezioni che le proiezioni gli danno per molto favorevoli alla Lega, dall’altra non riesce, neanche se si sforza, a perdere la maggioranza e quindi la fiducia del Parlamento. Come farà a dimettersi ed ad ottenere da Napolitano nuove elezioni? Dimettersi può in qualsiasi momento, ma non ha alcun motivo accettabile per fare sciogliere le camere, visto che la maggioranza di governo esiste e resiste. Presumibilmente, Napolitano sarebbe costretto dal dettato costituzionale a dare un mandato esplorativo a qualcun altro, che potrebbe costituire un governo che andrebbe a firmare nelle mani del Capo dello Stato. Altrettanto presumibilmente, questo governo non otterrebbe la fiducia del Parlamento, ma esso sarebbe comunque regolarmente insediato, e potrebbe gestire la fase elettorale. Siamo certi che Berlusconi voglia e che comunque gli convenga cedere ad altri la gestione della fase elettorale, e risultare egli l’artefice dello scioglimento del Parlamento con la sua decisione di dimettersi pur conservando la maggioranza? Insomma, questa campagna per le dimissioni di Fini appare come un’arma spuntata: il cerino gli rimane ancora in mano.

domenica 5 settembre 2010

SUPERFICIALITA' O PROFONDITA'?

Da saltimbanco delle parole quale è, Baricco ha recentemente lanciato una provocazione sul tema della superficialità e della profondità. Riassumendo, ma naturalmente vi consiglio caldamente di leggere il suo articolo, egli considera positivo cercare il senso del mondo senza approfondimenti, giusto limitandosi a correre da un luogo all’altro, ricomponendo frammenti in un’opera al plurale.

Come mi capita spesso quando non sono d’accordo con qualcuno, questo dissenso si manifesta già sul piano linguistico. Ebbene, piuttosto che dire, come fa Baricco, che attraversiamo il mondo alla ricerca di senso, io direi piuttosto che viviamo sin dall’acquisizione della lingua materna, in un universo simbolico. Il senso non è qualcosa che quasi rincorriamo lungo il corso della nostra esistenza, ma è il mondo che ci strappa dal livello istintivo della nostra esistenza, quella che attribuiamo agli altri animali, per costringerci a frapporre il linguaggio, quello che seguendo Freud possiamo chiamare l’Io, tra noi e il mondo. Da allora, il senso c’è consegnato già bello e confezionato dalla cultura in cui siamo immersi, anche se ovviamente ognuno rielabora in qualche misura questa cultura ricevuta, anche a seguito delle esperienze di vita maturate.

Se le cose stanno così, allora correre da un luogo a un altro del mondo senza farsi domande sulle stesse cose che ci capitano, non significa sostituire un senso profondo con un senso superficiale, ma piuttosto sorbirsi passivamente i sensi che altri danno. Altro che opera al plurale come dice Baricco. Nella sua visione, ognuno porta il proprio frammento e la libertà individuale sta nel momento della ricomposizione individuale. In realtà, se le cose stessero davvero così, allora non esisterebbe neanche la società. La verità è sostanzialmente opposta a quella che Baricco vorrebbe farci credere, il senso più o meno profondo, un senso che ha una sua organicità non è mai stato più monopolistico che ai nostri giorni. Niente pluralismo, niente lavoro a più mani come dice Baricco, ma al contrario un mondo omologato proprio perché questa profondità negata da Baricco che la considera alla stregua di un tesoro leggendario e nei fatti inesistente, viene invece narrata da pochi e assunta acriticamente da tanti. Non è quindi che viviamo su una superficie che rappresenta la totalità del reale, ma che abbiamo assunto senza un vaglio personale critico la profondità che altri ci consegnano. Devo dire che in fondo non c’è nulla di assolutamente nuovo in tutto ciò. Se come io credo noi abitiamo in un mondo simbolico, questo mondo simbolico è sì convenzionale, dovuto alla condivisione di una cultura, in cui siamo immersi da quando siamo in grado di comprendere un linguaggio, ma non per questo può essere possibile, neanche a livello di principio, vivere senza di questa profondità. La questione fondamentale quindi è se tutti, o comunque il maggior numero possibile di persone, può accedervi, oppure se dobbiamo acquisire passivamente ciò che altri hanno elaborato. Perfino a livello tecnologico, il fatto che un utente di un oggetto può utilizzarlo senza sapere com’è fatto non può indurci a farci credere che non esista comunque un ingegnere che l’ha progettato. Seguendo il ragionamento di Baricco dovremmo giungere alla conclusione paradossale che l’uso passivo di un oggetto tecnologico comporta il fatto che tale oggetto si è costituito da solo, che non ci sia un’intelligenza che ha permesso di costruirlo.

La negazione delle ideologie, vero emblema di questa profondità, non significa vivere senza pensare ideologicamente, ma piuttosto subire passivamente l’ideologia dominante.