giovedì 26 agosto 2010

OPPORSI ALLA FOLLIA CAPITALISTA

Mai come in questi ultimi mesi si sente il bisogno di una nuova radicalità in politica. Da una parte, la crisi economica spinge il mondo imprenditoriale verso una gara per una concorrenzialità crescente a livello globale, dall’altra cresce parallelamente l’intensità dei disastri ambientali. In quest’anno, abbiamo avuto almeno tre eventi davvero epocali, che ricordo brevemente. Il primo in ordine cronologico è costituito dal riversarsi di un’enorme quantità di greggio nel golfo del Messico, a causa di un incidente collegato a una trivellazione a grande profondità. Sono seguiti, praticamente in contemporanea, eventi meteorologici davvero senza precedenti, almeno da quando si abbiano dati di confronto. L’uno è costituito dall’anticiclone sulla Russia che ha causato temperature assolutamente inconsuete in quella regione, come pure una lunga siccità, e tutto questo risulta eccezionale soprattutto dal punto di vista della durata di queste condizioni. L’altro evento è costituito dalla quantità enorme di precipitazioni monsoniche in una vasta area che va dall’India alla Cina, passando per il Pakistan. In particolare, in questo paese, le precipitazioni hanno causato delle alluvioni che hanno coinvolto un’area vastissima del paese.

E’ evidente che qualcuno può declassare questi eventi fino a farli diventare degli episodi marginali, dovuti a condizioni contingenti. In verità, non può esistere alcuna possibilità obiettiva di collegarli alla politica, di fare cioè discendere questi disastri all’attività umana, così come socialmente organizzata. Nello stesso tempo, per le persone di buon senso è difficile credere a coincidenze particolari, dovute solo alla fatalità.

Insomma, qui si pone un problema enorme, che si può così riassumere. Il capitalismo globale impone una rincorsa verso una crescita sempre maggiore del PIL. La crisi crea una crescita della competizione, perché una domanda debole rende più difficile il piazzare la merce prodotta. La competizione a sua volta impone un aumento della produttività, per potere ridurre i costi. La conseguenza finale di questa logica è che si produce troppa merce, e la si produce con troppa poca gente. Andiamo quindi a una situazione di crescente sfruttamento delle risorse naturali, e nel contempo ciò avviene in presenza di sempre meno occupati. Il fatto è che anche aree del mondo in cui si era creata una legislazione del lavoro orientata al lavoratore, come tipicamente l’Europa, nella presente situazione si trovano di colpo a dovere sottostare a condizioni di lavoro sempre più gravose, con salari decrescenti, almeno in valore reale. Tutto ciò, come dicevo, avviene in un contesto che dovrebbe sconsigliare uno sfruttamento così esteso e sistematico delle risorse naturali per motivi di una gravità assoluta: la stessa possibilità di sopravvivenza dell’umanità.

Se sulla base di buoni motivi, i tre disastri ambientali che citavo, si ritiene che il paventato danno ecologico globale dovuto all’attività antropica abbia già raggiunto, proprio ai nostri giorni, il livello di guardia, e che cioè un perseverare in questa distruzione sistematica dell’ambiente all’unico scopo, in fondo sciocco, di circondarci di sempre più oggetti, allora opporsi al meccanismo perverso della competitività sempre più feroce e in realtà inutile non è soltanto ragionevole, ma addirittura un dovere morale, una capacità di opporsi alla follia collettiva per evitare la catastrofe all’umanità a cui apparteniamo.

Come si capisce, non sembra essere l’ora delle risposte articolate, della moderazione, ma è piuttosto il momento di schierarsi, di gridare ai propri simili che stiamo accelerando il treno che ci porterà verso un burrone da cui sarà impossibile salvarsi.

Ciò che allora dovremmo proporre è una società in cui ci sia lavoro per tutti, che le condizioni di lavoro siano umane, che l’orario di lavoro sia abbastanza ridotto da contenere la produzione totale di merci. E’ inutile nascondersi dietro un dito, ciò comporterà inevitabilmente un ridimensionamento dei consumi, una disponibilità ridotta di oggetti, ma siamo poi certi che questo costituisca un sacrificio, un peggioramento delle condizioni di vita, e non invece una vita più aderente a come siamo programmati naturalmente?

martedì 24 agosto 2010

L'ULTIMA DA MARCHIONNE

L’ultima puntata riguardante la FIAT si sta svolgendo in questi giorni a Melfi. Marchionne continua imperterrito la sua battaglia ideologica, e stavolta ciò che vuole sia riconosciuto è che la FIAT è al di sopra della legge. E’ chiaro: il messaggio che egli manda ai suoi dipendenti è che non basta la sentenza di un giudice a piegare la FIAT, l’azienda riconosce le proprie fabbriche come spazi extra-territoriali, i lavoratori sono entrati, ma, una volta entrati, essi sono sottoposti alla giurisdizione FIAT, che non prevede il reintegro al lavoro, inteso evidentemente come parte dell’organizzazione del lavoro. C’è a mio parere anche un limite caratteriale del personaggio, che non accetta, come i bambini, di accettare la propria sconfitta. In questo, il mondo politico è simile, da Berlusconi, a Bossi, passando per Tremonti, ad analizzarli dal punto di vista psicologico, hanno forti elementi infantili. Il guaio è che questa società sembra premiare questa ostinazione infantile, e così stavolta è il turno di Marchionne di battere i piedi per terra e strepitare per ottenere ciò che vuole. Nel contempo, il ministro Sacconi, che pure ieri aveva un’opportunità preziosa per intervenire con grande amplificazione, in occasione del consueto appuntamento a Rimini di CL, ha preferito astenersi. Qui siamo davvero alla farsa tragica, Sacconi rinuncia consapevolmente a svolgere il ruolo che la legge gli affida, di autorevole orientamento da parte del governo su questioni della massima rilevanza. Se insomma Sacconi evita di esporre un chiaro orientamento del governo su una questione di tale rilevanza, che ci sta a fare, perché noi contribuenti dobbiamo pagare simili personaggi privi di attributi? Capisco l’imbarazzo di doversi schierare o contro una sentenza o contro Marchionne, ma nessuno l’ha obbligato a fare il ministro. Avesse voluto avere vita facile, avrebbe fatto l’impiegato delle poste o qualcosa di equivalente, ma sedere su quella poltrona e tacere sugli snodi fondamentali del mondo del lavoro, è un atto che corrisponde nei fatti alle proprie dimissioni. Egli rinuncia alle proprie prerogative perché non sa che pesci pigliare, che vergogna!

Purtroppo, siamo nelle mani di una classe dominante sostanzialmente infantile, in cui chi grida più forte vince e chi dovrebbe fare il giudice o comunque governare evita accuratamente i passaggi più spinosi: per me, Sacconi è già un ministro dimissionario.

venerdì 20 agosto 2010

VOLGARITA' E POLITICA

Oggi vorrei proporvi un articolo di Claudio Magris, che esprime magistralmente il disagio che questa classe dirigente della seconda repubblica genera in un osservatore minimante sensibile alle “buone maniere” (eccezionale la frase che egli cita da Camus: “a partire da una certa età, ognuno è responsabile della propria faccia”). Si potrebbe a partire dalle sue osservazioni discettare sull’origine di questo degrado evidente del costume. A costo di risultare impopolare, io penso che c’entri anche il ’68, con questa voglia di riappropriazione di noi stessi, anche attraverso un superamento delle ipocrisie, come altrove già dissi. Eppure dovremmo una volta per tutte decidere se vogliamo vivere in una collettività civile, che ci obbliga al rispetto della dignità degli altri, ma nel contempo ci regala il telefonino ed altri prodigi della tecnologia.

Confesso che un sentimento spontaneo di ripulsa mi si genera ogni qual volta vedo il premier Berlusconi, con la sua figura che trasuda questa volgarità di fondo che nessun maestro di buone maniere potrebbe più estirpargli. E’ così evidente il suo aspetto da “parvenu”, la sua volontà di piacere e compiacere, di dovere essere sempre il migliore, il più potente ed il più ricco, che chiunque dovrebbe subito accorgersi di come sia impossibile che un tizietto così possa in qualche misura contribuire al benessere collettivo. Lo stesso si potrebbe dire di tanti suoi politicanti che non si vergognano di apparire piuttosto come suoi scagnozzi, per non parlare dei dirigenti leghisti, così sofisticati nel loro frasario e nella loro gestualità.

Claudio Magris però si ferma qui, fino a confondere quasi il problema, la malattia della politica con l’abbandono delle “buone maniere”. Il problema, in questo Magris dice bene, è quello del rispetto, ma è evidente che le buone maniere sono solo uno degli aspetti del rispetto, che non si può certo esaurire in questo. Purtroppo, in questa visione più complessiva del rispetto, è tutta la classe politica a mostrare le proprie carenze. Come dice magistralmente il grande critico cinematografico Enrico Grezzi, la differenza maggiore tra gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, è di natura estetica. Per capirlo, basta confrontare Bersani e Berlusconi: magari sulla gestione degli acquedotti e sul referendum di Pomigliano la pensano alla stessa maniera, ma Bersani rimane comunque un signore, e Berlusconi un irrimediabile cafone, è scritto sulla loro faccia e come dice Camus nella frase già citata, ogni adulto è responsabile della propria faccia.

Naturalmente, ciò non può significare consegnare il proprio consenso a una faccia signorile, affidarla insomma a un criterio in definitiva estetico come dice Grezzi.

mercoledì 18 agosto 2010

MARONI SI DIMETTA

Una breve premessa: non mi farò contagiare dal virus Cossiga che sta infestando il settore dell’informazione. Vi dirò brevemente che non mi unisco al coro di riconoscimenti pelosi che gli vengono tributati in occasione della sua morte. Penso piuttosto che si tratti di un uomo piccolo piccolo, ma molto furbetto, che ha saputo scalare la carriera politica fino a raggiungere il colle più alto, e quando si rese conto, ancora relativamente giovane, che gli toccava fare il pensionato, decise di capovolgere il suo atteggiamento verso la politica, passando di colpo dal conformismo democristiano più bieco a un ruolo sui generis di Pierino, che fa finta di dire tanto, ma in realtà non dice niente di niente. Certo, conosceva i polli nostrani che, da una parte tremavano all’idea che prima o poi qualche segreto trapelasse dalle sue parole, e dall’altra potevano improvvisamente innamorarsi come tanti oggi s’innamorano di Fini in maniera del tutto insensata.

Le vicende su cui invece vorrei soffermarmi, credo che siano ben note a tutti, due ministri dell’attuale governo hanno rilasciato a Ferragosto dichiarazioni di una gravità inaudita. In particolare, ritengo che la presenza di Maroni alla guida del Ministero dell’Interno sia da considerare del tutto inopportuna. Maroni infatti ha riinterpretato la costituzione a suo modo, spalleggiando il collega Alfano che blaterava di costituzione, apparentemente ignorandone del tutto l’articolato (avrà letto solo le prime parole del primo articolo???). Ora, tutti dovrebbero sapere che lo stato di diritto esiste proprio in virtù dell’autorità della legge, il fatto cioè che un testo scritto promulgato dall’autorità legislativa abbia in sé stesso, e non nell’interpretazione del potente di turno, la propria indiscussa autorità. Se i politici di maggioranza conoscessero l’abc istituzionale, essi non avrebbero pronunciato le idiozie che hanno di fatto pronunciato. Nello specifico caso di Maroni, la situazione è particolarmente delicata, a causa del suo ruolo istituzionale. Maroni sta a capo delle Forze dell’ordine, e dovrebbe garantire proprio il rispetto di quelle stesse leggi a cui non riconosce autorità alcuna (un testo scritto o ha una sua indiscussa ed indiscutibile autorità, oppure, se si riconosce che vada piegato a una prassi comunque instauratasi, allora in tal caso, non ne ha alcuna). Ciò si tradurrebbe nella possibilità che Maroni utilizzi le sue prerogative, e si tratta di prerogative di alto livello, per far rispettare la legge come egli pensa sia meglio. Io non mi sento più sicuro, in presenza di un ministro della polizia che fa di questi distinguo. Se egli interpreta come gli aggrada la costituzione, allora chi mi garantisce che allo stesso modo non interpreti a suo modo anche le leggi, comprese quelle che riguardano le libertà personali fondamentali? Io credo che sarebbe sensato, se non addirittura dovuto, chiedere le dimissioni di Maroni da ministro.

Detto ciò, continuo a ritenere politicamente inopportuno, se non addirittura suicida, questo dibattersi della sinistra nelle proprie stesse difficoltà, chiedendo tempo ed ossigeno prima di affrontare nuove elezioni.Come elettore, non posso esimermi dal ritenere incomprensibile un’opposizione che non voglia neanche provare a cambiare a proprio favore la composizione del parlamento. Si sono lette molte cose in questi giorni. Qualcuno si è spinto fino ad evocare un nuovo CLN. Ebbene, proprio da coloro che siedono in parlamento, questo evocare un clima di pericolo per la democrazia non lo accetto. Non che io non creda che ci sia questo pericolo, anzi penso che già oggi di democrazia ce n’è ben poca, ma è paradossale che questi pericoli si evochino soltanto al momento delle elezioni, cioè in uno dei momenti decisivi di democrazia. Qualunque sia l’opinione che abbiamo dell’elettorato, e il mio è certo uno dei più critici, non mi sembra saggio fargli intendere che prima di consultarlo, ci sia bisogno di sbrigarcela noi a sistemare le cose. Ciò è tanto più vero nello stato di sbandamento in cui versa la sinistra, che non ha grandi probabilità di riuscire a condurre in porto nessuno dei progetti pre-elezioni che si prefigge, a partire dalla stessa legge elettorale, e semmai dovrà accollarsi qualche provvedimento economico di lacrime e sangue che il progredire della crisi imporrà. Riservi alle elezioni tutti gli sforzi che qualcuno vorrebbe piuttosto dedicare a snervanti e probabilmente infruttuose trattative interpartitiche per la costituzione di questo nuovo governo.

sabato 14 agosto 2010

DOPO VENDOLA, DILUVIO DI AUTOCANDIDATURE

Così, anche De Magistris si candida a guidare un’eventuale coalizione di sinistra. E ancora, sembrerebbe che anche Montezemolo voglia entrare in politica, e ci provi passando dalla porta principale. Non v’è dubbio che la mossa dell’autocandidatura di Vendola sia stata un capolavoro di tempismo: adesso, tutti si ritrovano a dover uscire allo scoperto, visto che se rimangono coperti rischiano di arrivare sul grande palcoscenico mediatico della politica troppo tardi. Già la mancanza di candidature interne al PD appare strana, come un vuoto molto eloquente, l’ennesima dimostrazione di un’afasia già ben al di sopra dei livelli fisiologici. L’ultimo appiglio di tutti coloro che non si sentono pronti (scusate l’impertinenza, ma mi somigliano agli attori hard quando anch’essi non sono pronti…), sono le parole di Napolitano. Vorrei dire loro che il Capo dello Stato null’altro poteva fare se non fare ciò che la stessa Costituzione gli detta. Il punto è che non esiste in Parlamento alcuna maggioranza disponibile, perché sarebbe un vero suicidio per Fini acconciarsi a sostenere un governo che veda esclusi la Lega e il PDL, cioè quelle forze politiche che insistono proprio nella stessa area di opinione, la destra, che Fini, lungi dal volersene separare, pretende invece di rappresentare. Perché mai Fini dovrebbe uscire dalla destra, per andare a finire nella palude centrista, così tanto già affollata da pretendenti capetti di tutti i tipi, a cui ora bisognerà aggiungere anche Montezemolo?

In questa situazione, l’unica cosa che Napolitano può fare è il cosiddetto governo del Presidente, cioè un governo privo di maggioranza parlamentare, con l’unico intento di gestire la fase elettorale al posto di Berlusconi, e questo sarebbe augurabile. Finiamola però una volta per tutte di pensare a riforme elettorali impossibili e ad altre iniziative che non potrebbero mai e poi mai trovare una maggioranza parlamentare. Se poi questa maggioranza si trovasse, sarebbe ancora peggio, sarebbe il governo di lacrime e sangue in campo economico, e non riuscirebbe, ormai dovrebbe essere chiaro, a portare in porto alcuna riforma elettorale. Sarebbe quindi un modo di regalare un nuovo successo elettorale a Berlusconi. Interessante è una simulazione elettorale che dimostrerebbe che al Senato, lasciando inalterati i consensi come si sono manifestati nel 2008, e ipotizzando che Fini riesca a raccogliere anche soltanto un terzo del totale dei consensi elettorali attribuibili ad AN, Berlusconi e Lega da soli non riuscirebbero ad avere la maggioranza. Insomma, non c’è motivo di pensare che le elzioni si traducano oggi in un trionfo di Berlusconi. Tutto dipenderà da come l’area di centrosinistra riuscirà ad affrontarle.

La candidatura di De Magistris, più che un’ipotesi di qualche plausibilità (come possibilità di ottenere la maggioranza dei consensi) rappresenti piuttosto il sintomo di un malessere, di un politico che sperava di contare nell’IDV, e vede che Di Pietro non lo fa contare per nulla, si è rivolto a Vendola che non l’ha degnato di alcun interesse, e che pertanto si presenta come a voler dire che egli esiste ancora politicamente. Lo scopo in fondo è abbastanza chiaro, utilizzare gli eventuali consensi ottenuti in ipotetiche primarie per intessere accordi politici successivi.

martedì 10 agosto 2010

COALIZIONI PER LE ELEZIONI

Mi pare che la Lega abbia sciolto il nodo, è disponibile ad andare ad elezioni anche senza avere incassato il federalismo fiscale, e quindi anche in tempi rapidissimi. Se questa la sua linea, allora tutti i penosi tentativi del PD e dei suoi accoliti di ritardare nel bere l’amaro calice delle elezioni sono destinati a un clamoroso insuccesso, e possono solo contribuire ad indebolire ulteriormente il fronte della sinistra che non avrebbe bisogno di questo contributo per essere già abbastanza debole di per sé.

Speriamo che Bersani, buon ultimo, voglia rendersi conto della situazione data, lo speriamo perché tocca proprio al PD fare le scelte fondamentali, quelle che potranno determinare in maniera decisiva l’esito stesso delle prossime elezioni.

La situazione a questo punto ha già degli aspetti molto chiari: la sfida portata dalla Lega e da Berlusconi è molto insidiosa, e toccherà a tutti gli altri aggregarsi tra loro. Pensare ad un’unica lista elettorale appare del tutto irrealistico e probabilmente anche non conveniente. Se si pensa a due distinte liste che dichiarano di volersi alleare in Parlamento, rimane ancora da decidere dove il PD voglia collocarsi. Se decide di presentarsi assieme al centro, alla sinistra toccherà presentarsi da sola, sperando che in quest’area avvenga una aggregazione che funzioni. Se invece decidesse di presentarsi con la sinistra, cosa comunque io credo più probabile, allora si porrà il problema di decidere a chi spetti guidare la coalizione. Sarebbe in sostanza il quadro delle primarie che evoca Vendola nello stesso momento in cui si candida a guidare lui la coalizione. Per il PD, le prospettive rimangono comunque difficili, ed è chiaro perché questo partito tenti di esorcizzare l’ipotesi di elezioni a breve termine. Queste difficoltà tuttavia non sono frutto di un destino cinico e baro, ma al contrario sono la conseguenza logica, direi perfino inevitabile, di una pessima politica, cosa che neanche gli stessi dirigenti del PD potrebbero ragionevolmente negare. Alla fine, io temo che prevarrà l’ipotesi di presentare ben tre distinte liste elettorali, una di sinistra, una di centro ed una del PD. Non mi sembra la prospettiva ideale, ma ciò permetterebbe al PD di depotenziare lo strumento delle primarie. Si farebbero primarie di partito, e poi si imporrebbe alla sinistra il vincitore di queste, facendo leva sull’appoggio del centro, ben felice di impedire a Vendola di ottenere la leadership della coalizione anti-Berlusconi. Una soluzione che appare in realtà pessima, perché molto rischiosa, rimanendo l’ipotesi del tutto plausibile che la sinistra da sola non riesca neanche a superare lo sbarramento del quorum. Vendola così rimarrebbe nelle pastoie di una farraginosa coalizione con le microformazioni di sinistra, ormai ridottesi a feudi personali di questo o quell’altro capetto insignificante. Se la sinistra non fosse in grado di accedere al Parlamento, ne conseguirebbe un quasi certo insuccesso del centro-sinistra: insomma, una situazione che per molti versi riprodurrebbe il presente.

Tocca oggi al PD la parola, speriamo che questa volta un minimo di saggezza si faccia strada tra i parrucconi di questo partito ormai in stato comatoso.

domenica 8 agosto 2010

SCALFARI GIA' PENTITO

Scalfari si dichiara già pentito: è proprio lui ad avere lanciato l’ipotesi di un governo comunque lo si voglia aggettivare che si interponesse tra la ventilata caduta di Berlusconi e il ricorso al voto anticipato. Molti di noi hanno sonoramente bocciato tale ipotesi, non solo giudicando negative le prospettive che si aprivano, ma soprattutto per l’avventurismo di quella proposta. Ora Scalfari, buon ultimo, si accorge della sua impraticabilità, visto che lo stesso Fini e i suoi più stretti collaboratori hanno ribadito la loro volontà di rimanere all’interno del PDL e del governo Berlusconi, e Scalfari se ne dispiace, ed addirittura si spinge fino ad accusare il Presidente della Camera di agire senza una strategia. La strategia suggerita, udite udite, è quella dei due forni, di mantenersi pronto ad alleanze con chiunque. Vorrei però chiedergli dove egli avesse riscontrato questi sintomi di smarcamento di Fini, e nello stesso tempo contestare che per Fini sia meglio lasciare aperte prospettive di accordo col PD, come invece consigliato da Scalfari. E’ proprio sul terreno strategico che Fini questo non lo può fare, per la semplice ragione che il suo obiettivo è sostituire Berlusconi alla guida di un futuro schieramento di centro-destra, e la prima condizione per giungervi è appunto quella di scegliere senza equivoci e tentennamenti lo schieramento di cui ha sempre fatto parte. Il gioco di Fini è quello di mostrare come Berlusconi usurpi la leadership della destra, che invece gli spetta di diritto. Se quindi Fini guardasse a quel poco che è rimasto del centro-sinistra, dichiarerebbe implicitamente di avere sbagliato schieramento, di non appartenere intimamente alla destra. Scalfari si sbaglia dunque: sarebbe forse abilmente tattico dichiararsi pronto a tutto per aumentare il proprio peso, ma strategicamente sarebbe un de profundis, come leader di destra corrisponderebbe ad un autentico suicidio.

La verità è che il PD non ha uno straccio di prospettiva disponibile, non ha un programma davvero alternativo a Berlusconi sulla politica economica, non ha un vero leader, non ha un’opinione condivisa sul quadro di alleanze, e perfino su un tema sensibile come la giustizia va, o così appare, al traino di Di Pietro che ne ha fatto il suo vessillo.

Come dicevo in un recente commento, il PD può fare soltanto una scelta utile per gli italiani, sciogliersi: tanti si riuniranno a Rutelli e forse a Casini, qualcuno potrà coerentemente scegliere per uno schieramento di sinistra, per quel che ancora si può intendere con questo termine. Oggi come oggi, il PD rappresenta un macigno per ogni prospettiva di reale uscita dal berlusconismo, perché i suoi dirigenti l’hanno profondamente introiettato, e quindi non possono contribuire a un risanamento delle menti. Nello stesso tempo, il PD si pone di traverso a qualsiasi altra prospettiva di opposizione, ingombrante com’è con quanto resta del suo consenso elettorale. Si sa che gli italiani sono alquanto conservativi nell’espressione elettorale, e quindi, senza uno scatto d’orgoglio, senza passare per un evento traumatico come sarebbe lo scioglimento del partito, la prospettiva è quella di un lento degrado, gestito coi tatticismi su cui i dirigenti PD sono dei veri maestri.

La verità, caro Scalfari, è che sono le persone come lei che hanno, seppure indirettamente e inconsapevolmente, consentito il successo di Berlusconi, immaginando in Italia un’area di opinione socialdemocratica che da una parte non esiste, dall’altra non ha nel mondo globalizzato alcun spazio politico come si va dimostrando nell’intera Europa. E’ l’avversario di sempre che, alzando sempre più il prezzo dello scontro, costringe chi non può accodarsi ed uniformarsi a tale inumano progetto di diventare sempre più radicale, sono i fatti che ci obbligano ad essere più alternativi, non teorie e progetti maturati a tavolino.

venerdì 6 agosto 2010

LA BUFFONATA DEL FEDERALISMO MUNICIPALE

Vorrei sapere se io sono il solo che non capisce dove stia la novità del federalismo fiscale. Adesso, hanno aggiunto una nuova tassa comunale sugli immobili, ed essa dovrebbe rappresentare il primo pezzo di questo famoso e tanto esaltato federalismo fiscale. Prima cosa che non capisco è quale tassa sostituisce, quale sia insomma la tassa che è stata eliminata per introdurre la nuova. Mi pare che dovrebbero chiarirla, visto che il governo ha sempre assicurato che non sarebbero state introdotte nuove ulteriori tasse a quelle già esistenti. Seconda cosa che non capisco è in cosa tale tassa si differenzi dall’ICI. Non dico nel metodo di quantificazione e nel tipo di beni a cui si applicherà, ma intendo dire nella modalità di introduzione e nelle modalità secondo cui i comuni potranno applicarla. Infatti, dalle notizie di stampa si apprende che questa nuova tassa è stata definita nazionalmente, e che anzi nel decreto attuativo il governo fisserà l’intervallo entro cui le aliquote dovranno variare. Ora, chi di voi ha avuto a che fare con l’ICI converrà con me che essa è stata introdotta a livello nazionale, che i comuni potevano scegliere l’aliquota da applicare entro un intervallo fissato dal governo e che per essi costituiva una voce d’entrata. Insomma, c’hanno rotto le scatole per anni con questo cavolo di federalismo fiscale, e poi scopriamo che le cose sono esattamente come stavano prima, con la sola apparente differenza di pagare più tasse: e potevano dirlo subito che stavano a giocare…

mercoledì 4 agosto 2010

PD E CONSENSO

Ma mi chiedo dove si è mai visto un paese in cui chi sta al governo vuole andare alle elezioni, e chi sta all’opposizione non solo non fa nulla per suscitarle, ma addirittura immagina i tipi di inciucio più indecoroso all’unico scopo di rinviarle il più possibile. Bersani ha voglia di smentire, quella prospettiva che avanzavo nel post precedente, quello del governo Tremonti con l’appoggio anche del PD, fa evidentemente parte della sua strategia. Ora, io mi chiedo perché. Capisco bene la paura di perderle, una prospettiva non improbabile, ma neanche certa secondo il mio modesto parere, ma il punto sta nello stabilire se dopo un governo di durata ignota, ma certo non brevissima, le chances elettorali crescerebbero. Vediamo, seguiamo quanto il PD si proporrebbe di fare. Prima di tutto, la riforma elettorale. Peccato che non esistano due forze politiche che convergano su una stessa opinione, ed anzi nello stesso PD non riescono ancora a mettersi d’accordo tra loro stessi. Eppoi, sai che interesse della maggior parte degli elettori per questi temi istituzionali. Cos’altro? Certo, fare le stangate fiscali che ci sono imposte dalla cupola affaristico-mafiosa internazionale, tanto figurarsi se c’hanno gli attributi per scostarsi anche di pochissimo dagli ordini ricevuti. Eppoi, non so cosa pensano ancora di fare, salvare la legalità, ma più che mettere la magistratura in condizione di punire chi devono, cosa in fondo la politica può fare, e per giunta in un periodo di tempo comunque ristretto? Insomma, questi pensano davvero che gli elettori dovrebbero mostrarsi riconoscenti di fronte ad un programma di governo così entusiasmante (sic!), e capovolgere il vantaggio che secondo loro Berlusconi avrebbe oggi. Per me, è la reazione di chi è disperato, di chi deve onorare un debito e non ha i soldi, e rinvia, rinvia anche se sa che il domani non sarà più facile. La cosa che però mi sbalordisce davvero è il consenso che questa posizione del PD trova in vasti strati di elettorato di sinistra. Questa è l’Italia, una destra potenzialmente fascista, una sinistra senza attributi, sempre pronta ad assumere una posizione subalterna, e senza alcuna reale ispirazione democratica.

lunedì 2 agosto 2010

SCENARI POLITCI PROSSIMI VENTURI

In quest’ultimo periodo, ho un po’ trascurato la politica interna, ma quando questa diventa prevalentemente un affare di gonadi, è saggio tenersene alla larga, anche perché un cervello comandato dalle gonadi arriva a conclusioni difficilmente prevedibili. Alcuni segnali recentissimi mi inducono ora a delineare uno scenario abbastanza verosimile e circostanziato, che sarà l’oggetto di questo post.

Apparentemente, Berlusconi è caduto nella trappola che gli hanno teso Tremonti e Bossi. Vorrei preliminarmente farvi notare come Tremonti si sia tenuto ben lontano dalle polemiche interne al PDL, che rimane comunque il suo partito. Questo ostentato silenzio è comunque significativo, tant’è che i vari cortigiani di Berlusconi, servi, ma anche sciocchi direi, si sono affrettati ad intervenire pesantemente nella disputa con Fini, ritenendo evidentemente loro dovere supportare il padrone, ma Tremonti no, ha svolto il ruolo di uomo super-partes in maniera direi eclatante. Lo stesso Bossi che oggi non gli lesina battute velenose, solo poche settimane fa ha voluto incontrare Fini, e io penso che siano nate allora le sue scelte tattiche che presto giungeranno a maturazione. Bossi allora si è dovuto rendere conto che Fini non si sarebbe fermato e, non so se d’accordo anche con lui o d’accordo solo con Tremonti, ha lanciato l’amo a Berlusconi.

Il quadro è ora chiaro, Berlusconi è stretto tra numeri parlamentari che non gli danno più la maggioranza, e dall’altra parte, Lega, PD e Napolitano non gli concedono le elezioni anticipate. Il dito alzato di Bossi, poco padano in verità (è un gesto mutuato dalla cultura anglosassone fino agli anni sessanta praticamente ignoto, noi italiani, notoriamente esagerati, usavamo l’intero braccio), ma di volgarità adeguata alla persona, lo ha evidentemente tradito, tant’è che si è affrettato a precisare che le elezioni anticipate restano una delle possibilità. Questa smentita serviva a mantenere buono Berlusconi, che le vuole, ma la verità è che è scattata una trappola per lui, in quanto il piano è fare un governo Tremonti. Questi a sua volta si è affrettato a negare recisamente una tale possibilità: vabbè, bisognerà che la proposta venga da Napolitano e tutti insisteranno tanto, che Tremonti farà la parte di chi si sacrifica e dietro insistenze da destra e manca finirà con il cedere.

Ci sono segnali inequivocabili in questa direzione. Ne vorrei citare almeno tre: la bocciatura del piano sanitario della regione Puglia, le dichiarazioni provenienti dal PD, e infine l’editoriale di ieri di Scalari su Repubblica. Il PD ha ripetutamente chiesto le dimissioni del governo e un nuovo governo di larghe intese, che cioè fosse appoggiato anche dall’attuale opposizione, scongiurando così l’ipotesi di elezioni anticipate immediate. In quest’ottica, la mossa perfettamente tempestiva di Vendola con la sua candidatura, ha creato scompiglio nel PD. Ecco allora che Tremonti, confondendo ruolo istituzionale e politico, ha bocciato un piano preparato e condiviso pienamente dai suoi stessi tecnici e collaboratori. E’ un segnale sufficientemente chiaro a Bersani & Company: vi tolgo le castagna dal fuoco, mettendo nei guai Vendola, e voi toglietele a me. Anche l’editoriale di Scalari costituisce una conferma significativa. Il giornalista si affretta a dipingere scenari drammatici in caso di elezioni immediate, attacchi speculativi e tsunami vari, tutto questo per giustificare l’inciucio prossimo venturo. Di Pietro, come del resto Vendola, ha colto perfettamente il gioco in atto, rifiutando una simile prospettiva, e l’evidenza indica che l’IDV si terrà fuori da questa maggioranza. Si farà un nuovo governo PDL-Lega con l’appoggio esterno di UDC, API e PD, anche se non è escluso che qualche ministro potrebbe venire dai centristi, stavolta a guida Tremonti. E’ evidentemente l’atto di definitivo suicido politico del PD. Tremonti è, al di là di alcuni aspetti estetici, la copia di Berlusconi, e condivide con questo e con Bossi lo stile dittatoriale, del tutto alieno da tracce di democrazia.

Cosa farà questo governo? Forse una nuova legge elettorale, sicuramente il federalismo fiscale in salsa leghista, porterà a termine la svolta di politica economica dettata da Marchione e della cupola internazionale che egli, assieme a Tremonti, rappresenta. Questo è il caso di un esito positivo di questo governo. L’ipotesi negativa, cioè aperta rottura tra destra e PD, ridarebbe fiato e spazio politico a Berlusconi che tornerebbe come salvatore della patria.

Certo che la coppia D’Alema – Scalari ha proprio del talento nel non azzeccare neanche uno dei passaggi decisivi della politica italiana. Bossi li userà per avere il famigerato federalismo fiscale e poi li sbatterà fuori a calci nel sedere, Tremonti per la propria personale carriera politica, Casini e Rutelli per dimostrare che esistono, e il PD avrà soltanto distrutto quel poco di sinistra che ancora esisteva e che stava con Vendola ed altri tentando di risuscitare: un bel risultato, almeno avranno guadagnato altri cinque anni di stipendi parlamentari!