mercoledì 28 aprile 2010

RICOLFI, TREMONTI ED ALTRI FEDERALISTI

Luca Ricolfi è un editorialista politico de “La stampa”, che ha, a quanto pare, un’idea fissa in testa, il federalismo. Egli, abilmente, si guarda bene dallo schierarsi apertamente a favore del federalismo, non intende farsi identificare come leghista. Egli piuttosto, sostiene che la questione del federalismo stia al centro della politica, vuole insomma apparire come uno studioso che si limita a constatare fenomeni obiettivi che avvengono sotto i suoi occhi, come un fisico che assistesse al moto di un grave e eseguisse delle misure allo scopo di comprendere il fenomeno, guardandosi bene, ovviamente, dall’esprimere una preferenza verso il modo in cui il fenomeno si manifesta. E’, dicevo, una posizione abile, perché non richiede nessuna assunzione di responsabilità, lasciandogli il comodo compito di studioso. L’efficacia di questo approccio al federalismo è che le sue affermazioni, fatte da una persona che non si dichiara di parte, sembrano per questa stessa ragione più autorevoli. E’ un po’ come le pubblicità che reclamizzano prodotti con il testimonial rigorosamente in camice, il camice che ne certifica il suo ruolo di esperto, con ciò stesso conferendo al suo messaggio un’autorità assoluta, la stessa che questa società attribuisce alla scienza.

Io, che sono un po’ più smaliziato, quanto meno in virtù della mia età, non mi faccio abbindolare da questo atteggiamento, chiederei al giornalista di essere convinto, e per convincermi, mi occorrono argomentazioni. Peccato che, come è costume dominante sulla grande stampa, le affermazioni sono sempre fatte in stile apodittico, pretendono cioè di essere di per sé evidenti. Tutta questa storia del federalismo, in verità, viene portata avanti con questo stile di autoevidenza, che tende a inibire qualsiasi obiezione contro di essa: come dire, ma se non capisci una cosa tanto ovvia, devi proprio essere abbastanza tonto. Quando finalmente finirà quest’orgia di potere di queste nuove destre, si potrà fare la storia delle rivoluzioni linguistiche che sono intervenute in questo periodo, cambiando profondamente il nostro mondo simbolico. La più grave è forse dovuta alla Lega, i cui componenti non si sottraggono alla consuetudine di dire baggianate con un tono sicuro e che non ammette repliche: più la sparano grossa, più pretendono di essere dalla parte della ragione.

Tornando a Ricolfi, in un suo recente articolo, egli, criticando PD e PDL, dice che la questione del federalismo fiscale, aggiungendo anche il problema dell’assetto istituzionale dello stato, spacca entrambi i partiti, finendo addirittura per far perdere senso alla consueta contrapposizione sinistra-destra. Il vero centro della politica italiana è costituito dal federalismo fiscale, ed egli lo intende come un’esigenza per la modernizzazione del paese (sic!). Ora, non è che io sia particolarmente affezionato a questi termini in politica, ma mi pare che ci sono motivazioni ben più serie che ne possono mettere il crisi l’utilità semantica, e mi pare francamente una sciocchezza credere che, udite udite, sia il federalismo a mettere il crisi lo stesso concetto di destra e sinistra.

Sul federalismo dovrò tornare, qui vorrei solo ricordare le risibili motivazioni che Tremonti portò quando fu ospite di “Annozero” per sostenere questa sua visione federalista. Dunque, la prima delle due motivazioni era che solo chi sta in un luogo può conoscere le problematiche del posto. Stiamo scherzando, nell’era di internet, quando tutte le informazioni circolano vorticosamente in tutto il mondo, abbiamo bisogno di essere fisicamente in un posto per conoscerlo, stiamo scherzando? La seconda motivazione è che il federalismo fiscale impone una responsabilità a chi assume una autonoma responsabilità di gestione di bilancio. Anche qui, ma stiamo scherzando? Qualcuno dovrebbe avvisare Tremonti che la Regione Siciliana ha la sua autonomia addirittura prima della promulgazione della Costituzione, dal 1946 se non erro. Vogliamo esaminare con quali esiti, con quale uso distorto delle risorse finanziarie? La mia esperienza è esattamente opposta: man mano che si scende lungo la scala del potere, coinvolgendo nella gestione chi vi è più vicino, le cose peggiorano. Chi vede a portata di mano quell’interesse specifico e privato a cui tanto tiene, dell’interesse generale se ne sbatte. Se ne è in grado, tenta di fregare il vicino di stanza. Dico cioè che coinvolgere una comunità nella gestione delle proprie risorse significa anche, non bisognerebbe dimenticarlo, coinvolgere il singolo individuo nella gestione delle proprie personali risorse. E secondo voi, cosa prevarrà?

domenica 25 aprile 2010

LA NUOVA RESISTENZA

Oggi, sessantacinquesimo anniversario della liberazione, è purtroppo un giorno triste. La liberazione è stato un evento storico che ha costituito per decenni il discrimine tra un’Italia che l’ha vissuta e un’altra che, per essere stata liberata dai nazifascismi prima che la Resistenza iniziasse, non l’ha vissuta. Accanto a quella fascia centrale d’Italia, tradizionalmente a maggioranza di sinistra, accanto a un meridione con un senso carente dello stato, a causa di una lunga tradizione di dominazioni e senza aver vissuto in prima persona la resistenza, vi era un nord portatore di grandi valori di solidarietà. Questo nord, anche quello veneto tradizionalmente democristiano, è stato il vero motore di quest’Italia democratica, produttore di ricchezza, di operosità, ma anche profondamente antifascista. Io, che ne posso parlare solo per sentito dire, visto che vivo al sud, mi chiedo cosa mai sia successo ai settentrionali, quale virus pernicioso si sia introdotto nel corpo sociale, determinando questo successo, mai così clamoroso come alle ultime elezioni regionali, di una Lega Nord con un’ideologia così discriminatoria, così razzista, così elementarmente egoista. Scrivevo che al Nord si osserva perfino un mutamento antropologico, per cui essi vivono, perfino in tanti dirigenti sedicenti di sinistra, un senso di appartenenza localistico che si esprime in maniera patologica, in realtà direi piuttosto un senso di estranietà rispetto a tutto il resto del mondo, si tratti di persone di altra nazionalità, o anche di meridionali. Se quindi uno spirito solidaristico nato dalla Resistenza è morto, o è fortemente mortificato, al nord, se un dittatore buffonesco e sgradevole riesce a raccogliere anche in quell’area un notevole consenso, cosa rima ne, io mi dico, della Liberazione, cosa rimane infine di questa Repubblica, della sua costituzione sempre più violata e sempre più in pericolo di essere cancellata. Oggi, mi pare, tra il tradizionale antistatalismo di tante regioni del sud e la voglia di ducetti che si avverte al nord con il duplice osannamento di Bossi e Berlusconi, se la Lega si permette di parlare apertamente di secessione, e il progetto federalista raccoglie consensi in quasi tutto lo schieramento politico, credo che si dovrebbe prendere atto che la memoria della Resistenza è morta, che della stessa Repubblica democratica è ormai rimasto un vuoto simulacro, e che quindi è di estrema attualità una nuova resistenza. Non la combatteremo coi fucili, ma la resistenza, come capacità di mantenere i valori della costituzione prima di tutto nelle nostre menti, è oggi di estrema attualità. Il mio auspicio è quindi che questa ricorrenza posa costituire un rilancio dei valori per cui tanti dei nostri progenitori sono morti.

venerdì 23 aprile 2010

CHE SPETTACOLO INDECOROSO!

Da Repubblica a pezzi del PD, in queste ore si sbracciano per difendere Fini e il suo intervento alla direzione del PDL. Dico la verità, da quel poco che ne so, non riesco ad essere d’accordo. Fini ha commesso secondo me un errore madornale: avendo un problema di spazio politico nel PDL, di questo ha parlato in direzione, e questo egli non doveva. Così, ciò che appare all’esterno è una bega di potere, forse perfino un problema di incompatibilità caratteriale. Oggi, egli aveva un’occasione storica, mostrare quanto egli ritenga debba essere il programma di un vero partito di destra. E invece, si mette a litigare se stare nel PDL, come starci, la democrazia nel partito e simili questioni che, seppure in sé legittime, suggeriscono una logica interna ai politicanti. Pessima questa direzione,e di questo ne sono naturalmente contento, mi meraviglio soltanto di quanto ormai questi politici non siano più neanche furbi. Si direbbe, a vederli agitare le braccia con fare minaccioso, che si comportino come dei bambini che si contendono la caramella, senza più alcuna capacità di mediazione culturale con i propri desideri di primeggiare, al cospetto di questi sedicenti dirigenti politici plaudenti non si sa bene a cosa, plaudenti a uno spettacolo così meschino e umiliante. E da questa parte dello schermo, milioni di TVM (TV modificati) che si appassionano, riempiendo di contumelie ora uno ora l’altro dei contendenti.

Per me, devo dirlo, è stata un’enorme delusione vedere questa ennesima puntata del vuoto assoluto di idee di un’intera classe politica. Intera perché giornalisti e politici dell’opposizione si sono precipitati a plaudire al coraggio di Fini, con ciò stesso confessando inconsapevolmente come il vuoto mentale li abbia contagiati, tutti ormai a urlare, a volere governare, quando dovrebbe essere evidente a chi detiene ancora un cervello funzionante essi esprimono ormai solo una tendenza dominante a livello mondiale, senza nessuna apparente capacità di contrastarla. Ci stiamo mangiando il nostro pianeta, l’unico che abbiamo, mai così velocemente come ai nostri giorni, da quando altre tre miliardi di persone hanno cominciato ad imitare quello scarso miliardo che lo faceva già da decenni. Qui, ancora stiamo ad adorare il PIL, siamo ancora fermi a un secolo fa, quando il problema era soltanto come distribuire la ricchezza prodotta, ma nessuno, giustamente direi per quei tempi, si poneva il problema dell’aumento della produzione in sé. Siamo alla totale omologazione, tutti a scimmiottare la stessa storiella, perché alla fine la storiella è identica da Bossi, a Fini, da Bersani a Di Pietro, ma nello stesso tempo mai così litigiosi come oggi, visto che si litiga non sulle idee, ma su chi deve avere il potere, una contesa personalistica a cui gente sempre più istupidita assiste vociando come fosse a uno stadio di calcio.

lunedì 19 aprile 2010

EDITORIALI SENZA SENSO

Ancora una volta, la grande stampa nazionale ospita articoli che esprimono opinioni apparentemente illogiche e senza alcun senso. In questo caso, mi riferirò all’editoriale di Panebianco di ieri.

L’articolo afferma, apoditticamente, visto che non prova neanche ad argomentare la tesi prospettata, che la rivolta di Fini, causata dallo strapotere della Lega, ha invece l’effetto paradossale di rafforzare la Lega. A me pare veramente che le cose stiano proprio all’opposto. Vediamo di capirci: c’è una reale competizione tra Bossi e Berlusconi? Per competizione, qui non mi riferisco ad avere un eletto in più o in meno, questo tipo di competizione è ovvia e fuori discussione. Il punto però mi pare è se essi puntino verso prospettive politiche realmente divergenti. Questa divergenza mi pare di potere affermare che non esista, e che anzi tra i due ci sia una quasi perfetta divisione dei ruoli. Solo un elettore disattento potrebbe immaginare che votando Lega, non stia contemporaneamente aiutando Berlusconi e viceversa: colpisce che un famoso editorialista, noto politologo, possa sottovalutare quello che invece è evidente a tanti, e senza cui, l’uscita di Fini apparirebbe insensata. Fini sostiene che il PDL stia troppo aiutando la Lega, vedendo che il profilo personalistico che Berlusconi ha dato alla formazione politica finisce per finalizzare tutte le scelte politiche al personale successo di Berlusconi, danneggiando nel contempo fortemente il PDL nel suo complesso. Non dico che nell’atteggiamento di Fini non ci sia anche un elemento di ambizione personale, ma che sarebbe troppo semplificatorio vederla solo così. A me pare che a Bossi questa uscita di Fini disturbi molto, non perché sia credibile che Berlusconi abbandoni la linea subalterna alla Lega fin qui tenuta, ma piuttosto per i contraccolpi che essa rischia di innescare nel personale potere di Berlusconi. Insomma, a Bossi serve un alleato forte, perché solo questi può permettere alla Lega di recitare la commedia del partito di lotta e di governo, solo il fatto di non esprimere il premier permette a Bossi di instillare nel proprio elettorato la convinzione che tutto ciò che va bene è da accreditare alla Lega, e tutto ciò che male il governo fa, va addebitato al PDL. L’organicità del patto stretto tra Bossi e Berlusconi è ormai un fatto acquisito: ancora dopo le elezioni del 2008, e per una lunga fase, Berlusconi, che non è uno stupido, tentò di resistere a questa influenza determinante: ancora dopo i fatti dell’Aquila, ci fu una burrasca con Tremonti. Forse fu proprio la conclusione di quella vicenda che lo portò alla fine a desistere, e diventare di fatto un fantoccio nella mani di Bossi. Da allora, è evidente a tutti, meno naturalmente che a Panebianco, che il premier gestisce secondo le proprie logiche solo ciò che la Lega benignamente gli concede, e che poi coincide con una certa spartizione di risorse economiche, ma solo per una quota modesta, e tutta la legislazione in tema giustizia, che gli permette di evitare di farsi processare. A lui va bene, ma agli altri iscritti del PDL è certo che “meno male che Silvio c’è” e non piuttosto che “meno male che Silvio si dovrà presto togliere di mezzo, e prima lo fa e meglio è”?

sabato 17 aprile 2010

LA SINGOLAR TENZONE FINI-BERLUSCONI

Il perenne scontro tra Fini e Berlusconi vive in questi ultimi giorni una sua fondamentale tappa. Il secondo con il noto proclama del predellino, ha in sostanza rubato il partito al primo rendendolo suo personale possedimento. In un primo tempo, Fini tentò di resistere, ma evidentemente quella fase sanciva un’appropriazione già consumatasi nei fatti nel corso dei lunghi anni di alleanza tra le due formazioni politiche. Poiché la logica dei politicanti è quella di rimanere aggrappati alla poltrona, già molti luogotenenti di AN erano passati dall’altra parte, perché questo significava passare dalla parte del capo, e aggregarsi al più potente è una tentazione a cui tantissimi italiani non sanno resistere. Quando a Fini fu chiaro che tantissimi dei suoi l’avrebbero abbandonato, fece buon viso a cattivo gioco, anche se questo significò capovolgere la sua posizione in poche settimane.

Questa premessa chiarisce come ciò che oggi sta avvenendo è soltanto una tappa di una lunga storia. Fini, come tutti del resto, si rende conto di quanto male Berlusconi esca dalle elezioni regionali, il suo personale appeal è molto compromesso: ho letto che solo 17 elettori su cento sono disposti a votarlo. Nello stesso tempo, cresce il potere della Lega. Visto che Berlusconi asseconda i disegni della Lega per rimanere in sella, questa reazione di Fini è direi obbligata. Oggi, ci interroghiamo su quale possa essere l’esito di questo scontro. Un’ipotesi definita non si può fare, perché tutto dipende dai numeri, da quanti cioè saranno i parlamentari che sono disposti a restare con Fini. Si possono solo analizzare le possibili alternative che si pongono.

La prima ipotesi è che il dissidio tra i due si ricomponga, ma questa ipotesi non potrebbe che significare la vittoria di Berlusconi su Fini. Quest’ultimo potrebbe certo tornare sui propri passi, similmente a quanto fece nel citato caso del proclama del predellino, ma gli sarebbe impossibile nascondere la palese sconfitta.

Più interessante l’ipotesi alternativa, che il dissidio cioè non si ricomponga. In questo caso, si avrebbero ancora due differenti possibilità, costituzione di gruppi parlamentari autonomi e il parlamento che arriva fino a fine legislatura, oppure elezioni anticipate.

Se si deve arrivare a fine legislatura, rimangono ancora due possibilità: o rimane in carica questo governo con l’appoggio esterno da parte di Fini, oppure si va a un governo alternativo. La prima ipotesi non può essere accettata da lega e Berlusconi, che darebbero un enorme potere di veto a Fini. La seconda dovrebbero subirla, e richiederebbe l’unione di tutto ciò che sta in parlamento al di fuori di Lega e berluscones.

Dato quindi per scontato che quel che rimarrebbe del PDL e Lega punterebbero a elezioni anticipate se la frattura non si rimargina, rimane da capire come l’opposizione possa giocare le sue carte. Detto sinteticamente, o essa asseconda lo sbocco elettorale, sperando che la crisi del PDL, il declino evidente di Berlusconi, possano avvantaggiarla, oppure essa entra nel merito della disputa, tentando di generare nuove e inedite larghe intese che la portino al governo. Già, all’interno del PD queste due opposte alternative sono state avanzate, quella di stare a guardare puntando a prossime elezioni Franceschini, quella di larghe intese dal solito D’Alema. Quest’ultima ipotesi si opporrebbe clamorosamente alla logica bipolare, prevedendo un’alleanza che vedrebbe assieme al PD l’APL, l’UDC e la neoformazione finiana, oltre naturalmente l’IDV. Il punto però è che un sistema bipolare o proporzionale si fonda sulla legge elettorale vigente, non sulle alleanze al momento costituite. Se quindi la legge elettorale non viene modificata, Fini, Casini o chi per loro potrebbe trovare più conveniente tornare a vecchie alleanze lasciando per l’ennesima volta il PD nel suo ruolo marginale e subalterno. Il punto alla fine mi pare sempre lo stesso, la ricerca di alleanze maschera in D’Alema il vuoto di politica intesa come iniziative specifiche, finalità da raggiungere, il potere senza obiettivi. Non dico che Franceschini tali idee le abbia, ma in D’Alema questo modo di concepire la politica è sommamente esplicito ed evidente, in altri c’è un margine quanto meno di ambiguità.

Nel frattempo, proprio perché i numeri dei parlamentari finiani ancora non li conosce nessuno, nel PDL si sono divisi i compiti: Berlusconi dice che in ogni caso si va avanti, puntando sull’esiguità di questi, insufficiente a togliere la maggioranza al governo, mentre al contrario Schifani evoca l’ipotesi delle elezioni anticipate, nel (per loro) malaugurato caso che invece i numeri siano favorevoli a Fini.

martedì 13 aprile 2010

PD: DALL'EUTANASIA AL GESTO KAMIKAZE

Le recenti dichiarazioni fatte da Prodi sono state prontamente riprese ed amplificate all’interno del PD, particolarmente da Chiamparino, sindaco di Torino, che sembra volere prendere l’iniziativa, non sui temi dell’attualità politica, economica, sociale, ma su come dovrebbe strutturarsi il suo partito. Detto per inciso, sarà certo mia distrazione, ma non ho mai sentito una dichiarazione di Chiamparino su questioni appunto di merito, così che dubito che egli abbia davvero delle proprie opinioni politiche, ma su questo magari qualche torinese potrebbe illuminarmi.

Sulla struttura del partito, viceversa, Chiamparino sembra avere delle idee molto chiare, ed abbastanza in sintonia con Prodi, strutturare il partito su base regionale: saranno i segretari regionali eletti con le primarie a costituire l’organo dirigente ed ad esprimere il Segretario Nazionale. Rimango allibito, ancora una volta all’interno del PD una spinta masochista si fa avanti. Quindi, per Chiamparino, il PD dev’essere un partito plebiscitario, visto che usa le primarie non per esprimere un candidato, ma un proprio dirigente. Possibile che gli sfugga una cosa fin troppo ovvia, che questo sistema è ideale per distruggere del tutto il partito? Insomma, si consacra con il voto di base una ventina di personaggi, e poi c’è qualcuno che ritiene che essi debbano rispondere a qualcuno? Come potrebbe un partito così strutturato mantenere una propria unità? Quale segretario nazionale potrebbe esprimere una capacità decisionale in tale situazione? E’ evidente che questa ipotesi porta dritto dritto a spaccare quel che resta del PD, lasciando come residuo questa ventina di personaggi pronti a vendersi sul mercato politico, forti del consenso ottenuto, dei veri e propri cacicchi insomma.

Come tutti i gesti suicidi, anche quello di Chiamparino ha le sue giuste motivazioni, che penso si possa condividere, cioè i poteri effettivi presenti nel PD, al di fuori degli organi istituzionali. Pensate ad esempio a D’Alema, e alla sua fitta rete di contatti e conoscenze che, esprimendo al proprio interno solidarietà ben più salde di quelle di partito, per ciò stesso, ne mina l’autorità. Il gesto di Chiamparino è insomma un po’ il volere rovesciare il tavolo da gioco con tutte le carte: visto che i meccanismi di veti incrociati dovuto a queste aggregazioni di potere ufficioso rischiano di incancrenire il partito, cambiamo le regole.

Seppure il problema appaia reale, è la risposta che egli propone a non apparire per niente convincente. Sembra proprio che questi politici non imparino niente dall’esperienza dei loro colleghi. Se guardassero alla Lega, il partito che ha fatto del federalismo la sua bandiera, vedrebbe come quel partito si regge su una struttura estremamente centralizzata, direi quasi dispotica: Bossi è capo indiscusso. In altre parole, possiamo bene organizzare lo stato per regioni, ma finchè di unico stato si tratta, l’unità della propria organizzazione diventa prioritaria. La logica, seppure ovvia, sembra a sfuggire al Chiamparino di turno: dividiamo lo stato, dividiamo gli avversari, ma noi dobbiamo stare uniti, e non dividerci per regione con una designazione di base che rende questi segretari nazionali potentissimi, e senza alcun obbligo verso il centro, che così finisce con lo stesso estinguersi. La soluzione sarebbe ovviamente opposta, conferire al segretario più poteri, non meno poteri, ci vuole un capo indiscusso che possa imporre la propria linea. Naturalmente, bisognerebbe trovarlo un capo autorevole e condiviso, ma questo è un altro problema.

Bene, Prodi e Chiamparino hanno infine messo le basi perché nel PD avvenga l’ennesimo miracolo: trasformare quella che sembrava un’eutanasia ben avviata, nel gesto dei kamikaze. L’eutanasia significa spegnersi serenamente, privare il mondo della propria persona. Il PD invece vuole sì morire, ma non in maniera così indolore, vuole trascinare nel proprio gesto di morte altri, nel nostro caso l’Italia intera. Se venisse davvero avviata questa operazione di regionalizzazione, essa non avrebbe solo effetti interni al PD, ma farebbe avanzare un infausto processo di divisione nazionale, assecondando, magari inconsapevolmente, il disegno leghista, e forse in maniera ben più efficiente, perché distruggerebbe quel senso di unità che è tipico della sinistra, ridotta a spezzoni autoreferenziali (vedi che progresso dall’attuale autoreferenzialità nazionale…!).

sabato 10 aprile 2010

RIFORME, UNA PAROLA INUTILE

Sui giornali, sulle televisioni, non si parla d’altro, i messaggi dei politici, delle figure istituzionali vanno in un’unica direzione, la parola di certo più gettonata è “riforme”, già perché anche il plurale è d’obbligo. C’è chi dice “adesso è l’ora delle riforme”, c’è chi dice “siamo pronti a discutere di riforme”, chi ancora dice “non ci tireremo indietro da un confronto sulle riforme”, chi ancora raccomanda “riforme condivise, niente proclami ed approssimazioni”: magari dicono cose differenti, ma questa parola magica non se la fa mancare nessuno.

Bisognerebbe che qualcuno li avvisasse, che qualcuno magari spiegasse loro che “riforme” in sé è una parola priva di significato, affrontare la prossima fase politica con questa parola d’ordine, sarebbe lo stesso di avere come proponimento per quel giorno “di uscire da casa”: “Su cosa farò oggi, ho le idee chiarissime, esco da casa”.

Davvero, non se ne può più, se tenti di informarti, le notizie che ti vengono catapultate sono queste parole ambigue quanto basta, ma insomma è come accorgersi che qualcuno sta armeggiando dietro di te, pronto a un’ulteriore sodomizzazione dei sudditi, perché questo siamo diventati.

Riformare significa cambiare, rimodellare, ma, come dovrebbe essere ovvio per tutti, non vi può essere alcun significato automaticamente positivo del termine. Che la maggioranza intenda manomettere la struttura istituzionale dello stato per piegarla alle proprie esigenze politiche, è una cosa del tutto comprensibile, ma dovrebbe essere ovvio che l’opposizione, proprio per il fatto di essere minoranza, debba guardare con estrema diffidenza questa eventualità. Di fatto, una certa prudenza è stata manifestata. Ciò che davvero non si riesce a comprendere è il protagonismo di Napolitano. Mi aspetterei che, data la sua figura istituzionale, il Presidente si tenesse fuori da questa vicenda politica. Più volte, una certa condiscendenza verso il signor B., è stata giustificata con la difesa di un ruolo neutrale che la sua stessa carica gli imponeva. Diventa oggi incomprensibile questo suo protagonismo, questa spinta ad andare avanti con le riforme. Presidente, Lei è stato un giorno un dirigente del PCI. Oggi le vorrei chiedere, in nome di questa passata militanza, non di mettersi di traverso alla maggioranza, questo sì che apparirebbe una partigianeria, in violazione dei suoi doveri istituzionali, ma soltanto di astenersi dal sollecitare riforme il cui contenuto non potrà che essere favorevole alla maggioranza, a meno di credere che essi siano così tanto stupidi da approvare riforme che li danneggino.

In verità, una riforma sì la vedrei bene, anzi assolutamente necessaria, la riforma della legge elettorale, giacchè l’attuale è così oscena, mortifica talmente l’istituzione Parlamento, che pure la nostra Costituzione pone al centro della struttura statale, che sarebbe davvero difficile fare di peggio. Certo, difficile non significa impossibile, e questi sarebbero capaci anche di questo. Se però ci fosse una convergenza verso un sistema a collegi uninominali, magari a doppio turno, credo che questo sì sarebbe un grande passo in avanti, proprio perché direi automaticamente il livello qualitativo dei parlamentari aumenterebbe, e questo sarebbe comunque un valore in sé.

giovedì 8 aprile 2010

IL DOPOELEZIONI DELLA LEGA

Schematicamente, potremmo dire che ci sono due opposte letture dei dati elettorali. Una fa riferimento ai dati percentuali, e li riorganizza, ove possibile, come sommatoria degli schieramenti. Come dicevo in precedenti post, la perdita notevole di voti del PDL non ha effetti sulla stabilità del governo e dell’intero quadro politico, perché compensata dalle percentuali crescenti di consensi alla Lega. Da tale punto di vista, risulta molto più importante la conquista di nuove quattro regioni da parte del centrodestra. Considerata la diminuzione percentuale del PD dell’ordine di un solo punto, anche Bersani ha le sue ragioni per sostenere che la decrescita si è arrestata, ma così finge di non riconoscere l’essenziale, che consiste da una parte nella perdita di quattro regioni, e dall’altra nella forza immutata del centrodestra, pure a seguito di due anni di crisi economica. Se poi ci riferiamo invece ai dati assoluti, tenendo quindi conto degli astenuti, e delle schede bianche e nulle, il PD ha perso ancora un altro milione di elettori. Seguendo questo secondo criterio, hanno perso tutti tranne il movimento cinque stelle, per la semplice ragione che era la prima volta che si presentava alle regionali e non poteva ovviamente perdere i voti che non aveva ancora conquistato. Sembrerebbe quindi, in base al milione e mezzo di voti persi dal PDL che il fascino del signor B. ne esca abbastanza ridimensionato. La Lega, dal canto suo, dall’alto di una perdita di voti minima, centocinquantamila in tutto, appare a tutti come il vero vincitore delle elezioni. Come dicevo in un precedente post, l’effetto a livello politico del differente peso all’interno della coalizione di governo appare minimo. Infatti la Lega ha bisogno del signor B., e a mio parere vede con timore la sua perdita di appeal verso i propri elettori. Non esprimere il premier, ha per la Lega dei vantaggi indubbi, se, come finora è riuscita a scambiare gli atti politici fondamentali da essa proposti con le leggi ad personam per il premier. E’ una situazione ideale che la Lega non ha nessuna ragione di modificare, neanche diventando il maggior partito nazionale, in un’ipotesi ad oggi del tutto inimmaginabile.

Quali sono i fattori potenziali di crisi della Lega? Io ne vedo due, uno di carattere interno, e cioè l’inevitabile contrapposizione che finirà per sorgere man mano che il suo stesso successo tenderà all’emergere di nuovi leaders al suo interno. Bossi a tuttoggi appare il leader indiscusso, ma non è detto che questo vada avanti per sempre, e d’altra parte lo stesso Bossi non è eterno, e qualunque suo cedimento susciterebbe immediatamente una lotta per la sua successione. L’altro, il più importante, è di carattere politico, e riguarda la sfida nella gestione del potere, e delle proprie iniziative. La sfida più importante appare oggi il federalismo fiscale. La scommessa, davvero difficile, è come attuarlo senza aumentare consistentemente le tasse. In Italia finora, ogni decentralizzazione si è tradotta in un aumento del peso fiscale. In questo caso, si dovrebbe dare alle regioni una competenza quasi esclusiva sul fisco, ma ciò pone subito due difficoltà. Uno, come privare il governo centrale del massimo dei propri poteri, come può un qualsiasi governo e parlamento abdicare alla sua funzione di stabilire a chi prendere i soldi e a chi destinarli. Non si sa granchè sulle misure che si vogliono assumere per l’attuazione del federalismo fiscale, ma certe dichiarazioni farebbero intendere che solo le spese per la difesa e per la politica estera rimarrebbero di pertinenza nazionale. Perfino le forze dell’ordine potrebbero essere organizzate su una base regionale. E’ evidente che se il federalismo fiscale fosse attuato in maniera così drastica, il governo nazionale perderebbe competenze e potere a favore delle singole regioni. Mi chiedo quale formazione politica, eccetto la Lega, ma forse non dovrei escludere neanch’essa, potrebbe accettare questo spostamento del potere così totale, senza che ancora si sia proceduto alla ventilata riforma del Senato verso un Senato delle Regioni. Mi pare evidente che il governatorato della Lombardia diventerebbe un potere molto più ambito anche rispetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il secondo problema deriva dallo spostamento poderoso di risorse dal Sud al Nord, se ogni regione trattenesse l’intero importo delle tasse riscosse. Per le regioni del sud, senza trasferimenti statali, far quadrare il bilancio sarebbe del tutto impossibile. Sarebbe necessario prevedere un contributo di solidarietà. Mi chiedo a questo punto che vantaggio trarrebbe la Lega dal far risaltare questo “regalo” che il Nord farebbe al Sud, come poi potrebbe giustificarlo di fronte ai propri elettori drogati da una propagata pluridecennale nordista. Paradossalmente insomma, l’apparire come il partito più potente, almeno dal punto di vista sostanziale, determina dei fattori di potenziale crisi, quantomeno nuove sfide che non sarà facile fronteggiare.

sabato 3 aprile 2010

MECCANISMI ELETTORALI. SECONDA PARTE

Andiamo adesso al resto dello schieramento politico, iniziando a considerare l’UDC. Casini si è mosso parecchio nei mesi precedenti le elezioni, mostrando una certa abilità dialettica, ma il risultato elettorale è modesto, io direi perfino deludente. Il punto mi pare è che un partito che si muove in una logica proporzionale non può poi allearsi con altri, anche se le alleanze appaiono differenziate a seconda della regione. Sarebbe certo apparso più coerente agli occhi degli elettori se Casini si fosse ovunque presentato da solo, scontando il non esprimere nessun governatore. Del resto, anche così, governatori non ne ha espresso neanche uno, al massimo contribuendo ad eleggere governatori appartenenti ad altri partiti. Non solo non è coerente l’apparentarsi, ma quando poi il ruolo dell’UDC è lungi dall’apparire determinante, allora è proprio il disegno politico complessivo che risulta sconfitto. Sotto questa luce, proprio non si comprende la logica del disegno strategico portato avanti da D’Alema di alleanza sistematica con l’UDC. Infatti, se come dovrebbe essere ovvio, il PD è nato all’interno di una logica come minimo bipolare, nella visione di Veltroni addirittura bipartitica, quale sarebbe allora la logica di dare ossigeno a Casini? Sembrerebbe ovvio che l’UDC andasse ridimensionato appendendolo alla sua logica proporzionale. Qualcuno potrebbe pensare che questo causerebbe un travaso di elettori verso il signor B. Anche su questo, credo che bisognerebbe fare chiarezza, smettendo una volta per tutte di considerare gli elettori una merce che viene trasferita a piacere da un posto all’altro. Casini insomma, come qualsiasi altro partito, non possiede propri elettori. L’unica cosa che possiamo sapere è come nel passato gli elettori si sono comportati: è certamente un dato che ci può suggerire risultati futuri, ma converrebbe fermarsi qui. L’ interpretazione degli spostamenti elettorali è sempre una cosa complessa e in definitiva aleatoria. Perfino quel quasi tre per cento circa di elettori persi dall’estrema sinistra nel 2008, senza certo travasarsi nel neonato PD di Veltroni.

Il PD adesso dovrebbe porre come obiettivo prioritario il sistema bipartitico, inteso come dicevo nel precedente poster con i collegi uninominali. Se questa riforma elettorale passasse, essa crebbe enormi problemi nei rapporti tra PDL e Lega, e soprattutto proprio al signor B., che non ha un ceto politico decente che possa rappresentare un’attrattiva per gli elettori, e basa tutto sul suo personale appeal di tipo mediatico, e televisivo in particolare. Le formazioni minori dovrebbero accettare questa prospettiva, riuscendo in qualche modo a federarsi, anche se fosse solo a fini elettorali. Perfino un proprio risultato più modesto potrebbe essere accettato considerando che verrebbe fuori un Parlamento sicuramente molto più qualificato e più in grado di difendere le proprie prerogative rispetto a un governo sempre più invadente, vero potere anche legislativo nel presente contesto. Trovo in definitiva miope misurare i propri atti politici sulla base del presumibile proprio successo elettorale. In particolare, appare del tutto incomprensibile la difesa ad oltranza del sistema proporzionale da parte delle miniformazioni di sinistra. I fatti pregressi mostrano che una certa mentalità maggioritaria è già maturata negli elettori italiani, che puniscono le piccole formazioni in quanto insignificanti, indipendentemente dai risultati elettorali attesi. Come si potrebbe spiegare altrimenti il risultato delle elezioni del 2008? Un’area potenziale dell’otto per cento non poteva essere penalizzata da uno sbarramento del quattro per cento: non è insomma il meccanismo elettorale che ha penalizzato tali formazioni, ma la volontà, mi pare legittima, degli elettori di vedere il proprio voto utilizzabile a fini politici reali. Se i partiti si trovassero nella condizione di dovere selezionare con cura i propri candidati, ne risulterebbe un vantaggio grnadissimo in termini di democrazia totale. Possono IDV, PD ed ex-AN convergere su un’ipotesi di legge elettorale maggioritaria a collegio unico? Io lo auspico.

giovedì 1 aprile 2010

MECCANISMI ELETTORALI - PRIMA PARTE

Vorrei dare una lettura dei risultati delle recenti elezioni regionali sotto una lente un po’ diversa da quella che ho visto leggendo da varie parti.

Una prima lettura l’ho data nel post precedente, e riprendeva sostanzialmente il criterio ovvio che si adotta in tali casi, verificare le variazioni di percentuali delle varie liste rispetto a elezioni precedenti. Ma, man mano che riflettevo su tali risultati, mi sono infine reso conto che questi andamenti in sé non sono in grado di determinare effetti sul quadro politico. Il messaggio che gli elettori inviano col loro voto deve fare i conti con tanti altri elementi, naturalmente con le alleanze esistenti, ma non solo, anche con le stesse leggi elettorali vigenti. E’ ciò che qui tento di fare, giungendo a conclusioni che trovo di un certo interesse.

Occupiamoci subito della maggioranza di centrodestra. Mi pare che sia sotto gli occhi di tutti che ciò che ha garantito un risultato positivo a questo schieramento è il duplice successo della Lega da una parte e di AN dall’altra. Non sobbalzate, il breve tempo trascorso dall’unificazione non ha determinato una reale fusione tra AN e FI, che apparentemente continuano ad esistere come sottoparti del PDL. Non che non sia successo niente, c’è stato un travaso di dirigenti da AN a FI: basterebbe citare Gasparri, La Russa, tra i casi più significativi di politici ora piena proprietà del signor B. Fini però ha resistito pur con un gruppo di fedelissimi ridotto. Ancora ieri sera a Tetris. D’Urso ha esordito proprio rivendicando il successo di Fini, ma avrebbe potuto dire di AN, alle ultime elezioni. E’ successo insomma che il signor B. non ha facce decenti da presentare alle elezioni, e che possano raccogliere consensi. Polverini e Scopelliti sono uomini di AN, Caldoro non saprei, Formigoni è di CL ed è un caso a sé stante. Lì dove c’era un candidato del signor B. e del suo fedelissimo Fitto, Palese in Puglia, questi è uscito nettamente sconfitto, ed anche volendo accreditare Caldoro a FI, ma ne dubito, un solo governatore portato a casa dal signor B. non può che suonare che come una sua pesante sconfitta.

In altre parole, lo schieramento di centrodestra, in una schematizzazione estrema, appare come una portantina a due bracci. Sulla portantina ci sta il signor B., e la sostengono da una parte Bossi e dall’altra Fini: se uno dei due la lascia andare, il signor B. cade miseramente a terra. Adesso, ci si può chiedere come mai questi due personaggi politici navigati si prestino a fare da portantini del signor B. Evidentemente, ne traggono vantaggi anche loro. Ciò è senz’altro vero per la Lega. Il paradosso della Lega è che conquistare nuovi voti alla lega non cambia nulla, almeno finchè non decidesse di diventare un partito nazionale o se decidesse addirittura la secessione formale del Nord. Nella situazione data, la Lega ha determinato il suo successo quando ha ottenuto le due candidature a governatore. La Lega in Veneto avrebbe potuto ben avere anche il 40% dei voti, ma se Bossi non avesse strappato la candidatura per Zaia, avrebbe soltanto portato acqua al mulino del PDL. Qui già si percepisce quanto un determinato sistema elettorale determini effetti squisitamente politici. Il vantaggio della Lega è chiaro, continuare ad essere partito di lotta e di governo. Governano col signor B., ed ottengono così consensi, ma rivendicano la loro specificità, mai negando l’aspirazione alla secessione padana. Questo doppio binario per loro è molto lucroso, sono coloro che determinano le scelte più significativa di governo, ma nello stesso tempo si possono sempre smarcare, sostenendo il valore tattico della loro alleanza col PDL. Non avendo quindi interesse a rivendicare il governo dell’Italia, a loro sta bene avere un capopopolo che subisce le scelte che la Lega compie.

Se andiamo poi a ciò che è rimasto di AN, le cose appaiono differenti. Il disagio per il ruolo in cui si ritrova, è in Fini evidente. La preponderante influenza che la Lega gioca negli equilibri di governo va bene al signor B., a cui interessa salvarsi dalla galera e sentirsi il capo onorato e osannato, ma ha collocato AN in una funzione marginale. Il crescente successo elettorale della Lega così, non si può che tradurre in un disagio crescente per Fini ed AN. Cosa frena Fini da scelte radicali, come l’abbandono del PDL? Ancora una volta, è il sistema elettorale vigente. E’ lo schema bipolare in cui hanno costretto questa nazione che determina questi effetti perversi, con l’aggravante della scandalosa determinazione dell’ordine di eleggibilità dei candidati scelta preliminarmente dai pochi che comandano. Io credo che Fini dovrebbe riflettere a fondo su questo punto, quanto un sistema a unico candidato, quale i governatori delle regioni, ha favorito la sua parte. Se si andasse quindi a un sistema a collegi uninominali, magari a doppio turno con ballottaggio, allora potrebbe uscire da questa trappola in cui Fini si è andato ad infilare.

La mia impressione è quindi che l’equilibrio su cui il signor B. basa il suo potere, è determinato in gran parte sul sistema elettorale a logica bipolare e a parlamentari nominati, e quindi non necessitati ad essere neanche a livello di decenza: qualunque farabutto o imbecille può sedere sugli scranni del Parlamento purchè il signor B. lo voglia. Bossi d’altra parte controlla perfettamente la Lega anche basandosi su questo meccanismo, e non è interessato ad andare a collegi elettorali uninominali in cui sarebbe costretto a mettersi in competizione col PDL.

Non resta quindi a Fini che proporre e sostenere una riforma delle leggi elettorali in contrasto col signor B. e la Lega, evidentemente alleandosi con tutto il centrosinistra. Riprenderò l’argomento in un prossimo post, analizzandolo dal punto di vista del centrosinistra.