domenica 29 novembre 2009

BRUTTE NUOVE DA DUBAI

La crisi finanziaria che ha investito Dubai, aldilà della sua effettiva gravità e ampiezza, mostra come la crisi scoppiata a metà del 2008 e data per superata, è invece all’ordine del giorno. Come risultò presto chiaro, la sua vera causa, i cosiddetti titoli spazzatura, sono stati tutt’altro che un elemento marginale nei mercati finanziari mondiali: basti considerare il loro importo complessivo, valutato al disopra di 5000 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra gigantesca, la cui effettiva entità finisce con lo sfuggire. Per valutarne la dimensione enorme, basti considerare che costituisce poco meno di metà del PIL degli USA. Qual è stata la terapia che hanno seguito gli stati, a partire dagli stessi USA? E’ stata di immettere enormi quantità di liquidità. Come è stata utilizzata questa gran massa di denaro? Solo per acquistare una parte di questi titoli spazzatura, senza distruggerli. Insomma, la bomba che metteva a repentaglio l’edificio, non è stata fatta brillare, ma è stata messa in mezzo alla sabbia, o almeno il 40% di essa, perché la maggior parte viaggia tuttora liberamente per i mercati finanziari di tutto il mondo. Si è valutato che la priorità assoluta fosse costituita dal salvataggio delle banche, sperando, in verità fideisticamente, che ne seguisse un circuito virtuoso che potesse minimizzare l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale.

I risultati credo che siano davanti ai nostri occhi: le banche hanno già ricominciato a macinare utili, le borse di tutto il mondo sono cresciute mediamente di circa un quarto dai minimi raggiunti. Nello stesso tempo, nei paesi occidentali abbiamo avuto una contrazione del PIL di circa il 5%, anche se segnali di crescita si osservano nell’ultimo trimestre. Il dato oggi più preoccupante è costituito da tassi di disoccupazione in sensibile crescita.

Sarebbe chiedere troppo alle autorità statali di tutto il mondo, a partire da Obama, di volersene occupare? Di dedicare energie e risorse con la dovuta generosità e urgenza alla gente, alle persone fisicamente definite? Possibile che di emergenze si parli solo a proposito delle istituzioni finanziarie e invece, per la garantire la sopravvivenza delle persone ci si affidi fideisticamente ai meccanismi propri del mercato?

Nell’ultima puntata di “Annozero”, Bersani è riuscito a far ammettere all’ironico Tremonti che davvero la politica economica di questo governo è inesistente, basandosi sullo spostare fondi da una voce all’altra di bilancio, secondo un abile meccanismo, il cui effetto sostanziale è un rinvio effettivo nell’erogazione delle somme, cioè delle uscite. La difesa di Tremonti è stata quella di pavoneggiarsi con i riconoscimenti internazionali che ha ricevuto: notare bene, riconoscimenti da parte di quelle stesse istituzioni che Tremonti ha ripetutamente disprezzato tranne, ovviamente, nel momento in cui gli affidano compiti di prestigio.

Io non sono certo ministro, e neanche economista, e pertanto mi posso permettere di esprimere giudizi ben più critici sulla gestione internazionale della crisi. La verità è davanti a noi: non ci sono mele marce nella finanza colpevoli della crisi, c’è un intero sistema economico-finanziario malato in tutto il mondo, incapace di confrontarsi con i limiti dello sviluppo dovuti alla limitatezza dei mercati (limiti della domanda globale), e, in maniera più drammatica, i limiti delle risorse naturali, che presto chiederanno il conto a un’umanità in corsa sempre più folle verso il baratro della invivibilità ambientale.

Volendo riassumere le cose dette in poche domande:

- Come mai, a distanza di più di un anno dallo scoppio della crisi, nessuno aveva sollevato il problema Dubai? Non si era capito il problema, pensando che non esistesse, o si voleva nasconderlo, chissà assieme a quanti altri? Come potremmo mai fidarci delle istituzioni finanziarie nazionali ed internazionali se dimenticano o fanno finta di dimenticare falle finanziarie ancora presenti?

- Possibile che non sia chiaro come il capitalismo, cioè un sistema basato sul profitto, è incompatibile con un mondo non in grado, al livello tecnologico esistente, di reggere a uno sviluppo inarrestabile?

- Possibile quindi che si pensi di risolvere i problemi occupazionali, affidandosi ancora una volta al mercato, piuttosto che attraverso una pianificazione deliberata centrata sul criterio della piena occupazione?

venerdì 27 novembre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 16

Dunque, per il signor B., c’è un clima da guerra civile. Ebbene, se lo dice lui, dal suo osservatorio, le informazioni le dovrebbe avere. Sarebbe interessante ci dicesse chi è responsabile della situazione data. A volte, la guerra civile nasce da un colpo di stato, è la conseguenza inevitabile di strappi fatti alla legalità. A me pare ne siano stati compiuti un bel po’ nel nostro paese in questi ultimi anni.

Il primo, e che io ritengo forse il più grave di tutti, è una legge elettorale indecente: i parlamentari vengono scelti dagli apparati di partito e, vista la netta svolta cesarista in politica, sostanzialmente da cinque persone. A noi elettori non rimane da stabilire niente più che la loro ripartizione tra le cinque liste elettorali che sono rappresentate in Parlamento. In tal modo, si innesca un meccanismo di selezione al contrario: viene premiata innanzitutto la fedeltà, che a me pare un pregio degno di un cane, ma non di una persona. A un candidato parlamentare dovrebbe piuttosto essere chiesta lealtà, non fedeltà, anzi l’indipendenza di giudizio dovrebbe costituire la dote principale.

Il risultato è un continuo abbassamento nello loro qualità, parlamentari sempre più dequalificati, pronti ad esaltare il leader che li ha promossi, che dividono le loro energie tra il curare i loro interessi personali e riconfermare la loro subordinazione al loro leader E’ difficile riconoscere perfino una sovranità a un Parlamento così composto, e qui smettiamola di invocare sempre la sovranità popolare: al popolo è stato concesso solo di scegliere un simbolo elettorale, non una persona fisicamente determinata. D’altra parte, è conseguente che questo Parlamento si è auto-ridimensionato, accettando di formalizzare decisioni prese nella loro forma più dettagliata al di fuori.

La legge elettorale ha quindi fatto fuori il potere legislativo, a favore del governo, cioè del potere esecutivo. Adesso, per completare lo scempio istituzionale, non rimane al governo che fare fuori il potere giudiziario: a quel punto, la cosa si completa, della democrazia non rimane che un vuoto simulacro, pronti a sposare un nuovo tipo di sistema politico, che io chiamerei post-democratico, i cui tratti fondamentali sarebbe interessante tracciare in dettaglio: chissà se avrò l’energia per occuparmene con il dovuto impegno!

Il signor B. sbraita come un bambino a cui hanno sottratto il giocattolo preferito: ma questa magistratura perché non si lascia normalizzare alla svelta e senza opporre resistenza? Come osa non sottostare passivamente ai miei capricci, alla mia necessità di assicurarmi l’immunità permanente e totale? Se non cede, allora è una magistratura golpista: notare la logica tipica del signor B. !

Esimio signor B., dai per una volta nella tua vita il buon esempio: ritirati dalla vita politica, magari ti diamo anche un salvacondotto per un paradiso fiscale, dove trascorrerai la tua vecchiaia in modi consoni a questa età. Smetti dunque di considerarti eterno, insostituibile, il migliore: sei solo un ometto patologicamente ambizioso, che susciti soltanto l’ammirazione di folle di ometti che ti somigliano nei loro desideri, ma a cui è rimasto soltanto il piacere di immaginarsi nei tuoi panni.

martedì 24 novembre 2009

L'IDEOLOGIA ASSENTE NEL PD

Vorrei oggi citare ancora un articolo di Barbara Spinelli, assieme, stavolta a un articolo di Giovanni Sartori. Trattano certamente due temi diversi, ma finiscono per mettere a fuoco lo stesso argomento, secondo punti di vista chiaramente differenti, anzi, per molti aspetti, opposti.

Si tratta di articoli complessi, la cui analisi richiederebbe ben altri approfondimenti di quelli compatibili con un blog. Li userò piuttosto in maniera parziale, soffermandosi su aspetti specifici.

Parto dalla Spinelli che colpevolmente non costituisce una mia lettura abituale: diciamo che in questi giorni ne ho riscoperto la grande lucidità di analisi e mi riprometto d’ora in poi di farne tesoro come fonte di ispirazione e di confronto. Ella prende spunto dall’anniversario della caduta del muro di Berlino che indubitabilmente, soprattutto per il suo contenuto simbolico, ha costituito un punto di svolta per la politica mondiale e particolarmente europea.

Occhetto, segretario del PCI a quel tempo, sollecitò un cambiamento nella politica con quella che pomposamente chiamò “la svolta della Bolognina”. La svolta della Bolognina era in parole povere il rinnegare la tradizione comunista per fondare “la Cosa”. Come argomenta la Spinelli, l’uso stesso di questo termine denunciava il vuoto mentale dei dirigenti del PCI, uniti soltanto sul voler cambiare, ma incapaci di formulare qualsiasi ipotesi alternativa. A questo proposito, scrivo nel mio libro che l’unica cosa conseguente che si sarebbe dovuta fare, avendo abbandonato un credo precedente e senza idee sostitutive, era sciogliersi, come chi perde la fede non si sogna di sostituirla subito con un’altra, semplicemente smette di abbracciare la fede precedente. Insomma, il PDS nacque già con questo peccato originale, di costituire soltanto un gruppo dirigente che, disponendo di strutture logistiche, avendo un seguito di militanti invidiabile, decise di sfruttarlo per sopravvivere politicamente. Il vuoto ideale di quei dirigenti non si è più riempito, ed anzi il passato comunista divenne un fardello ulteriore da espiare, come chi, da migrante in terra straniera, volendo far dimenticare di essere italiano, evita accuratamente di parlare nella propria lingua natia, tentando di simulare una maestria nella lingua acquisita che mai potrà davvero avere. Occhetto pensava che questo vuoto ideale dovesse essere transitorio, e che quindi andasse colmato al più presto. Ma fu sconfitto e il vincitore D’Alema assunse questo vuoto ideale come tratto permanente della propria formazione politica: sua è l’espressione di aspirare ad una paese normale, modo per trasformare la Cosa di Occhetto da transitoria in permanente. La normalità, come è ovvio, è un concetto inesistente, e quindi i DS non hanno più smesso di navigare a vista senza porsi più alcun obiettivo finale.

Soffriamo quindi nel nostro paese, ma io credo che si tratti di un problema mondiale, seppure in forma meno grave, di una carenza di quella che io mi ostino a chiamare ideologia, pur scontando la pluralità di significati che essa ha finito con l’assumere nel corso della storia. Ideologia è per me un sistema coerente di valori, che non necessariamente deve finire col cristallizzare il complesso delle opinioni, in quanto queste possono certo cambiare in funzione del vissuto, del confronto. L’ideologia costruisce piuttosto il substrato su cui costruire la politica, l’etica, la comunicazione stessa. Spesso accosto l’ideologia al linguaggio: se non condividessimo il senso delle parole, come potremmo anche soltanto comunicarci delle semplici informazioni? La menzogna, consapevole o no che essa sia, del rifiuto dell’ideologia, sta quindi nello sposare l’ideologia dominante che per operare non ha certo bisogno di un’accettazione esplicita. Nel momento in cui si vuole invece cambiare radicalmente i comportamenti sociali, è necessario invocare una nuova ideologia, e tutto si gioca quindi in questa asimmetria: chi deve mantenere l’esistente, fa finta di essere un libero pensatore, e tutto l’onere ricade su chi vuole cambiare. E’ la tesi appunto sostenuta da Sartori, che dice dell’ideologia: un pensiero che non-è-più-pensato, un ex pensiero dogmatico e fanatizzato che appunto ammazza il pensiero e le idee.

Sartori apparentemente sembra non rendersi conto che la stessa esistenza di una società, di una condivisione tra individui diversi, implica una cultura comune. Pensare si può e si deve, ma i pensieri traggono origine da altri pensieri, e questo processo è spontaneo. Rintracciare le fonti remote delle proprie convinzioni è un processo molto complesso, e lo stadio fondamentale per proporre una nuova ideologia consiste per l’appunto nel disvelare l’ideologia dominante che ben si dissimula nella nostra vita di ogni giorno.

Più interessante appare la parte dove Sartori richiama una cosa poco nota al grande pubblico, e cioè cosa pensassero i filosofi greci della democrazia. Per Aristotele, al contrario che per tanti nostri contemporanei, era ben chiara la differenza tra interessi realmente generali e interessi numericamente prevalenti. Proprio perché la democrazia era il governo dei molti, non avrebbe potuto portare avanti interessi generali, ma solo quelli particolari, e quindi la democrazia non poteva, per Aristotele, essere un buon governo.

Solo la spinta ideale proveniente dall’Illuminismo prima, dal Romanticismo poi, hanno fatto della democrazia ciò che appare nella maggior parte dell’Occidente, proprio nel contemperare il principio del consenso, cioè del mercato del voto, con principi ideali ad esso superiori.

Sartori quindi giunge alla conclusione che il gruppo dirigente del PCI, una volta abbandonato il credo marxista, resta un gruppo di potere— con nobili eccezioni, si intende — altrettanto cinico e baro dei gruppi di potere al potere.

In modo non dissimile, la Spinelli parla di un’espiazione, di un passato che per essere dimenticato, richiede la negazione di un’identità propria, la stessa negazione del concetto di opposizione come atteggiamento coerente e sistematico.

domenica 22 novembre 2009

IL FAMOSO MALE MINORE

Ho letto recentemente un articolo di Barbara Spinelli, certamente una delle nostre migliori giornaliste, che trovo eccellente, e mi pare di potere condividere. Lo cito qui, perché me ne sento in qualche misura coinvolto. Come scrivevo in un commento, per motivi caratteriali, forse anche per educazione, nel corso della mia vita la ricerca della coerenza nello sviluppo delle mie convinzioni ha contato tanto, spingendomi così verso un “estremismo” delle idee che ormai mi denota in coloro con cui vengo a contatto per i motivi più diversi. Anche qui sul blog, ho dovuto confrontarmi con le conseguenze di questo atteggiamento, quando miei commentatori abituali, in un primo momento attratti da una certa originalità nelle cose che scrivo, che mi riconosco e credo mi riconoscano anche gli altri, in occasioni e su temi specifici hanno misurato la mia intransigenza. Una prima occasione è stato lo sciopero dei blogs, su cui ho sollevato numerose riserve (qui). E’ seguita poi la vicenda della giornata proclamata, guarda caso, proprio da giornalisti, sulla libertà di stampa (qui). Infine, più recentemente, anche le primarie del PD (qui) hanno costituito un’ulteriore occasione per “divorzi unilaterali” che mi è toccato subire.

Qui, non sto certo a riscrivere l’articolo che invece merita di essere letto nella sua versione integrale. Ne ripercorro alcuni aspetti solo in riferimento agli aspetti che mi pare siano più attinenti a questo blog. Ella prende spunto dal libro recentemente dato alle stampe da Fini, e gli muove delle critiche, centrate attorno al concetto di “male minore”. Cito solo questo passaggio che mi pare molto illuminante:

Accade a ciascuno di cercare il male minore, nella vita individuale e pubblica. È il momento in cui urge, tatticamente, scongiurare il precipizio nel peggio. In politica spingono in questo senso la prudenza, l’astuzia. Ma il male minore rischia di installarsi, di divenire concetto stanziale anziché nomade: non ambivalente paradosso ma via aurea, con esiti e danni collaterali che possono esser devastanti, non subito ma nel lungo periodo. A forza di mitigare l’iniquità agendo dal suo interno, in effetti, sorgono insidie che la Arendt spiega bene: «Lungi dal proteggerci dai mali maggiori, i mali minori in politica ci hanno invariabilmente condotti ai primi». «Ossessionati dai mali assoluti» (Shoah, Gulag) ci abituiamo a non vedere il nesso, stretto, tra male maggiore e minore. La mente stessa muta, quando il male minore si cristallizza in norma.

Per parte mia, accettare che il gruppo editoriale di Repubblica divenga l’alfiere della libertà di stampa che quotidianamente viola è questo genere di “male minore”. La politica del PD, il tentativo di spostare di qualche millimetro il suo asse politico, agendo dal suo interno, si iscrive anch’esso in una lista di “mali minori”, allo stesso modo di come la Spinelli vede i comportamenti politici di Fini. Diciamo la verità: l’Italia è il paese per antonomasia del “male minore”, un’abitudine al compromesso non come passo verso un obiettivo prefissato, ma come equilibrio permanente: tanto permanente che poi dimentichiamo la finalità originaria, per farne fine a sé stesso. E’ un atteggiamento ispirato, a mio parere, dalla mentalità cattolica e curiale, per cui il brasiliano condonblè, rito pagano per antonomasia, viene invece pienamente tollerato, i vari generali sanguinari dell’America Latina potevano dichiararsi cattolici senza essere scomunicati, e così via dicendo.

Aggiungerò che la capacità di esportare questa mentalità è forte, così come confermato dalle recenti nomine di personalità mediocre alle massime cariche della UE.

giovedì 19 novembre 2009

CHI HA PAURA DELL'ISLAMISMO?

Ma si può mai sapere perché i musulmani facciano tanta paura? Non sto parlando di musulmani terroristi, che certo incutono timore anche a me, come è ovvio, ma parlo di normali musulmani, ed in particolare di coloro che hanno stabilito la loro residenza nella nostra Europa. Prendo spunto da un recente articolo di Panebianco sul Corriere (qui), che affronta proprio questo argomento, a partire dal tentativo prospettato nella vicina Spagna di presentare una lista elettorale ad ispirazione musulmana. L’autore è preoccupato, e ritiene che tutti i politici d’Europa dovrebbero preoccuparsi. Adesso quindi, immagino che nel dibattito politico, dopo l’uso del velo nei nostri paesi, dopo il burkini, ricordate, che infiammò le discussioni della scorsa estate, adesso dovremo confrontarci con il partito islamico nella nostra Europa. Nel frattempo, la sentenza sulla presenza del crocifisso negli edifici pubblici ha rilanciato il problema dell’identità.

Ora, non c’è alcun dubbio che la religione costituisca cultura, e come tale, inevitabilmente, un fattore d’identità. Pare a tanti, anche schierati tra i progressisti, che questa convivenza di differenti identità sia insopportabile nella nostra società. Su uno dei blog più noti (qui), si costruiva addirittura una acrobatica teoria che attribuirebbe la “colpa” del perpetuarsi di queste identità nelle parabole, cioè nella possibilità di ricevere le trasmissioni satellitari, e quindi di scegliersi eventualmente un canale ad ispirazione musulmana. Parallelamente, si sviluppa la discussione sulle colpe dell’Europa che nel suo statuto (non chiamiamola, per favore, costituzione), non ha esplicitamente citato le sue radici cristiane. Il discorso, sviluppato coerentemente solo dai leghisti, sarebbe che noi siamo un popolo cristiano, e che quindi chi vuole venire a vivere da noi deve annullare la propria identità, e acquisire quindi i nostri modi di vita: se proprio non ci riesce ad abiurare la propria religione per abbracciare quella cristiana, che faccia almeno finta, o che comunque pratichi le sue abitudini senza farsi vedere.

Mi chiedo se è questo quello che noi vorremmo dai nostri immigrati: divenire tali e quali come noi, e che lo facciano anche in fretta. Mi chiedo anche in cosa pretendiamo di considerare la nostra società aperta differente, anzi superiore, da una società teocratica. Cosa esattamente vogliamo difendere, quando un qualsiasi idiota può oggi proporci un nuovo abbigliamento e, in presenza di mezzi mediatici adeguati, farceli accettare.

Noi ci vediamo come tolleranti, eppure, come tali, vorremmo concedere il matrimonio ai gay, e comunque nessuno trova disdicevole un rapporto gay. Però, la poligamia no, il modello di famiglia che storicamente è risultata alternativa al nostro modello occidentale, questo dev’essere bandito: ammettiamolo, siamo dei conformisti molto più conformisti degli iraniani. Dicevo a proposito delle manifestazioni a Teheran che quei giovani hanno testimoniato la vitalità di una nazione, mentre qui la vitalità si manifesta forse nel mettersi davanti al tubo catodico a vedersi l’ennesima puntata del GF.

La mia teoria è che il mondo islamico si senta in pericolo, e che questa sensazione sia realistica, che il modello occidentale stia avanzando nel mondo a forza di dollari, carri armati e TV satellitari. C’è insomma la sindrome da assedio, che è l’unica che può spiegare i kamikaze, il gesto estremo di uccidere i propri nemici col sacrificio della propria vita. Eppure, potremmo dire con un’espressione utilizzata in altri ambiti, che l’islamismo ha perso la propria spinta propulsiva. So che il numero di musulmani è in continua crescita, ma questo in sé non significa nulla sulla sua reale capacità di dare risposte convincenti ai problemi che l’oggi,con il suo sviluppo di mezzi tecnologici, ci pone. Resistere si può e si deve in alcune situazioni, ma solo transitoriamente: alla fine, bisogna saper proporre una reale via d’uscita, sennò si finisce col soccombere.

No, a me l’islamismo non fa paura, come non fa paura il cristianesimo: non riesco a capire come le cose scritte nella Bibbia o nel Corano, che giudico poco più che storielle per bambini creduloni, possano prevalere nella società. Ciò non significa che giorno per giorno non vadano combattute sul piano del pensiero i condizionamenti che ne possono derivare: lottare nella vita è un destino, basta avere l’energia per farlo.Se siamo sopravvissuti col signor B. e col PDL, se sopravviviamo ancora con la Lega, potremo ancora sopravvivere coun eventuale partito islamico: cosa avrà mai di più pericoloso di questa destra razzista, ignorante ed antidemocratica?

L’argomento è complesso, ed abbisognava di molto più di un semplice post, ma forse, soltanto come offerta di spunti di riflessione, non sarà del tutto inutile.

mercoledì 18 novembre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 15

L’intervento del Presidente del Senato Schifani, che, ricordiamo, è la seconda carica dello stato, tanto da fare le veci del Presidente della Repubblica in caso di suo impedimento, è sicuramente una delle notizie più rilevanti di questi ultimi giorni. Esso si inserisce nella questione riguardante il cosiddetto “processo breve”, un provvedimento esplicitamente invocato da tanti influenti membri del PDL come difesa del premier dagli attacchi politici da parte di settori della magistratura. Ho letto alcuni commenti sulla rete, che, sorprendentemente, almeno dal mio punto di vista, distinguono questo provvedimento da quello precedentemente ventilato della “prescrizione breve”. Adesso, sarei lieto se qualcuno mi spiegasse dove stia la differenza. Mi sembra chiaro che, se un processo non viene celebrato per scadenza di termini perentori che siano previsti per legge, l’effetto è del tutto indistinguibile dal fatto che un reato venga prescritto negli stessi termini: in entrambi i casi, non è possibile pervenire a una sentenza che decida sul contenzioso, penale o civile che sia. Direi che le dichiarazioni esplicite raccolte in questi giorni sulla reale finalità del provvedimento dovrebbero togliere ogni ulteriore dubbio.

Dicono: è un diritto di un accusato di essere giudicato in un tempo ragionevole. Io dico: sarà un diritto di una vittima che un reato a suo danno riceva una eventuale sanzione mediante una sentenza pronunciata a nome del popolo italiano, no? Se il problema è una carenza di risorse in mezzi e personale, che si provveda con apposito stanziamento. Se c’è un comportamento colposo da parte di magistrati, cancellieri e personale subalterno, si sanzioni allora questa negligenza, sennò, per legge, si punirà la vittima di un reato o chi subisce un danno economico e credeva di potere appellarsi all’autorità statale per il riconoscimento dei propri diritti. In sostanza, il danno è tutto a carico di cittadini del tutto impossibilitati ad influenzare in alcun modo l’efficienza della giustizia.

Occupiamoci adesso dei riflessi di tale vicenda sul quadro politico complessivo. E’ evidente, mi pare, che le difficoltà del signor B. stiano aumentando. La mossa, tanto criticata, di Casini di proporre un lodo costituzionale, è in effetti abile, perché oggettivamente si pone come alternativa al provvedimento sul processo breve, tant’è che i fedelissimi del signor B. si sono affrettati a dire che i due provvedimenti dovrebbero viaggiare in parallelo. Casini fa inoltre un assist a Fini, permettendogli di scartarsi dal signor B. nelle condizioni più blande, risultando come suo difensore: sto con te e ti voglio togliere dai guai, ma ho un’opinione diversa sul modo con cui uscirne. Inoltre, emargina il centro-sinistra, in particolare il PD, che difficilmente, dopo i precedenti, potrebbe convenire su questa procedura. La mossa è abile, perché una legge costituzionale è un’arma a questo punto chiaramente spuntata, dati i tempi tecnici richiesti, che non potrebbero sottrarre il signor B. all’azione della magistratura.

Se consideriamo assieme alcune novità politiche, e soprattutto questo coagularsi di un sostanziale accordo di centro, di un’area che va da Rutelli a Fini, passando per l’UDC, come anche i movimenti dentro la Lega, dalle dichiarazioni anti-Tremonti di Maroni, alla freddezza verso la privatizzazione dell’acqua, gli spazi del signor B. diventano sempre più esigui. Cosa farà o farebbe la Lega alla caduta del signor B., non mi è chiaro: certo, si dovranno sfilare in tempo per non farsi coinvolgere, ma non mi appare chiaro con chi dovrebbero aggregarsi, oltre che con Tremonti, che però mi pare in una situazione meno brillante rispetto ai mesi precedenti. Sembra invece abbastanza chiaro l’asse centrista, che potrebbe addirittura sostituirsi al PDL, se questo dovesse spaccarsi clamorosamente a seguito della caduta del signor B., come destra moderata contro PD e suoi accoliti.

E’ proprio questa situazione quasi disperata del signor B., che ha spinto Schifani a fare una dichiarazione che appare evidentemente assai inopportuna. Difatti, Schifani evoca lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni. La dichiarazione è inopportuna per almeno due motivi. Il primo perché risulta chiaramente una scortesia, un’invasione di campo rispetto alle prerogative del Presidente della Repubblica, fatta poi da chi è chiamato a farne le veci, ove necessario. La seconda è che evocare lo scioglimento del Parlamento da chi presiede una delle due Camere è stravagante direi, in quanto, come loro Presidente, egli dovrebbe rappresentare i senatori, il cui interesse ad andare a casa sembra assolutamente improbabile. Non è un caso che finora Schifani, malgrado sia sicuramente un fedelissimo del signor B., si sia astenuto dal fare dichiarazioni: quella di ieri appare come una mossa quasi disperata, uno degli ultimi tentativi di costringere i parlamentari del PDL a compattarsi sulla difesa ad oltranza del signor B.

domenica 15 novembre 2009

IMPRESSIONI DALLA CINA

Per ragioni di lavoro, sono stato alla fine di ottobre a Shanghai. Ci sono tornato a distanza di 22 anni, e mi sono confermato nell’opinione che avevo prima ancora di partire: la Cina, almeno quella delle grandi metropoli, ha perso quasi ogni propria specificità.

Ricordo come ancora nel 1987 le città fossero piene di scritte inneggianti a Mao-Tse-Tung. Il partito comunista, per legittimare il proprio potere, coltivava, con mia grande sorpresa, il mito di Mao, giocando sul fattore nazionalistico: Mao è il liberatore dal controllo e dominio straniero sulla Cina, il fondatore stesso della Repubblica Popolare Cinese. Per permettere uno sviluppo di tipo capitalistico, tutte le colpe del recente passato attribuite alla rivoluzione culturale, venivano così addebitate alla cosiddetta “banda dei quattro”. Tutto quindi si giocava sulla contrapposizione chiaramente pretestuosa, tra Mao e questi, colpevoli di avere stravolto i suoi insegnamenti. I cinesi allora, usavano la bicicletta, e, all’orario di ritorno a casa dal lavoro, era uno spettacolo davvero impressionante vedere svariate centinaia di persone in bicicletta che si spostavano come tutti assieme, quasi come uno stormo di uccelli. L’effetto era accentuato dal fatto che ai quei tempi tutti i maschi vestivano allo stesso modo: camicia rigorosamente bianca, e pantaloni scuri. Un’altra peculiarità era costituita dal tipo di articoli disponibili, oggetti di seta, giocattoli (già allora la Cina produceva praticamente tutti i giocattoli venduti nel mondo), disponibilità di manufatti ad alta intensità di lavoro. Se pensate che a Nanchino, un albergo che poteva ospitare un massimo di 1400 persone, aveva più di mille dipendenti: praticamente un dipendente ad ospite. Avevamo una cameriera al piano che rimetteva la stanza in ordine appena uscivamo dalla stanza, fosse stato anche solo per pochi minuti, magari solo per riaggiustare il lieve affossamento dovuto al fatto di essersi seduti sul letto. Con l’equivalente delle 500 lire d’allora, ti lavavano una camicia, restituendola come fosse nuova, stirata di tutto punto, e piegata con cartoncino, spilli e cellophane, come se l’avessimo comprata in quell’istante. Eppoi, tanta povertà, abitazioni fatiscenti in cui già allora si stagliavano alberghi lussuosi come quello che ci ospitava, addirittura faraonici, così stridenti contro questo substrato poverissimo. L’ostacolo costituito da una lingua del tutto sconosciuta non permetteva un qualsiasi dialogo con la popolazione, affidando tutte le impressioni a ciò che lo sguardo riusciva a cogliere.

Cosa ho trovato nel 2009? Ho trovato un pezzo di occidente a quelle longitudini, un succedersi di centri commerciali, pieni di negozi, con le griffe che conosciamo, Gucci, Armani e moltissimi altri. A volte, per ricordarmi di essere in Cina, per riconoscere come cinesi i ragazzi vestiti esattamente come da noi, dovevo guardarli negli occhi, quelli sì rimasti inesorabilmente cinesi. Certo, la gastronomia era cinese, ma quella lo ritroviamo anche da noi, e già qualche ristorante italiano, francese, e di tante altre cucine del mondo si poteva trovare, oltre ai soliti MacDonald, ovviamente.

In un numero speciale della rivista Limes, che mi riprometto di comprare, si sviluppa la tesi del duopolio mondiale USA – Cina. Tendenzialmente, mi pare una visione troppo statica della situazione. La Cina, con i suoi tassi di crescita, sembra proporsi come nuovo leader mondiale in termini di PIL, sopravanzando anche l’impero americano, invischiato nella recente crisi economica, sempre più in affanno nei suoi tentativi di proseguire nella propria espansione. Nello stesso tempo, mai come ora, gli USA trionfano proprio in Cina, imponendo i propri stili di vita, cioè tramite la propria egemonia culturale. Mi pare cioè che tra queste due nazioni si stia riproducendo una situazione dell’antichità, quella tra Grecia e Roma, quando Roma conquistò militarmente la Grecia, ma subendone l’influsso culturale, diventando così i Romani un po’ Greci, come oggi i cinesi si sono così tanto americanizzati.

sabato 14 novembre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N. 14

La notizia che tiene banco in politica interna è il vergognoso tentativo del governo di fare approvare il provvedimento sul cosiddetto “processo breve”. Nessuno meglio di Travaglio ne ha sottolineato gli aspetti paradossali, tramite la metafora del treno. Per questi governanti, la soluzione di un treno che arriva in ritardo, non è quello di farlo arrivare in orario, ma di fermarlo comunque all’orario previsto, magari in aperta campagna. Ciò succede quando si legifera in favore di una specifica persona. Il guaio è che, oltre a permettere al nostro premier eventualmente di delinquere senza possibilità neanche di giudicarlo, che molti altri processi, tra cui alcuni eccellenti, si estinguono, permettendo l’impunità a palesi criminali: un’offesa alle vittime e al senso di giustizia della nostra nazione.

In quest’atmosfera, ancora una volta, si risolleva il problema dell’eccezionalità della situazione presente, con tanti che chiedono di stare uniti contro il male assoluto, il signor B. Dicono: lo vedete che avevamo ragione, che quest’individuo sta distruggendo ogni parvenza di stato di diritto in Italia? E allora, non rompete le scatole, zitti, e votate il PD, senza fare obiezioni. Semmai se volete proprio esprimere un’opinione, fatelo a vittoria conseguita: fino ad allora, tacete e votate. Se non fate così, siete oggettivamente alleati del signor B.

Peccato che, come già dissi altre volte: il signor B. non è sorto dal nulla, ma sta in politica da 15 anni, senza che i più grossi partiti d’opposizione, che si sono anche succeduti al governo, siano stati in grado, o meglio abbiano avuto voglia, di contrastarlo. Ancora oggi, D’Alema gode dell’appoggio del signor B: nel suo tentativo di diventare il responsabile della politica estera della UE: non mi pare che soffra tanto delle leggi ad personam elaborate da Ghedini, da rifiutare l’aiuto del malefico signor B. : insomma, si sta ancora a colludere, proprio mentre si sta svolgendo la pagina forse più vergognosa della breve storia della Repubblica Italiana. Il PD non è credibile come oppositore, è questo il primo punto che tanti fanno finta di non capire: non basta che Tizio si metta un cappello o tenga una bandiera perché io gli corri dietro: penso che così ci si dovrebbe comportare, e che una parte, magari anche piccola, di responsabilità nelle vicende politiche italiane, sia proprio di coloro che, in nome di un’emergenza mai di fatto interrotta, hanno permesso a una classe politica autoreferenziale di farsi i cavoli propri.

Esistono poi problemi culturali di fondo, che non spariranno così presto, anche dopo un’eventuale augurabile sconfitta del signor B., ma su questo concordo: faremo i conti a tempo debito. Oggi però, il condottiero che ci guida nella battaglia decisiva contro il signor B., dev’essere credibile aldilà di ogni ragionevole dubbio, e non mi pare che né Scalari e De Benedetti da una parte, e D’Alema e suoi accoliti dall’altra, siano minimamente credibili.

Intanto, l’agitazione che si avverte al centro dello schieramento politico è sempre più forte. Casini sta davvero tornando tra le braccia del signor B, , come sostiene Tabacci che ne ha fatto un motivo per unirsi a Rutelli? Come si deve giudicare questo frantumarsi delle formazioni politiche proprio al centro degli schieramenti politici?

Credo che una delle cause sia senz’altro l’odore di cadavere che sembra sollevarsi dal governo di centrodestra. Potrebbe darsi che Casini abbia abbandonato il progetto di grande centro, per tentare di cogliere l’eredità del signor B., magari in competizione con Fini. La neoformazione di Rutelli, in questa eventualità, potrebbe aspirare a succedere all’UDC nell’occupare il centro dello schieramento politico. Vedremo. Da parte mia, osservo ancora una volta come il bipolarismo sia la migliore fucina di partiti e partitini, nell’ignobile meccanismo di miniricatti che proprio il bipolarismo fornisce. Qui, o si torna a un sistema proporzionale, oppure si vada, come io sostengo, a un franco sistema bipartitico ritornando ai collegi uninominali.

giovedì 12 novembre 2009

PC DI ALTRI TEMPI

Per motivi anagrafici, ho potuto seguire l’evoluzione del PC sin dalla sua nascita. Ricordo il primo PC su cui ho lavorato, un Northstar, di cui la maggior parte di voi ignorerà perfino l’esistenza. Seguì quasi subito l’Apple, che presto fece cadere nel dimenticatoio qule primo modello. Però, proprio dall’evoluzione dell’OS di quel primo modello, doveva nascere l’MS-DOS, la cui ulteriore filiazione è il ben noto OS Windows nelle sue successive versioni: siamo ormai nell’attualità.

Mi vorrei qui soffermare proprio su questo passaggio dal freddo e spoglio MS-DOS al sistema friendly di Windows. Una vera rivoluzione: si passa da un OS in cui ogni operazione del PC richiede che tu scriva la specifica istruzione, al click del mouse su finestre, dall’automatizzazione di tante operazioni del PC. Qui, vi voglio dare il mio parere, con cui vorrei vi confrontaste, se vi va. Dirò subito, a costo di apparire il solito vecchietto nostalgico, che rimpiango il vecchio PC, dotato di questo OS così essenziale e che richiedeva un minimo di competenza informatica. Lo rimpiango quando, introdotta la password, vedo il mio PC che comincia ad operare, a fare apparire lo schermo con lo sfondo più o meno gradevole e con tutte quelle finestrelle, e poi mi da’ mille avvisi, su ciò che posso fare, su ciò che devo fare. Stessa roba quando lo spengo, ha sempre le impostazioni da salvare, e devo sempre attendere per vedere il PC spento. Per non parlare dei programmi applicativi: prima di fare capire a Word che pH si scrive proprio con la “p” minuscola e l’acca maiuscola, che fatica! Questo stile che mi vorrebbe imporre anche il non commettere errori mi inquieta. In poche parole, non ne posso più di questi aggeggi che mi danno sempre l’impressione che siano loro a comandare, sempre sotto tutela l’utente, considerato di default un imbecille a cui si eviti di fare gli stracavoli che gli pare, errori compresi. Scrivo queste brevi note da utente senza particolari competenze informatiche, così certamente non sono in grado di approfondire gli aspetti tecnici, ma la filosofia di Windows, lo devo dire chiaramente, mi fa vomitare. Dire che la lavatrice o la macchinetta del caffè fanno esclusivamente ciò che io dico loro, e se accendo la pompa quando non c’è l’acqua, mi si brucerà: posso, santo cielo, avere il diritto di sbagliare e distruggere questi ausili tecnici, o siamo giunti ormai al punto che l’uomo è soggetto alle macchine? Vi vorrei ora chiedere se sono l’unico a sentire questo disagio, se, visto che in politica non ci riusciamo, possiamo almeno fondare un movimento a livello mondiale per far tornare i PC quello che penso dovrebbero essere, un mezzo passivo in mano a persone che lo usano in funzione delle proprie competenze: se non ne hanno, che si astengano dall’usarlo. Se poi tengono tanto ad immagini e colori, a suoni e rumori, si rivolgano a roba tipo playstation. Oppure, immaginiamo un mercato in cui convivano vari tipi di PC, e tra questi, ve ne prego, ve ne sia anche uno che, in assenza di mie istruzioni, mi mostri lo schermo nero, con il solo prompt lampeggiante, ad indicarmi che aspetta me, senza effetti speciali non richiesti!

lunedì 9 novembre 2009

MAGRIS E IL CROCIFISSO

La questione della sentenza sul crocifisso continua a infiammare i commenti sul weeb, sulla stampa e anche in discussioni di presenza. Qui vorrei tornarci, a partire da un articolo sul Corriere di Claudio Magris.

Il punto che mi pare fondamentale in tale articolo è lì dove l’autore cita “il buon senso”. Dal contesto, sembra che questa espressione venga qui utilizzata in modo leggermente equivoco. Personalmente, uso l’espressione “buon senso” intendendo una sorta di ragionevolezza. Qui, invece, la intendo come modo per significare “ideologia dominante”. Non bisogna, egli dice, andare contro il buon senso, e giù a spiegarci l’importanza del Cristo nella cultura mondiale. Il punto che egli trascura, come tanti, ma non certo la Chiesa, è che il crocifisso è innanzitutto un simbolo religioso. Se la Chiesa smettesse di utilizzarlo nella sua liturgia, certamente se ne potrebbe riparlare, ma allo stato degli atti, bisogna ammettere che si tratta, comunque la si voglia considerare di un simbolo quanto meno ambiguo.

Il punto fondamentale che però mi interessa è un altro: quando egli stesso ammette che la sentenza è ineccepibile. Dunque, ci troviamo senza volerlo, per iniziativa di una privata cittadina, a confrontarci con una sentenza ineccepibile. Logica vorrebbe che la si difendesse, si difendesse cioè una decisione corretta. Qui, invece, succedono delle cose strane, si tenta di depotenziarne la portata, di evitare dibattiti ideologici. La cosa curiosa è che l’autore, nel seguito, elenca una serie di iniziative, queste sì importanti e durgenti, sempre sul tema del rapporto stato-chiesa. Quello che a me sembra l’autore non colga, è che i provvedimenti specifici, chiamiamoli di merito, possono andare avanti solo all’interno di una battaglia ideologica. Da cosa dipenderà mai che l’annullamento del matrimonio da parte della Sacra Rota abbia o no effetti civili? A me pare da aspetti squisitamente ideologici, che sono inevitabilmente preliminari. Riporto qui due commenti consecutivi che ho scritto su un altro blog a questo proposito:

…Il fatto però è che tu dai per scontato che le battaglie ideologiche sono inutili, ed anzi destinate alla sconfitta.

In realtà, le battaglie ideologiche sono le uniche che ha senso combattere, visto che l'esito delle battaglie di merito dipende esclusivamente dalla situazione ideologica. Difatti, da cosa dipenderà, per riprendere un tuo esempio, la vittoria o la sconfitta sul divorzio? Soltanto da ciò che preliminarmente la gente già pensa, da come interpreta la realtà e da come si concepisce sè stessi.

Il signor B. ha appunto vinto una battaglia ideologica con le proprie TV: come già ebbi a dire, la De Filippi è ben più importante su questo campo di battaglia di un Cicchitto.

La grande colpa di una sinistra in cui tu ti riconosci pienamente, è proprio questo, di credere che la compiacenza verso un certo substrato ideologico italico, tipicamente quello cattolico, eviti scontri perdenti: meglio quatti quatti introdurre provvedimenti specifici e concreti. Questa cosa però non funziona come tu credi: non c'è una risposta buona per tutte le stagioni. Sicuramente, negli anni 50 sarebbe stato per il PCI d'allora un atto masochistico porsi di traverso alla Chiesa. Da allora, le cose saranno un po' cambiate, credo che ne converrai anche tu. Qui, abbiamo un intero parlamento messo a novanta gradi ad attendere gli ordini del Vaticano. Tutti convinti insomma, e tu tra questi, che il potere di costoro sia tale da non dovere essere sfidato.

Dai una tua valutazione delle forze in campo, ma, aldilà della bontà della stima, così trascuri il fatto che i soldati in un campo di battaglia hanno tutti un colore della casacca predeterminato, e così ha senso stimare le proprie truppe rispetto a quelle dell'avversario.

Nelle battaglie ideologiche invece, c'è questo di differente, la possibilità per tutti di cambiare casacca mentre la battaglia infuria. Questa valutazione statica delle forze in campo è insomma fallace, giacchè un piccolo stuolo di combattenti, se ben attrezzato di argomenti, può fare proseliti tra gli avversari: anzi, questo è appunto il fine specifico di una tale battaglia. La sinistra ha perso quando ha voluto finire di essere tale, tentando di occultarsi, di non segnare più le differenze. Perfino l'estrema sinistra veste i panni del libertarismo più sfrenato, non riuscendo a coniugare queste tematiche del privato con gli aspetti più pubblici, tipo l'economia. Se sposi il verbo liberale nei comportamenti privati, come farai poi a mettere limiti all'iniziativa privata? I fondamenti teorici del liberalismo sono validi per tutti i campi dell'attività umana. Il discorso si fa troppo lungo: mi fermo qui.

Credo di essere stato chiaro: tu, come la sinistra storica, pensi che "contro i simboli si perde sempre", e naturalmente, come dimostra la storia di questi ultimi decenni, si perde senza combattere, "sui simboli", cioè sulle ideologie. Tanto si escludono i simboli, cioè i nostri contenuti mentali, dalla politica, che gli stessi dirigenti politici hanno trasformato il loro stesso sistema di valori. Ora, ognuno può percepire soggettivamente una maggiore o minore possibilità di vincere le battaglie, ma forse, si potrebbe anche riflettere sull'importanza del lottare in quanto tale, indipendentemente dagli esiti. In campo ideologico, lottare fa un tuttuno col risultato: nessuna battaglia sarà persa così male, da non lasciare qualche memoria storica, qualcosa nelle menti di sconfitti e vincitori. La vera sconfitta definitiva è non lottare, perchè così ci si autoesclude dal mondo simbolico in cui noi uomini viviamo primariamente. Sono convinto che il gruppo dirigente del PD stia in questa esatta situazione: non esistere più come istanza ideologica, non essere percepiti come qualcosa, buono o cattivo che sia. E' poi inevitabile che il signor B. prevalga: farà anche abbondantemente schifo, ma chi potrebbe ragionevolmente dire che non esiste nel mondo simbolico? Poi, ci si chiede perchè la gente si divide sul signor B. sì o signor B. no: mi pare l'ovvia conseguenza del fatto che la storica e più importante opposizione ha fatto harakiri, pensando che mimetizzandosi avrebbe fregato gli altri sulle questioni di merito. Mimetizzandosi, si è invece suicidata, acquisendo la stessa ideologia dell'avversario, ma risultando inevitabilmente comunque meno convincente. Essere diversi è un destino: in politica come nelle preferenze sessuali, dove la vera storica vittoria degli omosessuali è quella di potersi dichiarare tali.

sabato 7 novembre 2009

QUEL FURBETTO DI BERTONE

A postilla di quanto già scrissi in proposito, spendo qualche ulteriore parola a proposito dell’atteggiamento della Chiesa, e in particolare di Bertone riguardo la nota sentenza europea sulla presenza di crocifissi in uffici pubblici.

Qua, ancora una volta si dimostra come questi clericali hanno una marcia in più dei politici servili che gli sbavano dietro, scambiando un atteggiamento chiaro e netto con uno urlato, inutilmente ingiurioso, da casalinga frustrata anni 50 (vedi La Russa in TV).

Mi pare che nessuno lo abbia notato, o lo abbia comunque fatto notare: la Chiesa è stta stranamente avara di parole in questa vicenda. Le dichiarazioni ci sono, ma infine sono abbastanza reticenti, direi io: dicono e non dicono, fanno intendere, ma mai ad esplicitare un ragionamento compiuto.

Da questo punto di vista, Bertone è davvero emblematico: invece di parlare del crocifisso, ha parlato delle zucche di Halloween. Insomma è andato fuori tema alla grande. Mi ricorda la barzelletta dello studente che, avendo preparato un tema sulla Francia, se ne ritrova uno sulla Germania, ed allora esordisce così: La Germania non è come la Francia, perché la Francia invece… e seguita poi a parlare della Francia, dell’argomento cioè su cui si sente preparato.

Allo stesso modo, l’ineffabile Bertone devia subito su Halloween, un argomento evidentemente senza alcuna attinenza col crocifisso, e su cui può raccogliere anche il mio consenso. Trovo che festeggiare Halloween in Europa sia prima di ogni altra cosa patetico, la dimostrazione dimostrata del mito del nuovo e dell’america che evidentemente ci istupidisce completamente.

Perché dunque tanto silenzio, tanta cautela a non argomentare con chiarezza sulla questione? La ragione è abbastanza semplice, e già ne parlavo nel mio recente post: la Chiesa non può dire che il crocifisso è un simbolo semplicemente culturale, salvo toglierlo dagli edifici sacri, dagli altari, da tutti quei luoghi insomma in cui la sua presenza è strettamente legata al suo significato religioso. Se però questo affermassero, darebbero ragione alla corte europea, e questo evidentemente non conviene loro.

Cosa fanno allora? Lasciano che gli ascari e i servetti di quasi ogni partito (potremmo dire parrocchia) dicano le loro boiate: hanno visibilità, non hanno alcuna credibilità da difendere (stanno già sotto zero), ed hanno un uditorio di bocca buona che pensa al crocifisso della nonna, e confonde la nonna col crocifisso. A freddo, tutte queste frasi scomposte ed insensate sarebbero smascherate, ma essi certo non puntano alla fama sempiterna. Oggi noti, ben pagati (da noi contribuenti), onorati da stuoli di sottoservetti, e qualche escort spunterà sempre: insomma, il lunario lo sbarcano, perché porsi altri problemi. La Chiesa no, ritiene, credo a ragione, di dovere garantire una certa coerenza. Tra qualche anno, magari in un’atmosfera culturale differente, potranno sempre dire che nse ne sono tenuti fuori, che è stato uno scontro tutto interno alla politica: non è vero, ma sarà impossibile dimostrarlo.

venerdì 6 novembre 2009

UN PAESE DI TOSSICI E CRIMINALI

Un breve instant post per manifestare il mio sconcerto per la notizia che vedrebbe più di sei italiani su cento sniffare cocaina. A questo punto, mi chiedo quante delle persone che incontro giornalmente, sia sul luogo di lavoro, sia andando per strada e per pubblici esercizi sono cocainomani. E forse anche qualcuno tra voi, che seguite il mio blog, avrà questo vizietto. E’ un fenomeno quindi che ha ssunto proporzioni enormi. Non credo, ad esempio che ci siano sei italiani su cento che seguono una dieta vegetariana. Il modo in cui la cocaina è in grado di alterare il nostro stato di coscienza è tale, che alla fine ci si deve chiedere se lo sforzo per argomentare adeguatamente nella comunicazione verbale o per iscritto, non sia vana, avendo un auditorio a cui non importa un’emerita mazza delle cose che dici, perché, da cocainomane, un solo pensiero fisso gli rimane: procurarsi la dose e consumarla, una vita ridotta ad un’unica dimensione, con l’esigenza aggiuntiva di dissimulare il proprio stato e la propria dipendenza.

L’aspetto forse ancora più inquietante è costituito dall’enorme potere che le grandi organizzazioni criminali hanno raggiunto, spacciando queste enormi quantità di cocaina e di altre droghe, un mercato enorme che per quantità di denaro che circola può competere con i settori industriali più grossi. Siamo insomma, in Italia più che altrove, ma in tutta Europa (quasi il 4% di cocainomani), un paese di tossici e di criminali: lascio a voi ogni ulteriore commento. Solo, fatemi finire con una battuta sarcastica: viva il mercato e la società aperta di Popper, vedete come il mercato aggiusta tutto?

giovedì 5 novembre 2009

RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA INTERNA. N.13

Due notizie balzano in prima evidenza. L’una riguarda la sentenza europea sul crocifisso, e la seconda le dichiarazioni di Maroni.

Parlo qui della prima, perché mi pare una notizia del tutto politica. Mi vorrei tenere ben lontano da dibattiti sul laicismo, a cui non credo, come ho tentato di argomentare altrove. La sostanza della sentenza mi sembra, dirò subito, di importanza del tutto trascurabile. Come molti di me hanno già detto, la presenza di un crocifisso in un’aula neanche si nota: che ci sia o no, mi risulta del tutto indifferente. Se però fossi un giudice e qualcuno si rivolgesse a me perché si sente offeso da questo simbolo, non potrei che sentenziare come ha fatto questa corte. Il crocifisso è quindi un simbolo, su questo non ci piove. Ma di cosa è simbolo? I politici si sono affrettati a dire che non è un simbolo religioso, ma un simbolo culturale, fa parte della nostra identità. Questa cosa potrebbe essere anche vera, ma:

- se fossi un cattolico, mi sentirei profondamente offeso a sentirmi dire che il crocifisso è stato declassato a semplice simbolo culturale, e il silenzio della Chiesa su questo aspetto la dice lunga su cosa sia effettivamente la Chiesa.

- i simboli della nostra civiltà sono molteplici: dovremmo ostentarli tutti nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici? Per esemplificare in maniera ironica, certa gastronomia fa parte della cultura italiana, non credo che qualcuno possa obiettare a proposito: vogliamo allora appendere sulle pareti la riproduzione in plastica di un piatto di spaghetti al pomodoro? La cultura, se c’è, sta nella nostra testa,e quindi risulta inutile ostentarla. Come dissi a proposito delle radici cristiane dell’Europa che avrebbero dovuto essere esplicitamente citate nella costituzione europea, se l’Europa ha radici cristiane, crescerà con elementi cristiani. Se so che in un terreno ci stanno radici di vite, una vite crescerà, senza che io mi debba preoccupare di garantirne l’identità, quella è assicurata dal suo DNA.

La cosa che più mi interessa nel presente contesto è l’uso tutto politico della vicenda da parte dell’intero schieramento partitico e da gran parte del settore mediatico. Tutti a sparlare della sentenza, violando ogni elementare minimo principio logico. Perché mai, saranno forse diventati improvvisamente tutti scemi? Certamente no, ma la Chiesa è una struttura di potere che bisogna tenersi buona. Il signor B. per primo ha tentato di riparare ai passati attacchi a Boffo affrettandosi ad assicurare la presentazione di un ricorso. L’opposizione, però, non sembra da meno: sia IDV che PD hanno criticato la sentenza, con la solita tattica masochistica: se la maggioranza urla, noi sussurriamo, ma dicendo le stesse cose. MI chiedo: ma se tu dici le stesse cose del tuo avversario, ma più sommessamente, perché mai la gente dovrebbe seguirti? Dammi anche una sola ragione perché lo debba fare.

La mia opinione è che il crocifisso sia “suo malgrado” un simbolo di potere, del potere dell’istituzione ecclesiale, del Vaticano, dell’impero finanziario che ci sta dietro, e della disponibilità dei fondi annuali che una legislazione vergognosa italiana le consente.

Non sottovaluterei l’importanza della seconda notizia, di cui potremmo dire “eppur si muove”. Perfino nella granitica Lega, attorno al suo leader indiscusso, qualcosa sembra sgretolarsi. Perché mai Maroni se ne esce con una dichiarazione come quella (Votare con l’opposizione per più fondi alla sicurezza, cioè al suo ministero)? La questione specifica non appare sufficientemente importante da giustificare la palese esternazione di un tale dissenso. Qui, mi pare, si evidenzia una dinamica all’interno della Lega, in cui ci siano parti contrapposte. Da una parte, c’è Bossi e probabilmente la maggioranza dei dirigenti, che ha stipulato un patto di ferro con Tremonti, dall’altra altri che vedono probabilmente Maroni il loro leader. La questione, a mio parere, si lega alle candidature per le regionali, e di particolare di chi saranno i candidati leghisti a governatore. A quello che è dato sapere oggi, in Piemonte e Veneto il PDL si farà da parte, lasciando che sia la Lega ad esprimere le candidature. E’ evidente che all’interno della Lega le mire ai posti di governatore in queste regioni saranno molteplici. In particolare, sembra che in Veneto il ministro dell’agricoltura si scontri con il sindaco di Verona per chi debba essere il candidato. Così, perfino per il superboss Bossi, diventa difficile contentare tutti, e quindi qualcuno di loro, convinto che Bossi lo abbia già escluso, potrebbe aver tentato la carta di un padrino alternativo, smuovendo le acque in una maggioranza in cui le acque sono già molto agitate: in queste confusioni, perfino a Bossi, potrebbe a quanto parte sfuggire qualcosa. Nel costume italico, è difficile che un’unica persona possa all’infinito comandare, sicuramente, al crescere del potere conseguito, certe dinamiche competitive si sono messe in movimento all’interno della Lega. Magari qualcuno di voi che sta nel loro territorio d’influenza può avere elementi di conoscenza più dettagliati. Anche senza queste informazioni puntuali, la sparata di Maroni acquista un grande significato politico, un altro mal di pancia nella maggioranza, in aggiunta ai numerosi già esistenti.

mercoledì 4 novembre 2009

IL VIRUS MEDIATICO

Brutta vicenda questa del virus A H1N1. Partita sin dall’inizio male dalla stessa OMS, è proceduta sempre peggio. Qui in Italia, l’ultimo capitolo. Come dicevo mesi fa (qui), le notizie sul virus sono giunte in modo contraddittorio. L’OMS si affrettò a mettere tutte le nazioni in allarme per la prevista pandemia a cui questo virus poteva dare luogo, ammettendo nello stesso tempo la sua sostanziale innocuità, essendo meno letale del virus influenzale stagionale. Questa contraddizione, pur segnalata a livello internazionale, non ha mai ricevuto risposte convincenti dalle autorità mediche, favorendo le illazioni più estreme su possibili aspetti di pericolosità che venissero nascosti alla popolazione. Ora, sembra definitivamente accertata la sua scarsa tendenza a dare mutazioni che avrebbero, esse sì, costituire un reale pericolo per la popolazione. Stando così le cose, la tesi che tutta questa campagna mediatica su questo virus servisse solo a fare dei giganteschi affari alle grosse società farmaceutiche, più che lecita, risulta accertata. C’è in tutto questo un ulteriore aspetto, che, data la sua grande contagiosità, il virus metteva a dura prova la capacità delle ditte farmaceutiche a produrre in tempo le centinaia di milioni di dosi che sarebbero state necessarie a livello mondiale. Il risultato è dunque che si crea una contraddizione pressoché insanabile tra la necessità di allarmare la gente, per renderle accettabile un tale massiccio investimento in questi vaccini (circa un milione di euro per l’Italia, a titolo di esempio), ed evitare manifestazioni estreme di panico che, come è cronaca di questi giorni, intasano i posti di pronto soccorso degli ospedali. Il sottosegretario con delega alla sanità Fazio rappresenta l’esempio più emblematico di questa contraddizione. Ricordo che questo signore in agosto ventilò addirittura la ritardata apertura delle scuole per ridurre le occasioni di contagio, ed oggi, egli stesso, si erge ad oppositore del panico popolare. Ma con chi se la vuole prendere Fazio? Se la prenda con sé stesso, e, se avesse un minimo di dignità, del che dubito, si dimetta all’istante per come ha affrontato il problema. Bisogna anche aggiungere che la stampa ha dato manforte al ministero dando il bollettino quotidiano delle morti: sarebbe come inserire in uno spot pubblicitario della FIAT le morti, ben più numerose da incidenti stradali giorno per giorno. Adesso, tutti a dare addosso alle regioni, e alla capacità delle strutture sanitarie ad affrontare il virus. Nella realtà, esse si trovano a fronteggiare qualcosa di ben più pericoloso del virus, il panico da campagna mediatica. Insomma, sarebbe come dare addosso ai rivenditori di zucchero che si trovassero senza questo articolo a seguito della diffusione mediatica della notizia, in realtà falsa, di carenza di zucchero: le strutture sanitarie sono, come i rivenditori dell’esempio che ho portato, le vittime di azioni irresponsabili di altri, che non certo responsabili di ciò che sta accadendo. Ma questo benedetto principio di responsabilità in questa nostra nazione è stato eliminato per decreto? Gente come Fazio può venire giornalmente sulle TV a somministrarci i suoi quotidiani sermoni, senza rispondere delle sciocchezze che ha commesso durante lo sviluppo di questa vicenda?

martedì 3 novembre 2009

MARRAZZO 2

Stamane abbiamo la seconda puntata: Marrazzo confessa di aver consumato cocaina. Sembrerebbe sincero, visto che si autoaccusa. Nello stesso tempo, dice la cosa più sconvolgente della faccenda: si trattava di una rapina, niente ricatto. Ma allora, chi ha realizzato il filmato? I 4 carabinieri, senza intenzioni ricattatorie, non avevano alcuna ragione di filmare. Ma anche se essi stessi avessero filmato, l'ipotesi ricattatoria sarebbe sorta successivamente da soggetti differenti. Credibilmente, il fatto che determinati ambienti giornalistici fossero in possesso dei filmati, ne certificherebbe in qualche misura l'acquisto, o comunque una trattativa in stato avanzato. Sarebbero, a questo punto questi ambienti e i loro referenti politici i maggiori sospettabili dell'ipotesi ricattatoria. In fondo, anche la telefonata del signor B. acquista in questo quadro un aspetto inquietante: si sa che uno dei metodi estorsivi è quello di avvisare. L'unico avviso che il signor B. potesse fare, sarebbe stato di comunicare tutto ciò che era a sua conoscenza alla procura di competenza, ogni altro avviso assume oggettivamente un valore ricattatorio.